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Traffico Internazionale di Armi

Ultimo Aggiornamento: 30/06/2009 23:20
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Armi: il mercato nero frutta alle mafie 4 miliardi annui, chi controlla precipita con l’aereo francese e intanto Brescia...
Nell’indifferenza totale dei media, alcuni mesi fa l’Istituto accademico degli studi internazionali di Ginevra (Svizzera), ha pubblicato come ogni anno il rapporto “Small arms survey”, che fa parte di un più ampio progetto che tende a monitorare non solo la produzione ma anche la proliferazione legale e illegale di armi nel mondo.

Lo studio è - come tutti gli anni - in inglese, lingua internazionale per tutti i giornalisti del globo terracqueo tranne che per quelli italiani. Sarà per questo - verosimilmente - che anche il rapporto 2008 è stato pressoché ignorato dai giornali nazionali. Peccato, perché all’interno - per chi fosse interessato il sito è www.smallarmssurvey.org - ci sono cose di estremo interesse riconducibili ai signori delle guerre.

DUE VITTIME DI SMALL ARMS SURVEY NELL’AEREO INABISSATO

Visitando il sito si scopre - ad esempio - che due delle 228 vittime del volo Air France 477 da Rio de Janeiro a Parigi, caduto il 1° giugno nel mare Atlantico erano apprezzatissimi e stretti collaboratori di questa organizzazione: l’argentino Pablo Dreyfus e l’americano Ronald Dryer.

Il primo era esperto di traffico internazionale di droga e di commercio di armi in America Latina. Aveva lavorato, nel 2002, nell’ufficio di Presidenza argentina e ultimamente proprio a Rio dove collaborava con un organizzazione dedita alla riduzione e alla prevenzione delle armi.

Il secondo aveva lavorato in Salvador, Mozambico, Azerbaijan, Kosovo, Angola e poi aveva collaborato con la missione permanente della Svizzera alle Nazioni Unite.

Nessuno - soprattutto in questo momento - è in grado di fare alcun tipo di ipotesi sulla sciagura ma certo è una drammatica coincidenza fatale che tra le vittime ci siano due collaboratori di un organismo indipendente che è, al tempo stesso, fonte di ricerca e conoscenza sulle armi, per i governi di tutto il mondo, promosso dal governo svizzero esattamente 10 anni fa (correva il 1999).

Bene, questo organismo indipendente che mette sotto la lente domanda, offerta, produzioni e produttori, trasferimenti, rotte, economia legale e illegale del mondo che ruota intorno alle armi leggere, nel capitolo del rapporto annuale ci dice che ci sono almeno 51 Paesi che producono legalmente armi, ce ne sono 45 che assemblano pezzi, 31 che producono con licenza e 26 che producono senza alcun tipo di licenza.

Sapete qual è il valore - approssimativo, sia ben chiaro - delle sola produzione di armi leggere anticarrarmato? Dal 2001 al 2005 è stato di 1,1 bilioni di dollari (circa 1 miliardo di euro).

IL BAROMETRO DELLA TRASPARENZA

Se avrete il buongusto di farvi un giro su questo sito scoprirete che esiste anche un barometro della trasparenza (basato su vari indicatori) che copre i maggiori produttori di armi al mondo e, come sapete, l’Italia è stabilmente da decenni al vertice della produzione, se non altro per l’altissima qualità dei manufatti.

Ebbene, gli Stati Uniti - dove le armi si comprano come noi acquistiamo la cioccolata al supermercato - sono al primo posto, l’Italia al secondo, la Svizzera al terzo e poi via via fino all’Iran e alla Corea del Nord dove la trasparenza è zero.

È bene ricordare che i Paesi dove avevano lavorato Dreyfus e Dryer sono tra quelli in cui la trasparenza dei traffici di armi non è stata neppure presa in considerazione. E, d’altro canto, non è difficile crederlo visti i massacri che - a esempio - hanno insanguinato per anni il Kosovo o ml’Angola.

E cominciamo - con questa ultima serie di riflessioni - a entrare nel campo del mercato illegale di armi il cui valore è inestimabile. Quasi quanto quello del traffico legale che - per gli anni dal 1999 al 2003 - Small arms survey ha stimato in 2 bilioni di dollari annui. Per gli anni successivi una stima è persino improponibile.

In realtà - spesso - il confine tra lecito e illecito è labile ed è qui che entrano in gioco le mafie di tutto il mondo, a partire dalla potente ‘ndrangheta italiana. Oltretutto nessuno sa neppure quante siano le armi da fuoco in giro per il mondo. Nel 2001 - il dato è dunque vecchissimo - l’Onu ne stimava 550 milioni di cui 350 milioni in mano ai privati. Con le guerre scoppiate o rinfocolate in questi ultimi 8 anni, il numero va ovviamente rivisto al rialzo.

IL MERCATO NERO CO-GESTITO DALLA ‘NDRANGHETA

Affascinati come siano da culi e tette delle tv berluscostatali (passatemi il neologismo) ci è sfuggito un altro rapporto. Questa volta di Eurispes che alcuni mesi fa ha stimato quanto frutta alla ‘ndrangheta il mercato illecito delle armi. Tenetevi forte: 2,938 miliardi di euro all’anno. Quasi 6mila miliardi delle vecchie lire. Non male vero?

Senza contare il miliardo circa attribuibile alla Camorra imprenditrice, la prima a capire - addirittura prima della caduta del Muro di Berlino - che nei Paesi dell’ex Unione Sovietica si sarebbe potuto imbastire e gestire un traffico mondiale di armi. A partire dai kalashnikov che a Scampia si possono ancora oggi trovare anche a 20 euro: più o meno il costo a Napoli di pizza, birra, caffè e ammazzacaffè.

Il mercato è quanto mai florido e per rendersene conto basta dare un’occhiata ad altri due rapporti che agli italiani non interessano un beato cavolo, perché sfogliandoli non ci sono culi, non ci sono tette, non ci sono tronisti e non ci sono neppure le fantasmagoriche avventure di Silvio e Noemi: quello della Dna, la Direzione nazionale antimafia (dicembre 2008) e quello della Direzione investigativa antimafia, Dia (di pochissimi giorni fa e che si riferisce al secondo semestre 2008)

I RAPPORTI DELLA DNA E DELLA DIA SUL TRAFFICO DI ARMI

Le rotte nelle quali inserirsi e fare affari sono sempre le stesse: quelle dell’Europa dell’Est: basti pensare alle mafie internazionali che attraverso la Transnistria riforniscono di armi illegali i ribelli ceceni. Oppure si può volgere lo sguardo alle rotte balcaniche dove la criminalità bulgara e quella albanese - in stretto contatto con quelle italiane - fanno circolare armi e droghe. E sì, perché i due mercati illegali corrono paralleli: con una fava (la stessa rotta) si prendono due piccioni (armi e droga).

Nei mercati balcanici non va sottovalutato neppure il ruolo della Sacra Corona Unita: sapete com è, la Puglia è di fronte ai Paesi dell’ex Jugoslavia e l’occasione fa il criminale ancor più ladro.

Ma le Nazioni dove il contrabbando di armi è uno sport di massa criminale, sono sempre di più. Il Canada è uno di questi. Il 2 agosto 2008, a esempio, a Toronto è stato arrestato Giuseppe Coluccio, originario di Gioiosa Ionica, latitante dal 2005, che in America del Nord, tra le altre cose, si divertiva a trafficare in armi in collegamento con esponenti della mafia siciliana e narcotrafficanti colombiani.

In Calabria - come ci informa l’ultimo rapporto della Dia - attivi nel traffico di armi sono le famiglie lametine Cerra-Torcasio-Gualtieri e Giampà. Sempre in provincia di Catanzaro, nello stesso “nobile” ramo operano le cosche Pane-Iazzolino e Ferrazzo, mentre se ci spostiamo in Campania troviamo l’immancabile clan Licciardi (e parliamo, ripeto, delle operazioni della Dia del solo secondo semestre 2008. Figuriamoci se andassimo indietro nel tempo quanti sarebbero clan e cosche coinvolte).

E quando l’Italia non ha le mafie al centro del commercio, diventa comunque terreno vitale per i traffici internazionali. Il 10 giugno 2008, a esempio, presso un ristorante romano in Via Veneto è stato accoltellato (colpito, ma non ucciso) Agkatzanian Gkrant, cittadino greco di origine armena. Le indagini - ancora in corso - hanno individuato la presumibile causa del tentato omicidio in una vendetta tra gruppi criminali armeni, russi e ucraini, dediti al traffico internazionale di armi e droga.

La Nigeria - Paese dove la guerra è di casa e quando non lo è, è di casa negli Stati vicini - è un altro centro mondiale del mercato nero delle armi. In questo Paese - secondo il rapporto 2008 della Dna - operano 400 centrali del crimine e di queste il 50% traffica in armi e droga con ramificazioni internazionali.

LA COMPLESSA SITUAZIONE IN PROVINCIA DI BRESCIA

La relazione 2008 della Dna specifica che nel bresciano continua a dare segnali di pericolosa presenza anche la criminalità sarda, “con l’aumentata incidenza - si legge testualmente a pagina 397 - nei traffici degli stupefacenti e delle armi. Ben nota invece appare la presenza, da decenni, della ‘ndrangheta calabrese. Significativa della liason con il territorio calabrese è, a esempio, l’indagine Cometa, che ha evidenziato un traffico di armi e droga e una serie di collegamenti di taluni soggetti indagati, con Cosimo Mamone e Antonio Roberto Cirillo, assassinati a Fabrizia, in provincia di Vibo Valentia”.

Per rimarcare quanto il traffico illegale di armi sia un business dalle proporzioni inimmaginabili (e prima di tornare alla provincia di Brescia), è bene ricordare che il traffico di armi per la criminalità sarda e nella stessa Sardegna è un vero e proprio affare. “Un canale ricorrente - scrive la Dna a pagina 413 dell’ultimo rapporto - è il traffico di armi verso la Corsica, tradizionale alimento degli autonomisti. Una riprova del carattere endemico di tale fenomeno è data dalla frequenza delle rapine di armi. Numerosi sono i rinvenimenti di armi ed esplosivi” Ma torniamo a Brescia, sempre più potenziale crocevia del traffico internazionale di armi, alla portata di mano di clan campani, cosche siciliane ma (soprattutto) ‘ndrine calabresi.

Riportiamo - senza alcun commento e dunque oggettivamente - il passo che il consigliere della Dna Pier Luigi Maria Dell’Osso ha dedicato a pagina 402 a Brescia e alla sua provincia. “E’ opportuno rimarcare che nel bresciano sono operanti, com’è noto, fabbriche di armi di antica tradizione nonché di rilevanza internazionale. E non sono mancate in passato indagini in tema di traffici d’armi, come quelle, già evidenziate in precedenti relazioni, concernenti la commercializzazione di armi demilitarizzate ed inertizzate. Quel che interessa qui sottolineare è come il territorio bresciano, con riferimento al settore predetto, presenti ulteriori profili di peculiare rilievo, con riferimento sia alla valenza economico-industriale sia alla possibilità di richiamare l’attenzione di gruppi criminali o comunque di innescare attività delittuose

Roberto Galullo

www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=4188
[Modificato da zen_79 24/06/2009 23:30]
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Banche Armate 2009
Luca Kocci – tratto da “La Voce delle Voci”, n.6 giugno 2009 - www.lavocedellevoci.it

Triplicati per le banche italiane i compensi di intermediazione sulla vendita di armi all’estero. Abbiamo letto in esclusiva la relazione. Ed ecco i dati

Banca nazionale del Lavoro, Intesa-San Paolo e Unicredit: sono le principali banche italiane coinvolte nel commercio di armi. Nulla di illegale - intervengono in operazioni regolarmente autorizzate - ma si tratta evidentemente di attività da non pubblicizzare troppo, tanto che sono stati gli stessi istituti di credito a chiedere al governo di non rendere pubblica la Relazione del ministero dell'Economia e delle Finanze su esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, che invece la Voce ha potuto leggere. E le "banche armate", sulla scia del grande aumento dell'export di armi made in Italy e sfruttando l'onda lunga dell'aumento delle spese militari sostenuto dal governo di centro-sinistra di Prodi (+ 22%, in due anni), hanno fatto grandi affari, triplicando i «compensi di intermediazione» che hanno incassato dai fabbricanti di armi.

Nel corso del 2008, infatti, sono state autorizzate 1.612 «transazioni bancarie» per conto delle aziende armiere, per un valore complessivo di 4.285 milioni di euro (nel 2007 erano state la metà, 882, per 1.329 milioni). A questi vanno poi aggiunti 1.266 milioni per «programmi intergovernativi» di riarmo (cioè i grandi sistemi d'arma costruiti in collaborazione con altri Paesi, come ad esempio il cacciabombardiere Joint Strike Fighter - Jsf - per cui l'Italia spenderà almeno 14 miliardi nei prossimi 15 anni), quasi il doppio del 2007, quando la cifra si era fermata a 738 milioni. Un volume totale di "movimenti" di oltre 5.500 milioni di euro, per i quali le banche hanno ottenuto compensi di intermediazione attorno al 3-5%, in base al valore e al tipo di commessa.

La regina delle "banche armate" è la Banca Nazionale del Lavoro (del gruppo francese Bnp Paribas) con 1.461 milioni di euro. Al secondo posto si piazza Intesa-San Paolo di Corrado Passera, già braccio destro di Carlo De Benedetti ed ex amministratore delegato di Poste Italiane, con 851 milioni (a cui andrebbero aggiunti anche gli 87 milioni della Cassa di Risparmio di La Spezia , parte del gruppo), per lo più relativi a «programmi intergovernativi»: il cacciabombardiere Eurofighter, le navi da guerra Fremm e Orizzonte, gli elicotteri da combattimento Nh90 e diversi sistemi missilistici.
Eppure due anni fa il gruppo aveva dichiarato che, proprio per «dare una risposta significativa a una richiesta espressa da ampi e diversificati settori dell'opinione pubblica che fanno riferimento a istanze etiche», cioè la campagna di pressione alle banche armate, avrebbe sospeso «la partecipazione a operazioni finanziarie che riguardano il commercio e la produzione di armi e di sistemi d'arma pur consentite dalla legge».

«Si tratta di transazioni relative a operazioni sottoscritte e avviate prima dell'entrata in vigore del nostro codice di comportamento e che dureranno ancora a lungo», è la spiegazione che fornisce Valter Serrentino, responsabile dell'Unità Corporate Social Responsibility di Intesa-San Paolo. Anche Unicredit negli anni passati aveva ripetutamente annunciato di voler rinunciare ad appoggiare le industrie armiere, eppure nel 2008 è stata la terza "banca armata" italiana, con 606 milioni di euro. Nessuna dichiarazione di disimpegno invece da parte della Banca Antonveneta, che lo scorso anno ha movimentato 217 milioni. Mentre piuttosto ambigua è la situazione del Banco di Brescia: nel 2008 ha gestito per conto delle industrie armiere 208 milioni di euro benché il gruppo di cui fa parte dal 1 aprile 2007, Ubi (Unione Banche Italiane), nel suo codice di comportamento abbia stabilito che «ogni banca del gruppo dovrà astenersi dall'intrattenere rapporti relativi all'export di armi con soggetti che siano residenti in Paesi non appartenenti all'Unione Europea o alla Nato» e che «siano direttamente o indirettamente coinvolti nella produzione e/o commercializzazione di armi di distruzione di massa e di altri armamenti quali bombe, mine, razzi, missili e siluri».

«La policy del gruppo non vieta le operazioni di commercio internazionale - spiega Damiano Carrara, responsabile Corporate Social Responsibility di Ubi - ma le disciplina prevedendo che il cliente della banca», cioè l'industria armiera, non si trovi «in Paesi che non appartengano alla Ue o alla Nato, e questo divieto è pienamente rispettato».
Ma i dubbi restano. «Da quando, lo scorso anno, è sparito dalla Relazione il lungo e dettagliato elenco delle singole operazioni effettuate dagli istituti di credito - spiega Giorgio Beretta, analista della Rete italiano Dísarmo - è impossibile giudicare l'operato delle singole banche. Senza quell'elenco, infatti, i loro codici di comportamento non sono comprovati dal riscontro ufficiale che solo la Relazione del governo può fornire».

www.disinformazione.it/banche_armate_2009.htm



[Modificato da zen_79 30/06/2009 23:20]
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