- LE PRIME TRE ORE -
Ia
L’ UOMO CHE AMAVA IL CIELO NOTTURNO D’INVERNO
Non trascorse molto tempo perché si capissero i progetti del detentore dei tre poteri ancestrali.
Ormai infatti a sud est del mediterraneo il trono di colui che aveva regnato dall’inizio del giorno
sino ad allora, stava tentennando pericolosamente sotto l’insistente tentativo di defenestrazione
messo in atto dal figliolo stesso del potente monarca. La ribellione si era estesa ovunque nel mondo
e la pace se ne era andata con le speranza dei celesti reami di costruire un palazzo ove ogni nume
potesse dare libero sfogo al malcontento dei suoi adepti. Purtroppo i vecchi regenti non avevano intuito che nessun adepto era così immacolato e
ispirato da potere parlare con le proprie divinità. Non avevano afferrato, i vecchi signori che il
tempo in cui tutto questo fu una realtà , era giunto alla fine, stiracchiando forse alcuni dei più
grandi culti esistenti sino a quel momento. Forse per una beata illusione degli uomini che speravano
ancora nell’ antica disciplina del Re del Tempo.
Ormai le strutture gerarchiche stavano crollando, quel mondo sapeva troppo di muffa, e nulla
secondo il pensiero rivoluzionario aveva motivo di essere ancora.
Mentre nel Mediterraneo infuriava una guerra mostruosamente violenta e sanguinaria, lassù dove finisce
il mondo terrestre e cominciano lunghissime notti e giorni infiniti , si stava consumando una rivolta
di portata cosmica. Si erano rivoltati quei numi contrari sia all’antico che al nuovo regime, ispirati da
svariate correnti di pensiero rivolte all’anarchia cosmica.
Molti eserciti vennero sopraffatti quasi immediatamente dopo la loro sortita bellica dalle schiere del
nuovo regime. Altri caddero sotto l’ira colma di rancore dei vecchi miliziani del Tempo. E non rimasero
che pochi gruppetti sparuti , nascosti nei fiordi, i più forti, quegli eserciti che non avevano ricevuto il
dono del dolore e della fame. Questi pochi soldati spuri diedero inizio ad una lacerante guerriglia.
Non erano che schiere di numi insofferenti ad una monarchia prospettata dalla profetica visione
dei membri di un popolo mortale. Desideravano che tutto rimasse nelle innumerevoli mani delle divinità
esistenti. E fu in questo tempo che venne ridotto in ceppi quel dio che rubò il fuoco per l’uomo.
Venne in questa epoca che un altro nume si votò al martirio del suo corpo per donare a chi era mortale
il suono e la sapienza della poesia. E su quest’ultimo nume e fondato l’ edificio del credo più ibero
e sfrenato.
Alla corte divina era tutto tentennante, dai progetti più semplici al più arduo pensiero di legge.
L’ unica città celeste era ubicata ad est dei monti Urali, in un luogo prossimo alle giovani vette del-
l’ Himalaia , e vi si respirava un’aria impregnata d’instabilità sociale. E più uno straniero si avvicinava
alla corte aurea del Sommo Dio , Kronos, più questa precarietà lo trafiggeva aspramente nei pensieri.
Kronos era un dio vecchio, uno di quei numi che presero l’alito di Enu e lo deposero in se stessi,
dispensandolo ai mortali, era tra i dodici discepoli di Enu , l’ultimo.
La sua vita non era più quella di un dio primevo , generoso creatore di forme e dispensatore di suono,
ormai da tanto tempo sentiva che tutta la copiosa personalità divina era sprecata per le carni dei mortali.
Da tempo quindi si era ritirato nella sua torre con le sue ricchezze, oltre gli Urali. I mortali non poterono
sentire più alcuna entità divina che dicesse loro le parole giustissime di Enu.
La corte sapeva di stanza chiusa da secoli, le cui mura vengono invase dalla muffa, e divengono viscide
e tumefatte. Come di carta decomposta cominciavano a sapere quelle leggi emanate di tanto in tanto da
Kronos, giusto per far intendere alla gente, mortale e dinìvina che egli esisteva ancora, ed era ancora
molto potente. leggi che emanavano una immobilità cosmica impressionante.
Da quel compartimento stagno legale il figlio diretto dello stesso Kronos , cercò di fuggire , in ogni
maniera possibile. Si svincolò dapprima nelle gerarchie parentali, per poi procedere senza intralcio
lungo la costa libera delle alleanze con i numi dell’ Ovest. Il cammino di Zeus verso la libertà non
fu diritto e retto , ma scosso da fremiti sempre più violenti di sommosse mano mano che egli cercava
di inerpicarsi sempre più in cima sino alla vetta della libertà assoluta. Egli venne per moltissimo tempo
giudicato un sobillatore di popoli, impetuoso nelle sue scelte di tattica , quanto cruento nelle sue delibere
sociali. A molti poi bastò pensare che Zeus tradì il padre stesso per scagliare accuse come freccette in un
tiroassegno. Zeus venne paragonato a qualsiasi entità arcaica : a quelle strane forme ferine che
popolavano la terra milioni di anni prima dell’ ascesa di Kronos, quando Enu era completamente solo.
Ma venne anche per Zeus il momento di essere un governante serio e composto, e di capire
che solo nelle vette Ariane poteva esservi lo scettro più saldo. Fu così che il defenestramento di suo padre
fu repentino . Troppe erano le situazioni ancora da considerare una volta giunti al trono .
Ad esempio quei gruppi così combattivi di rivoltosi anarchici nel Nord ovest avrebbero seriamente
compromesso il suo regno ?
Forse di cento eserciti il timore di Zeus doveva rispondere solamente di cinque o sei al massimo.
Egli aveva stretto ottime alleanze, il suo regno era propespero, e per di più non vi erano profeti seccatori
o sognatori illusionisti tanto carismatici da ritenere particolarmente insidiosi per la reggenza.
Non esistevano profeti degni è vero, ma uno solo prese seria posizione rispetto al nuovo monarca.
E questo visionario era costretto a migrare di frequente, assieme ai venti . Durante uno dei suo viaggi
capitò nella regione del Nord Ovest, quella in pugno all’ anarchia divina.
Conobbe molti esponenti della corrente di pensiero ostile al governo attuale, ed in particolare solidarizzò
con quegli anarchici indipendentisti e secessionisti del Nord Ovest. A questi profetizzò l’avvento di un
nuovo regno.
In questo regno solo timore e tenebre avrebbero accompagnato l’ unico dio governante.
Odio, sangue che ancora si riversava sulla terra, sino ad impregnare le radici più profonde degli alberi.
Ecco il futuro della stirpe divina che adesso abitava le vette Ariane.
Il dio anarchico Odhgin udì le terribili parole di ferro del profeta.
Terrorizzato fuggì nella Terra dell’ est verso al corte di Zeus. prese a vagare giorno per giorno, senza
sosta, per cinquanta anni vagò nella tundra siberiana perchè Zeus non lo volle consultare.
Zeus aveva avvisato ogni nume in carica d’ importanza strategica di non concedere udienza ad Odghin
l’anarchico, altrimenti sarebbe incorso nella persecuzione legale del Sommo Dio stesso.
Tutti i numi disprezzavano nella corte di Ario il passaggio di Odghin , come se da quella divinità
emanasse un acre olezzo di disordine . Ma allo straniero il viaggio dell’ anarchico destava interesse e
coraggio, poichè il vero senso di precario lo si intravedeva in coloro che tanto disprezzavano quel nume
venuto dal grande freddo.
Inoltre Zeus aveva posto un veto a tutti i profeti e a tutte le entità in contatto con il mondo dei mortali,
in cui dichiarava l’assolutismo della dimensione divina . Il nume doveva emanare leggi senza che il
mortale ne venisse a conoscienza, o venisse consultato. Nessuna persona doveva avvicinare la città divina
a quella umana. Odghin quindi era andato contro il potente legislatore avendo ascoltato il profeta
viaggiante, e questo era un motivo di disprezzo in più da parte della corte ariana.
Zeus fece in modo tale che nessuno si accorse del messaggio del dio anarchico.
Impedì il suo accesso nella Senatoria divina, dove deliberavano i modelli comporatamenteli del mortale
quei numi ancestrali, degni di massima ammirazione. Vietò ai sacerdoti di Enu di indicargli la via del
pentimento nelle loro funzioni. E rivolse alle protettrici delle falde ariane un intenso discorso circa il
pericoloso anarchismo di Odghin, in modo che gli fosse negata anche la fuga dalla corte, in caso Zeus
decidesse di condannarlo per oltraggio .
Odghin quindi si sentì stretto in una morsa di indifferenza infinita, era solo, disperato, con le
parole del profeta viaggiatore che lo trafiggevano continuamente, come mille e più lame di ferro rovente.
E dopo venti anni di attesa decise. Decise che Zeus era troppo inebriato dal trono per poter cincepire
l’incombente pericolo.
Quando però si venne a sapere che Zeus ridusse in ceppi il suo amico migliore Prometeo, per la colpa
di aver voluto fare partecipi i mortali al sapere divino, si pensò ad Odghin come ad un involucro vuoto,
senza più speranze di fuggire all’ira del sommo monarca .
Per questo Egli decise dopo cinquanta anni di non parlare più a Zeus e di uccidersi.
Solo con la sofferenza della carne avrebbe fatto consapevoli i numi della corte ariana, e parte dei mortali.
Decise di impadronirsi del segreto di Enu, delle sequenze runiche donate a Kronos durante l’inizio del
suo regno. Ma per arrivare a questo aveva bisogno di passare per la via più angusta della volontà : la
sofferenza dello spirito e della carne.
L’ idea primordiale del suicidio si concretizzò sempre di più, aggravata anche dall’ improvvisa necessità
delle sequenze runiche. Solo mediante le Rune Odghin avrebbe raggiunto il suo scopo, e donato ai numi
armonia e ai mortali un mezzo per arrivare a parlare con il mondo divino.
Solo così la profezia non si sarebbe avverata. I mortali messi in guardia dal monito dei numi ariani, non
avrebbero iniziato quel culto orribile e terrificante, che poneva ancora più timore del regno di Zeus in
terra, tra i mortali. Un Dio nuovo, che esigeva solo paura e rancore , stava per impossessarsi del trono,
ed avrebbe fatto certamente quello che nemmeno l’aspro Zeus aveva messo in atto sino ad allora : lo
sterminio totale di tutti gli eserciti rivoltosi, con i loro maestri di pensiero anarchico. E ne era capace.
A Sud est del pianeta terra molti messi ariani riportarono, alacremente , alcuni frammenti di cronache
che vedevano questo dio protagonista di truculenze oscene. Ma Zeus preferiva credere che si tratasse di
un’ entità spuria, isolata, una scheggia impazzita del Sud .
Enu aveva ammonito il padre di Zeus di non occultare le cronache dei messi divini , poiché erano
discendenti da una stirpe giusta, e le loro parole non avrebbero fatto del male al regno ariano.
Ma Kronos cadde troppo presto per trasmettere a Zeus questo comando, quindi gli ambasciatori vennero
relegati ai margini della società divina.
Odghin intanto prese coscienza che una trappola stava per incatenarlo per sempre nel mondo di
Zeus, e fuggì dalle coste siberiane, eludendo le custodi alle falde ariane.
Dopo tre anni decise che tutto era ormai compiuto, solo l’estremo sacrificio doveva consumarsi, nel
nome di Enu dispensatore di Rune.
La notte del solstizio invernale, Odghin vide un gigantesco albero , sospeso tra il cielo e la terra , nei
fiordi finnici, alle cui radici stava avvolta come un placido serpente una corda spinata.
Il nume anarchico invocò il nome di Enu quaranta volte dall’ inizio della luna piena, che echeggiò come
il latrato di un enorme lupo grigio tra i ghiacci. E scosse l’ animo dei numi e dei mortali. E salì sino
all’ empireo assoluto ed immobile di Enu stesso.
Dopo prese la corda e risalì sul ramo più alto e robusto dell’albero, che somigliava ad un grosso braccio,
con la nodosità di un gomito nel mezzo e l’estremità simile ad una mano. Lì strinse la corda alle
caviglie tanto che le spine trafissero al carne , facendola sanguinare. Poi legò l’altra estremità alla
nodosità del ramo . E si gettò nell’aria con un urlo che squarciò il buio .
Rimase impiccato per nove notti e nove giorni, e le sue carni vennero dilaniate dai corvi e da ogni sorta
di bestia mandata dalle correnti del Sud, sotto il cielo notturno d’inverno.
Alessandra Biagini
«"Tutto ciò che accade, tu lo scrivi", disse.
"Tutto ciò che io scrivo accade",fu la risposta.»
(L'Infanta Imperatrice e il Vecchio della Montagna Vagante)