Tra Sogno e Realta'

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Ultimo Aggiornamento: 15/01/2009 22:56
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14/10/2008 08:50

Passaggio a Sud est
Carissimi Amici,
quello che segue è un racconto a puntate. Caricherò quindi, sperando che gradiate, piccoli passi. Non sono che un piccola molecola d'acqua, e voi l'oceano, e per questo sono contenta di essere qui a scrivere!! grazie a tutti!



Alessandra Biagini

«"Tutto ciò che accade, tu lo scrivi", disse.
"Tutto ciò che io scrivo accade",fu la risposta.»

(L'Infanta Imperatrice e il Vecchio della Montagna Vagante)
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14/10/2008 08:53

LA CHIESA
I

INIZIO…

Etiopia, 1988. Il caldo secca la pelle in modo tale da spaccarla quasi istantaneamente. I fumi neri densi salgono dai cofani arrugginiti, avvolgendo come una cappa acida la trachea. Il deserto è davanti agli occhi stanchi, costellato di ruderi metallici, di torrette di vecchi carri armati sovietici classe zeta, quelle lunghe bocche di fuoco infossate ormai nella sabbia rossastra, fanno venire in mente la terribile difficoltà di combattere con quei tremendi macchinari, concepiti sadicamente dalla logica di un pazzo. Dentro le torrette un caldo d’inferno accompagnava il povero ufficiale pilota, mentre questa avvitandosi improvvisamente avrebbe potuto decapitarlo in modo netto e fulmineo… Tutto quel marciume ferroso mi teneva lontano anni luce dal vero motivo che mi aveva spinto sino alle sabbie dell’Etiopia.
La Chiesa. Era qui, intorno, sepolta. Rammentavo di aver sentito voci di indigeni attorno alla leggenda della vera Arca custodita nella Chiesa. Loro, gli ultimi sacerdoti copti a guardia di questa strana costruzione ipogea, dicono che il figlio di Salomone fu colui che depositò il terribile segreto dentro il cuore della Chiesa. Noi sappiamo un’altra versione della storia narrata dai copti. L’Arca, se è stata tenuta prigioniera lì dentro, non è stato certo per la salvifica intenzione di Menelik, il presunto figlio di Salomone…E la terrificante battaglia fra i DEWHS sovietici e coloro che stanno a difesa di Axum narra l’altra parte della storia di Menelik. Tanta carne da cannone in campo può essere opera solo delle truppe DEHWS. La cosa è insolita per l’Africa, che vista la sua naturale propensione all’indifferenza del resto del mondo, si presta a d essere campo aperto per gli Scorpioni, data la loro paranoia di essere scoperti e distolti dalla segretezza che nei millenni si sono dovuti costruire. Ma la potenza di attacco e offesa dei DEHWS, specie sovietici, è troppo lontana dalle possibilità belliche degli Scorpioni. Nonostante tutto, questa battaglia, l’hanno vinta gli avversari. Menelik ha vinto per oggi. Succede sempre così dopo un combattimento a campo aperto: la parte vincente lascia il campo all’avversario sconfitto, che deve indagare sulle motivazione che hanno portato a quella battaglia. Una specie di rito cavalleresco che mostra l’Onore del Guerriero.
Mentre cercavo fra i fumosi appigli della logica, nella speranza di ricostruire almeno uno dei motivi che diedero origine alla battaglia di Axum, venni contattato da un Messaggero delle Tavole. In genere un Messaggero delle Tavole è un emissario del nemico, considerato neutrale, e soprattutto inviolabile. La mia percezione di quell’essere quindi non sarebbe dovuta andare oltre alla similitudine con un portalettere di qualsiasi altra capitale terrestre. Mi recapitò un plico, una sorta di fascicolo.
Nella lettera vi erano pagine fotocopiate da un vecchio libro del 1976, alcune con delle linee segnate da un evidenziatore. Poi in una pagina a parte vi era un foglio scritto interamente di pugno e se non ricordo male era questo qui…

- < Prosopesi
Tipologia: Donna in 4 elementi
forse indotta (?)

Legion: se vai ad Ovest verso il delta del Niger fermati presso il loro villaggio Bahajani. Ti sarà forse noto il motivo del nostro interesse verso questo popolo, già ci siamo incontrati su questo terreno… Incamminati quindi verso la Falesia di Bandigaria, territorio Dogon. …
>

Un biglietto di certo piuttosto laconico. Ma Legion è il mio nome. E solo i miei simili possono conoscerlo. I miei simili sono anche i miei avversari. Il nemico è molto più vicino a noi, e su di noi conosce molto di più, di coloro che stiamo difendendo. Non ho amici fra chi combatto, ma sicuro fra i guerrieri del fronte opposto ve ne sono alcuni che non condividono i piani del loro Grande Capo. Sono i nostri Informatori.
Perché mi chiamo con il nome di un diavolo? Per ora sappiate che questa guerra viene combattuta su piani che devono essere sigillati alla mente delle persone da difendere.
Secondo la lettera quindi mi sarei dovuto dirigere dall’altra parte del continente, attraversando il Sahara, in piena stagione estiva… E con i mezzi di trasporto africani ormai del tutto inesistenti. Ma se quel Messaggero delle Tavole fosse stato davvero un Informatore o un suo emissario, di certo sarebbe stato interessante, a dir poco, recarsi nella regione del Mali.
Poi la nota del foglio: Prosopesi. Un caso di personalità multipla ESP. E conoscendo l’immenso archivio che i nemici hanno sui Dogon, sarebbe dovuto essere un caso davvero particolare per interessarli.

[Modificato da Skyplayer 14/10/2008 13:18]

Alessandra Biagini

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24/10/2008 09:35

2a Puntata - il Diario di Geiko nella sua prima vita
Un innaturale quanto oscuro senso di stanchezza morde ogni muscolo del corpo, avvillupando le emozioni in un limbo interiore di colpa: è la scia spettrale lasciata dall’incontro con i Nypoqyas. Creature che gremiscono gli abissi di questo mondo, concepite dagli umani per custodire i loro più remoti saperi e i loro enigmi senza tempo. Ombre che provengono da gelide steppe nel cuore sterminato del pianeta Terra, esseri del tutto sconosciuti prima. Io sono Geiko, oggi ho due strisce nere sul petto, ma all’epoca di quanto sto narrando, ero solo un guerriero siriano bambino, e il mio nome era ancora Kelleb. Dei Nypoqyas non avevo alcuna nozione, nessuno fra gli adulti e gli educatori del mio Clan e nella Caserma mi raccontò su questi esseri.
Per quanto riguarda gli abitanti della Terra, gli umani, non ebbi modo, prima di allora, di allontanarmi dalla Caserma e il mio Clan non ebbe alleati di questa specie. Per me e i miei coetanei, i terrestri erano solo i nemici da combattere in un mondo da conquistare.
E il mondo da conquistare era quel ‘tutto’ che circondava le mura di cinta della caserma. Le terre a noi assolutamente proibite, sogno spasmodico dei nostri giochi, e meta irresistibile della nostra infantile curiosità. Le sentinelle ci controllavano con premura, specie nei giorni in cui i nostri soldati avanzavano in campo nemico per azioni di guerra. Allora, infatti, era altissimo il rischio di attacchi umani alle nostre caserme. Così, chiusi in quelle mura, ci sentivamo un prigionieri di due mondi in guerra. I nostri respiri di libertà arrivavano oltre le barriere imposte dalle sentinelle, volevamo vedere, capire… Perché ci proibivano di guardare quel mondo oltre il muro? Cosa c’era di tanto malefico e malsano da metterci in pericolo? La guerra… sì, è vero, infuriava. Gli umani ci avrebbero forse ammazzati senza pietà. Ma questo non frenava il nostro desiderio di scavalcare quel muro.
Io sono nato assieme ad altri siriani in Caserma, nello stesso momento, e nella medesima incubatrice, poiché le nostre madri, essendo gravemente colpite dalla Polvere Rossa, e indebolite, non avevano la forza necessaria per portare avanti l’incubazione naturale. Eravamo sempre in quattro, noi, con Qhemm, Shanymm, Domep, alcuni ci chiamavano ‘i Quattro di Marte’ perché alla nostra schiusa Marte era ben visibile a occhio nudo nel cielo terrestre. Evento rarissimo.
Un giorno però l’occasione accadde. Il Muro rimase sguarnito per un pochi secondi. Tanto bastò per porre in essere la nostra avventura. Domep guidò la sortita. Scavalcammo subito la cinta, e ci trovammo in un canalone secco, che pareva inoltrarsi verso una città. Shannymm, la femmina, ebbe un po’ di paura all’inizio, quel panorama tanto vasto la intimorì, ma poi si fece coraggio e riprese a camminare.
- Ma è vero che gli umani sono alti tre metri? – fece Qhemm.
- Non dire sciocchezze! – risposi, come un vero studioso di antropologia. – Gli umani sono alti più o meno come noi siriani, ma hanno i peli sulla testa, perché sono mammiferi!
- Mammiferi?? Non ne ho mai visti, i topi sono mammiferi…Ma quelli li mangiamo, mica ci fanno la guerra! – replicò Shannym.
- Anche gli umani sono mammiferi… - troncò la discussione Domep.
- I mammiferi sono la specie dominante sulla Terra. – concluse. – Ora zitti, altrimenti le sentinelle ci scoprono!
Ci incamminammo lungo il sentiero che pareva allungarsi in modo infinito verso il villaggio umano. Le ombre di un tramonto inconsueto, non filtrato dai drappi rossi dei nostri soldati, ci accoglieva nel suo smisurato orgoglio di libertà. Sapevamo del pericolo rappresentato dagli umani, ma questo, anziché farci desistere, ci sosteneva, facendoci somigliare ad antichi eroi siriani, partiti un giorno attraverso il gelido cosmo, per salvare il proprio popolo, e giunti sino al confine dei raggi stellari noti. Questo volevamo vivere forse: un’avventura epica, una sorta di viaggio iniziatico attraverso quel mondo proibito.
Il sentiero ci portò lungo una fitta foresta, abbandonato il canalone di cemento fummo infatti introdotti in un bosco oscuro e intricato.
- Diavoli! – fece Domep. – Non avevo mai visto tanta vegetazione!
- Sembra di essere nel Libro della Giungla!! – aggiunsi.
- Non mi sorprenderei di incontrare Baghera…- replicò Shannym.
- Vi ricordate Jumanji? – .
- Il film con Robin Williams? Sì, lo ricordo bene, Qhemm – risposi.
- Ricordi anche quello strano suono di tamburi vero?
- I tamburi, sì, come no! – rise Shannym.
- Allora non vi sembrano simili questi rumori?- continuò Qhemm
- Che cosa dici? Di quali rumori parli? – feci.
- Ascoltate! Possibile che non sentite?
- Silenzio! – comandò Domep.
In lontananza cominciammo a percepire rumori sotterranei, oscuri. Sembravano effettivamente dei battiti ritmati nel profondo di qualche antro ipogeo.
- Lì, li sento venire da lì! –
Qhemm indicò un luogo oltre quell’intrico di arbusti e piante. Tendemmo tutti i nostri sensi per captare quelle vibrazioni. I nostri volti erano scossi da fremiti oscuri, di tonalità bassissime, che ci entravano nella mente attraverso i loro movimenti nell’aria. Ma decifrarli ci era davvero impossibile. Non somigliavano a voci umane, né ad altri versi di animali terrestri. Domep alzò il mento, per saggiare ancora più sottilmente l’aria, alla ricerca di vibrazioni ‘calde’ tipiche dei mammiferi. Ma nulla. Silenzio. Ancora soli con quel ritmo profondo. Spesso durante la notte uscivamo nel parco della Caserma, per andarcene a caccia, erano battute infantili, quasi senza neppure lo scopo della caccia. Ci piaceva pianificare la battuta, come un gioco da tavola: disegnavamo il giardino e poi cercavamo di mettere in pratica quanto ci eravamo prefissati. Le nostre prede variavano dai ratti del magazzino, sino a qualche coniglio selvatico del campo, o un gatto, mai animali più grossi. Le nostre mani erano ancora poco robuste e non avrebbero di certo potuto trattenere un umano! Ora però avevamo paura che la nostra caccia di avventure ci avesse portati davanti a una preda troppo grande. Ma con l’incoscienza di un’infanzia trascorsa nel mezzo di una guerra troppo orribile, decidemmo di raggiungere l’origine di quei cupi battiti. Aprimmo tutti i nostri sensi alla percezione dell’aria. E seguendone ogni mutamento e ogni vibrazione, finalmente raggiungemmo un luogo in cui quel sinistro suono sembrava percuoterci più intensamente.
- Una grotta! – feci, entusiasta.
- Bella! Guardate come scende in profondità! – fece Qhemm.
- Chissà quant’è profonda, effettivamente…- si chiese Shannym.
- Buttiamoci un sasso e ascoltiamo il tonfo. – suggerì Domep.
Così facemmo. Gettammo in quell’abisso una pietra piuttosto pesante. Dopo alcuni secondi sentimmo un tonfo nell’acqua.
- Acqua? C’è un lago sotto? –
Ero eccitatissimo, come può esserlo un bambino guardando l’ignoto davanti a se, sotto forma di una profonda gola nelle viscere della terra.
- Però è troppo alto, non possiamo calarci così! – feci.
Sentimmo gridare Qhemm dietro. Ci voltammo: - Guardate, c’è un altro ingresso. Stavolta sembra percorribile…
In effetti vi era un’altra apertura nella roccia, più orizzontale, e praticabile per dei corpi alti neppure un metro e mezzo. Ovviamente ci infilammo dentro. Il buio si rifletteva nei nostri occhi, e assieme ai mulinelli elettromagnetici della roccia ci regalava un panorama incredibile e meraviglioso. C’era un mondo dentro il mondo che andavamo a scoprire quella notte… Le vibrazioni ora erano purissime e si poteva percepire un chiarore irreale nella nostra mente, i piccoli corpi dei pipistrelli erano perfettamente riconoscibili nel loro infimo pulsare. Ci trovavamo in un altro mondo, con sensazioni e percezioni mai provate prima. Anche fra noi era facilissimo connetterci attraverso quelle vie così perfette di magneti e elettricità sotterranee. Tanto che smettemmo per molto tempo di usare la voce per comunicarci ogni cosa. C’erano dei piccoli animaletti bianchi simili a salamandre in quei laghi cristallini. Ne facemmo una scorpacciata: avevano un sapore misto di mare, roccia e funghi. L’acqua non era assolutamente fredda. Forse una corrente sotterranea di gas la scaldava… Nuotammo. Cacciare in acqua era una delle attività più intensamente desiderate da noi, ma non potevamo quasi mai esaudirla. Le sentinelle non ci portavano spesso al lago del parco: troppo lontano dalla Caserma, un luogo poco riparato e insicuro. Finalmente potemmo scaricare la voglia di spingere l’acqua con i nostri platagi interstiziali delle dita, questo ci faceva sembrare di essere ancora quei grandi signori del mondo che un tempo dominavano sulla Terra e su Sirio. I Draghi.
Ma poi il suono riprese. E fu molto più intenso. Qhemm balzò fuori dall’acqua.
- Sentite? –
Tutti avevamo ora percepito la ripresa di quel tetro battito.
Eravamo spasmodicamente attratti da quel suono. E ci inoltrammo ancora oltre nella grotta. Finalmente dopo un bel pezzo di cammino, quasi strisciando, giungemmo in una sala enorme, dalla volta di roccia perfettamente liscia. Non sembrava qualcosa di naturale… Lì il battito divenne quasi una musica complessa, una melodia lontana, irriproducibile…
C’era qualcosa disegnato sulle pareti di quell’enigmatico luogo sotterraneo. Sembrava a prima vista una cartina geografica, schizzata di fretta, in modo piuttosto infantile, come quelle mappe che vendono assieme a certi romanzi fantasy. Era un pittura enorme… impressionante. Adornava tutta la sala, avvolgendo l’intera realtà di quel posto. Poi riuscimmo a leggere delle scritte. La cosa più strana era che le leggemmo in Siriano, nella lingua del nostro mondo natale:

< Ciò che leggete al buio corre in questi tempi.>

Poi di lontano, muovendosi come un gatto di notte, notiamo un’ombra. Una figura antropomorfa, alta, sinuosa, che si staccava quasi dalla tenebra prendendo vita. Ci venne incontro. Ora era davanti a noi. Notammo perfettamente il viso adunco, dai lineamenti ossuti e triangolare. La pelle diafana, tanto da sembrare trasparente faceva notare l’architettura del tessuto venoso. Indossava una strana veste lunga, dorata, leggera come la carta velina. Fu Domep che parlò per primo fra noi:
- Noi siamo soldati di Sua Maestà. Voi, signore, chi siete?
La figura era più vicina agli umani che a un siriano, la pelle liscia e morbida, senza squame, faceva pensare che fosse uno strano tipo di mammifero.
- Bene, soldati…bene. Sapete che questo posto è proibito? – disse con una voce
simile a un lamento tremendo.
- Oltre non potete andare, questo è il regno dei maghi che non sono ancora morti, e i maghi lo sorvegliano. – continuò.
- I Maghi? Siete un Mago, signore? – dissi, con lo stupore di un bambino colto di
sorpresa da un mago.
- Sì, mio caro soldatino reale… E noi maghi non amiamo gli ospiti. Specie se questi non sono stati invitati. –
- Che ci volete fare, adesso? Voi siete solo uno, noi quattro e per di più siamo combattenti siriani! – fece Domep con orgoglio sfrenato, e un’incoscienza infantile altrettanto ambiziosa.
- Uh… combattenti siriani… sì, immagino, moolto feroci…davvero.
Tutt’attorno l’ombra delle tenebre prese ad animarsi e altri figure simili si staccarono dal buio. In poco tempo ci trovammo circondati da quelle evanescenti creature.
- Noi siamo il popolo dei Nypoqyas, custodi e osservatori del tempo che scorre in questo mondo… Non aspettavamo ‘soldati’ siriani. Voi avete varcato i nostri confini interdetti dell’abisso temporale.
- Se vi abbiamo offesi, chiediamo scusa, e se non vi stanno bene le nostre scuse, dovrete vedervela con me. – fece Domep assumendo un’aria da Grande
Condottiero.
- Oh, no, non vogliamo combattervi, ‘signori’… al contrario. Vi faremo un regalo. Ora uscirete dal nostro regno portando con voi qualcosa che ci appartiene. Dovrete consegnarlo a chi comanda dei vostri ‘veri’ soldati. Presto noi sapremo se siete stati in grado di portare a termine il vostro compito oppure ve la siete svignata, in preda alla paura della punizione, dopo una così grave bravata…
- Svignarcela?? Ma per chi ci ha presi??? – mi alterai. – Dateci quello che ci dovete dare, e noi riferiremo al nostro Comando! – feci, con il piglio di un vero
ufficiale.
Il Nypoq ci tese una specie di quaderno sottile, dai fogli di una sottigliezza incredibile, e fatti con una carta mai vista prima: morbida come pelle, e sottilissima.

Tornammo indietro. In realtà la nostra paura che il Comandante ci potesse punire severamente per la nostra ‘evasione’ aleggiava feroce, ma avevamo dato la nostra parola di Soldati di Sua Maestà, e non potevamo disattenderla.
Era una questione di Onore, come si fa tra i guerrieri adulti.
Infatti il Comandante si adirò moltissimo, ci rinchiuse per tre giorni nella nostra camera comune, e non ci fece toccare bibite dolci né altre squisitezze, solo lombrichi viscidi e amari da trangugiare. Però poi tornò sulle sue decisione. Entrò con noi nella stanzetta e assieme a noi si sedette sull’unico grande letto. Aveva un’aria rattristata, pesante, ci carezzò la nuca uno ad uno. Poi parlò: - Di certo avrete avuta molta di paura…ma siete stati capaci di affrontare un simile pericolo a testa alta…bravi. - - Siamo soldati! – fece Domep- Il Comandante sorrise.
- Mio Signore, ma cos’era quella cosa che ti abbiamo consegnato? – chiesi,
curioso. Lui mi guardò e sospirando disse:
- E’ meglio che queste cose i bambini non debbano venire a saperle. Ma ormai vi ci siete trovati in mezzo, piccoli. Ci sono luoghi nell’Universo che i vermi scavano nei secoli più oscuri, tunnel che collegano mondi ed epoche lontane, che non andrebbero mai rivelati. Questi cunicoli è meglio per tutti che non vengano mai in superficie. E che siano per sempre sepolti nella dimenticanza.
- Quel quaderno…era strano! – fece Shannym.
- Sì. Sono morti degli umani per quel quaderno, infatti. Ma è una cosa troppo brutta per spiegarla adesso. Ora siete liberi dalla mia inutile e stupida punizione. La vostra condanna è già stata scritta…mi dispiace, ragazzi.

Anni dopo capimmo. I Nypoqyas sono come infezioni virulente. Devastano la memoria di chi li incontra. Il nostro dolore era ormai diventata una costante. In quel quaderno, dalle pagine in pelle umana, era vergato l’anatema di potenti stregoni, contro le truppe Siriane e coloro che avrebbero tentato di accedere alle caverne interdette. Noi quattro ricordavano atroci morti, guerre perse in un tempo arcaico, abominevoli abissi, e mostruosi monarchi… perché? Ancora oggi me lo chiedo.
Ma la Storia comincia ora…




Alessandra Biagini

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25/10/2008 09:36

3a puntata - il Villaggio Dogon
-Se i Dewhs abbassassero la guardia sui Dogon, quelle persone potrebbero scomparire dalla faccia della terra, e ritrovarsi nello spazio profondo a bordo di un’astronave madre. La mia è una missione quasi obbligata- ...
pensavo, mentre la sabbia infuocata del Sahahra scorreva sotto i miei piedi. Molti fenomeni accadono nell’ultimo villaggio Dogon controllato dal popolo delle Tavole, che in realtà chiamiamo Gente del Draco…è una questione che presto dovremo risolvere. Questa guerra fredda fra i nostri schieramenti si sta crepando ormai, i segni di nuovi focolai di ostilità cominciano a intravedersi nel continente africano, attacchi continui e militiari, alle nostre basi di accesso e alle chiese confermate da parte dei Drachi, attentati ai nostri ufficiali, sigilli spezzati e furti di sangue di Carnaak dalle terre sotto la nostra protezione…tutto fa pensare a un’attività preparatoria verso future azioni più manifeste di guerriglia. Mi aspetto quindi in questo territorio un muro di ostilità dagli ambasciatori Drachi.
Il Villaggio Banjani si trova nella falesia di bariengaria, uno dei luoghi più belli della Terra, tanto per comabiare, essendo un luogo di enorme interesse starategico, è stato posto dal comando dei Dewhs nella lista dell’UNESCO come ‘patrimonio dell’umanità’. E’ abitato, appunto, dalle tribù dei Dogo, si sviluppa su un terreno collinare degradante verso la savana, Gli edifici sono delle casette solide, ben costruite, in muratura di fango, con tetti spioventi e conici attaccati l’uno all’altro.
Il mio volo sul deserto s’interruppe quando arrivai innanzi alla Falesia.
Il tempo e lo spazio tornarono una cosa sola per la mia mente, uscii dal sistema di viaggio, trovandomi la foresta africana davanti.
Nessuno dei Dogon attendeva il mio arrivo, nessuno attende mai il nostro arrivo. Nessuno conosce la nostra missione e il Progetto. Mi avanzai quindi nel villaggio, mentre cercavo qualche anima a cui rivolgermi, notai che gli edifici recavano sulle pareti dei segni particolari. Al primo colpo d’occhio mi parvero essere geroglifici, e la loro natura mi sembrò alquanto familiare. Finalmente un abitante del luogo mi notò (farmi notare non è la nostra tattica d’intervento, ma in questo caso, la mia missione richiedeva un mio approccio diverso, e per questo mandarono me: sono preparato a ‘essere notato’ dagli umani terrestri). L’abitante che mi venne incontro era una vecchia donna dogon, dalla pelle scura, seccata dal tempo, come la corteccia di un albero roso dai venti bollenti della savana. Mi colpirono i suoi occhi dalle iridi quasi rossastre, come di rame, puntate verso di me.

IL VILLAGGIO IN UNO SCHIZZO TRATTO
DAI QUADERNI DELA CAMERA SEGRETA







[Modificato da Skyplayer 25/10/2008 18:50]

Alessandra Biagini

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25/10/2008 17:57

4a Puntata - Ospiti
Accanto alla donna comparve una sagoma spigolosa, avvolta in una tonaca nera dal colletto rigido e bianco, dapprima nascosta da una coltre di polvere d’arenaria.
-Mister Lee Jhon, piacere di averla fra noi, finalmente hanno deciso di mandare qualcuno! - mi fece allungandomi la mano.
- Piacere mio, ma con chi ho l’onore di parlare, padre?
- Sono Don Abelardo Antinori, gesuita.
- Gesuita? Insolito.
- in effetti sì, non è conuseto, ma sono qui per motivi di studio. Venga, le faccio conoscere i mie confratelli e il villaggio…
“Mi presenti gli altri preti, ma non la gente del villaggio? Benedetto fratello, allora non hai davvero capito nulla!” Pnesavo, andando dietro il chierico ma riflettevo.
- Scusi un momento, padre. - interruppi la marcia. - Devo osservare meglio questi segni sulle mura, se non le dispiace.
- Sì … ma le avremmo mostrato noi la situazione…- balbettò sospettoso.
- Vi ringrazio della premura ma ci sono cose che devo vedere da solo. -
Mi accostai a uno degli edifici bassi e tondeggianti, e calcai con le dita quegli strani geroglifici, di aspetto familiare, dai tratti serpeggianti.
- Posso vedere l’edificio principale?- chiesi
- ma veramente… dovremmo presentarci dagli altri.- replicò tentennando il gesuita
- Ho bisogno di studiare subito il caso e devo vedere l’edificio principale.- ribadii.
- mmm…d’accordo, obbedisco.
Il prete mi portò su una salita fangosa della falesia, da cui ci inerpicammo attraverso la collina. - scusi, Antinori - chiesi . Il gesuita si voltò ansimando per l’arrampicata - mi tolga una curiosità. -
- mi dica. - fece.
- Se questo è un villaggio Dogon, dove sono i Dogon? A parte la vecchia di prima, non ho incontrato ancora nessun abitante Dogon…
- Al sicuro, i Dogon sono al sicuro, mister Jhon-
- nel senso che li avete interrati nella base Dehws più vicina? Io non ne ho notizia però, strano.
- No, no… nessuna base. Sono …sono in una nostra cattedrale non lontano.
- Una cattedrale non lontana? Oh, bella, esiste una cattedrale nel mezzo della giungla africana?
- mister Jhonson, mi consenta di non essere troppo indiscreto. La chiesa non è esiste solo dove è possibile raggiungerla comodamente…
- La chiesa è la casa dio, ma lei ha parlato di cattedrale: dio costruisce i suoi più lussuosi castelli nelle giungle?? Mah…
- Lei è entrato in questo villaggio diffidente verso la nostra opera, posso sapere il motivo della sua diffidenza?
- No. Per ora no, mi creda, è meglio così. -
Raggiunta la sommità dell’altura, l’edificio finalmente mi appare nella sua importanza. E’ solido, circolare, con due torrette ai suoi lati. Il tetto conico ricorda lontanamente la sagoma di un castello europeo. Dal punto in cui sorge si può guardare tutta la Falesia e da quel punto si scorgono anche due o tre ingressi ipogei, nascosti nelle rocce stesse. Le mura dell’edificio possiedono una cinta di geroglifici che percorre l’intero diametro della casa principale, mentre le torrette sono pulite. Entrando nell’edificio il colpo d’occhio è strano: tutto è vuoto. La parte centrale del soffitto è pitturata con un disegno che ricorda una volta stellata.

DAL QUADERNO N.25 DELLA CAMERA SEGRETA
Edificio 342 J\n\w-africa dell'Archivio D-UNSC
(l'edificio principale del villaggio Dogon)


[Modificato da Skyplayer 25/10/2008 18:51]

Alessandra Biagini

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storie dal cosmo profondo
Memorie di Viaggiatori

FHAREM

Di: Alessandra Biagini


Scrivo queste righe con un’ansia crescente, e le scrivo forse per questa ragione. Spero infatti che i demoni del passato possano rimanere intrappolati per sempre in questa pagina, ma non lo faranno, già lo so. La storia, amici miei che sto per raccontarvi è una delle più drammatiche che ho raccolto sino a oggi. E sono rimasto invischiato nella sua tristezza morbosa. Sembrerebbe al primo impatto una normale storia di fantasmi di bordo, ma giudicate voi.

Fharem nacque circondata da un’aurea di trepidante attesa . Suo padre Ghorkall era uno dei più noti Condottieri di Sua Maestà. Uno Stratega Reale il cui seme andava piantato per dare frutto all’Esercito. Purtroppo più ci si avvicina alla linea di sangue reale, più diventano rare le nascite sane. Il Re può sperare in un discendente solo, e così anche i suoi consanguinei. Ghorkall ebbe la fortuna di vedere fecondata finalmente una bella donna, Mandanyw, un po’ più lontana dalla Casa Reale, ma un Comandante coraggioso e astuto della Guardia.
Ma venendo alla luce Fharem recò una delusione drammatica alla corte di suo Padre. Le sue squame rosee e i suoi occhi così azzurri da sembrare grigi, colpirono nell’anima lo sguardo dello Stratega Reale. La voce della piccola era acutissima, e non vi era profondità di carattere. Che razza di guerriero sarebbe divenuta, un rettile albino, rosa, con la voce squillante come un citofono? Ve la immaginate voi Fharell sul campo di battaglia? Una Lucertola bianca in mezzo all’esercito di Rettili scuri, con forti squame verdi screziate di nero, un bersaglio facilissimo, quasi messo apposta lì per segnalare le schiere di Sua Maestà. E poi la cosa più atroce: avrebbe interrotto la linea di sangue di Ghorkall: infatti chi avrebbe accettato quell’ascendenza genetica fra i Condottieri Reali? Quale Comandante avrebbe accettato di riprodursi con una Lucertola albina? La sua piccola sarebbe destinata a una vita di solitudine? Ghorkall forse era più scosso da quest’ultima ipotesi che dalle altre infinite problematiche legate alla condizione della figlia.

Ma Fharem crebbe. Sia pure con qualche difficoltà. La sua pallida pelle era poco resistente al sole della Terra. Quindi dovette rimanere a bordo dell’Astronave Madre mentre suo papà era sul campo di battaglia. E il suo insolito aspetto avrebbe fatto di lei un bersaglio troppo facile per attaccare il Comando di Ghorkall: senza una discendenza sicura avrebbe infatti subito gli attacchi dei più giovani Strateghi. Cercò quindi di riparare sia la figlia che se stesso dalla luce del sole, lasciando che Farhem non abbandonasse mai l’Astronave. Quasi nessuno, eccetto la nutrice più fidata, l’Attendente dello Stratega e i suoi fedelissimi soldati del fronte, sapeva della nascita della Lucertola Bianca. Accade fra i Siriani che una nascita così venga ‘eliminata’ subito, altrimenti diviene una questione ‘di Stato’ e intervengono alti magistrati addetti a tale scopo.
Il giorno della tragedia infatti il Magistrato inviato dal Grande Capo era sull’Astronave Madre di Ghorkall, i soldati sapevano del motivo per il quale l’Autorità era venuto a bordo. La mestizia si poteva palpare nell’aria. Tutti sapevano quanto bene quel rettile volle alla sua bimba. Ma qualcuno tradì il Comandante e riferì alla magistratura di quel caso di albinismo. La Guardia del Magistrato si mise a perquisire tutta l’Astronave Madre, cercando Farhem, la quale era stata tenuta ben nascosta. Ma alla fine venne individuato un giovanissimo Sergente dei Militari, pronto per saltare a bordo di un caccia in partenza. Ma la poca esperienza del sergente e l’astuzia del Capitano della Guardia fecero sì che il primo venne colpito a morte. Farhem era a bordo della navicella, venne tratta dal Capitano sul ponte dell’Astronave. La Bimba urlò disperatamente, invocando l’aiuto del padre. Il padre contravvenendo alle leggi ferree della Genetica Reale, intervenne. Il Capitano non sentendosela di colpire un Comandante chiamò il Magistrato. Farhem intanto fuggì rapida oltre un corridoio. I Soldati della Guardia la inseguirono, a loro volta seguiti dai Soldati di Ghorkall. Si udirono clangori metallici, colpi di pugni. Poi un urlo devastante, capace di ghiacciare tutti in un istante eterno. La Guardia e l’Equipaggio arrestarono il loro duello. Farhem parve scomparsa nel tunnel.
Il Tunnel! Portava diritto a un bocchettone di uscita dell’aria. In pratica portava a contatto diretto con lo spazio profondo. Nessuno vide più la piccola Lucertola Bianca. Ed è ora, dopo quasi vent’anni, che la nostra storia ha inizio, amici miei.
Scendiamo in quel corridoio, siamo in quattro. E siamo tutta gente di guerra, poco suggestionabile. Abbiamo un lavoro da compiere: controllare i bocchettoni di uscita dell’aria. Imbocchiamo il tunnel e ci rechiamo verso il nostro obbiettivo. Ridiamo e scherziamo, perché il giorno abbiamo appena festeggiato il compleanno di uno di noi. Ma non siamo ubriachi, altrimenti rischieremmo la galera.
A un certo punto una risatina talmente sottile e stridula ci blocca. Guardandoci attorno non scorgiamo alcun minorenne nel tunnel. Ma quella vocina è così acuta che ora pervade quasi tutta l’aria. Un bel guaio! Se non troviamo il bimbo questi si caccerà in un pasticcio! La zona dei bocchettoni a ventole è molto pericolosa e interdetta agli adulti, per i bambini è quindi un luogo infernale! Ci mettiamo a cercare ovunque nel corridoio. Niente. Poi la risatina si trasforma in pianto: pensiamo al peggio! Stiamo per dare l’allarme generale, ma un istante dopo udiamo urlare : - Papà!- in modo così straziante, da congelarci in un tempo oltre la paura e l’incubo stesso. E’ un pianto che invoca un aiuto disperato, senza tregua, dal tono mortale. E’ la stessa vocina stridula delle risatine.
Poi i miei compagni mi fanno cenno: un’ombra bianca dai riverberi azzurri emerge dall’oscurità ci viene incontro, fugge oltre di noi e scompare nella parete. Poi ritorna, però ora si sofferma e sembra guardarci, sembra l’essenza di una piccola creatura, e mano, mano , diviene una figura più nitida. Ora sembra una bambina. Ha la pelle bianca come il marmo, e gli occhi sono di un azzurro rosa insolito. Cerco di capire, le domando chi sia, ma lei: - Dov’è il mio papà?-

Nella sua voce c’è uno strazio pesantissimo, vorrei sapere di più, le dico che le avrei cercato suo padre, se ci avesse seguiti… Ma la piccola ombra: - Dov’è il mio papà? – sembrava non sapesse dire altro.
Capimmo solo dopo molto chi fosse quella bimba. Dopo che Zaqqa, un’anziana nutrice di bordo, ci raccontò, sgomenta, la storia di Farhem, la Lucertolina Bianca. La nutrice alla fine disse: - Ecco, ora so dov’è andata… la mia piccola Farhem…Ghorkall stai tranquillo, fra un po’ saremo di nuovo tutti assieme…- Qualche giorno dopo Zaqqa spirò. Dopo altri pochi giorni anche il vecchio Ammiraglio Ghorkall morì. Poi, passando per il tunnel ci hanno detto che si sentono spesso delle voci, una femminile, adulta e dolcissima che intona una ninna nanna, ora un’altra infantile che sprona al gioco, e ora una di maschio, ferma e sicura, ma profonda, che le risponde… solo voci.

***

Alessandra Biagini

«"Tutto ciò che accade, tu lo scrivi", disse.
"Tutto ciò che io scrivo accade",fu la risposta.»

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15/01/2009 22:56

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Memorie di Viaggiatori

LA FORESTA DI HOLLWEQ

Di Alessandra Biagini

La Foresta si spinge ben oltre la cinta preistorica di Hollwafeq , montagne ormai lise dai secoli. Oltrepassa le vecchie paludi di Jhull, e sale verso l’altopiano di Mookoq, dove avvolge gigantesche vestigia di pietra. La mia casa natale sta proprio lì, a duemila metri di altezza, affogata dalla giungla più primitiva di Sirius. Sono nato avvolto da un’umidità folle, ho respirato acqua sin dai primi momenti della mia schiusa, e quell’odore intenso di fogliame disfatto e funghi del sottosuolo mi accompagnerà per tutto il resto della mia esistenza. Gli alberi qui sono i veri magistrati del tempo, loro sanno tutto, nei tronchi molli vi si racchiudono le informazioni climatiche e le memorie biologiche di questa incredibile Giungla. Attorno a Mookoq si estendono i quattro Grandi Deserti, ed è un panorama senza confini di un colore rosato che inonda di caldo arido tutto ciò che lo guarda, ma dagli occhi gettati di chi siede sull’antica Piramide, sembra di guardare un mare senz'acqua. Da piccolo andavo spesso alle Rovine di Mookoq, ai fanciulli non sono interdette le zone dell’epoca verde, considerate dalla mia gente come sacre. Sicché mi recavo spesso fra quelle colonne e quei cortili avvolti dalla primigenia giungla, assieme ai miei fratelli. Eravamo almeno una decina, la covata del mio Clan. Eravamo quasi tutti uova uniche, di altrettante madri. Fu una sera, le sere di Sirio durano un’infinità, mentre cercavano quegli stupendi animali lunghi quasi dodici metri, che dormono nelle paludi, che ci accorgemmo dello Spirito di Mookoq.
Jillass, mia sorella, e Kherr, mio fratello, si spinsero dove le acque si addensano di più, divenendo una profonda melma, non pericolosa, ma tanto amalgamata da rendere difficile sospingere la barca. Rimasi sul vecchio albero in attesa di un avvistamento. All’improvviso vidi finalmente lo scintillio metallico dai riflessi rossi e blu, ero emozionato, dopo un’attesa così faticosa, la ricompensa era un bellissimo spettacolo: un maschio lungo almeno otto metri!
Segnalai l’avvistamento alla barca. Jillass preparò la rete, mentre Kherr pensò di avvicinarsi senza far troppo rumore, scivolando con il suo corpo nel fango. L’animale avrebbe potuto uccidere mio fratello stritolandolo fra le sue spire, ma la nostra Famiglia possiede i più abili cacciatori di Sirius, da generazioni l’Huwaq è la nostra preda, e il nostro talento. Kherr era ormai quasi a un passo dall’Huwakq mi affrettai ad avvicinarmi, mia sorella invece si appostò dietro il canneto, con la rete e la barca. Tirai fuori il coltello, come mio fratello. Kherr scattò, io lo seguì immediatamente. L’animale si levò dalla melma, con un gemito acuto e penetrante, Jillass accorse con la barca, gettò la rete mentre Kherr tirò fuori l’enorme testa triangolare dal fango, cercando di recidere subito la giugulare. Io trattenevo il mastodonte per il corpo. Finalmente la rete mi aiutò a placare gli spasmi di quei muscoli possenti e Kherr poté ucciderlo. Davvero una bella cattura, avremmo mangiato quella carne per giorni! E con la siccità che assediava il nostro mondo, specie nei grandi deserti, i viveri provenienti dalla caccia erano una risorsa essenziale.
La gente di Ramhanan sa cacciare bene, e sfama le popolazioni limitrofe alla Giungla, che invece si dedicano a una vita più speculativa. Imbarcammo con un grande sforzo di gruppo l’animale di oltre un quintale di peso, e si era fatta notte fonda quando il corpo affusolato era ormai completamente a bordo. La luce delle lune si rifletteva in un misterioso gioco di mille lumi più piccoli e variegati nei colori, frangendosi sulle squame viscide dell’animale. Cercammo un riparo dove riposarci. Proseguire lungo le paludi di Hogradall a quell’ora non era semplice, e presentava qualche pericolo di natura animale…troppi predatori grossi e potenti si stavano svegliando per andare a caccia! Trovammo un piccolo anfratto in un gigantesco tronco vuoto, ci pareva un castello per la stazza della sua corteccia! Ed era accogliente. Ci rintanammo lì dentro, e mangiammo qualche raganella succosa tipica di quelle acque salmastre. Cospargemmo di fango e muschi la nostra preda, perché non venisse localizzata dal naso di altri intenti famelici. Fu Kherr che cominciò, ingollandosi una grossa rana: - Guardate che fumi! –

Piccole colonne di un vapore azzurro su levavano dalla palude, rischiarate dalla luce delle lune.
- Sono secoli che qui non caccia nessuno, sapete? – continuò mio fratello.
- E tu che ne sai? – fece Jillass
- Primo perché ho più anni di te, secondo perché me lo ha detto il Patriarca.
- Il Patriarca? A me non ha ancora mai rivolta una parola! – dissi io, dispiaciuto.
- E che vuoi? Un Patriarca non può mettersi a parlare di certo con uno che ha cambiato la prima pelle sei mesi fa!
- Ma io …
- Sai come è! – sospirò Jillass – Regole del Rango…Continua Kherr, che ti ha detto il Patriarca?
- Qui è zona dell’Epoca Verde, è sacra, e gli adulti non possono venirci, ma sono secoli che nessuno rema in questi fanghi. Sapete che il Patriarca all’età nostra catturò un Huwaq di sedici metri?
- Ma dai! – feci incredulo – nessuno ha mai avvistato questi animali più grossi di una decina di metri!
- Il Patriarca invece catturò quell’esemplare che sta impagliato al Museo… Tu lo sai Jillass, hai sentito com’è andata, vero?
- Certo! – fece squillante mia sorella.
- Shh! Guardate! – feci, improvvisamente, levandomi in pedi sulla barca.
Una colonna di vapore mi pareva più alta e imponente della altre. E per un istante mi parve di intravedervi un’altra barca appena dietro: - Forse non siamo soli a cacciare stasera!
- No, è impossibile, gli altri sono rimasti alla Tribù, e noi siamo gli unici ad esserci allontanati, qui poi caccia solo il nostro Clan... e gli adulti non possono venirci. –
- Forse…- stavo finendo di parlare quando Kherr mi tiorò giù di colpo.
- Maledizione! E se sono cacciatori di frodo? Magari guerriglieri di XHyon!
- XHyon! … non saprebbero districarsi nella Foresta. .. – disse a bassa voce Jillass.
- Dannazione, allora sono bracconieri! – continuò Kherr.
- Stà giù Adux! – mi fece, mentre estraeva dalla fondina il suo coltello. – Per quanto è vero Rhamanan, io li ammazzerò a questi scellerati!
- Kherr, no! – impose Jillass. – I cacciatori di frodo sono pronti a tutto, ti faranno la pelle!
- Ma loro hanno bestemmiato il Grande Capo! Non possono violare i suoi luoghi e cacciare le sue prede, solo la nostra Famiglia ha questo Onore!
- Jillass, è vero – feci io – ci hanno disonorati!
- Sì, fratelli, ma… forse sarebbe meglio tornare alla Tribù… e denunciarli.

Mentre mia sorella cercava di placare i nostri animi arroventati dall’onta subita, scorsi uno strano livore sorgere sul luogo in cui avvistammo gli intrusi. Lo feci notare ai miei due compagni di caccia. Kherr e Jillass rimasero in silenzio, disorientati. – Ma cos’è? … - feci.
- Che ne so?…non sembrano davvero bracconieri… - fece mio fratello.
L’ombra pallida e flessuosa si avanzava sul fango… ora si poteva chiaramente distinguere in una strana forma dall’aspetto vagamente Rettile, ma - buon Rhamanan! - il suo volto era di un pallore mai visto, e la bocca possedeva due carnosi petali rosa… e occhi come di vetro galleggiavano in quello strano volto opalescente. Io come i miei due fratelli non riuscimmo a capire cosa fosse quella creatura. Si avvicinò al nostro rifugio, voltò il suo capo verso il tronco, e tirò gli angoli di quella sua strana bocca, quindi con una voce dal tono assurdamente estraneo, senza risonanze, basso, sembrò che dicesse qualcosa.
- Prestò sarà, ma non ora. Verrà presto. E presto si compiranno tutti i destini…
Quindi lo spettro si dileguò nel nulla dal quale era giunto.
Rimanemmo svegli per tutta la notte, parlando dell’accaduto, quando all’alba rimettemmo fuori la barca e tornammo verso la Tribù.
Giunti a casa cercammo nostro fratello Mhok, il più grande di tutti noi. Gli raccontammo dell’inquietante esperienza. Lui ci sorrise, quindi ci salutò dicendoci di non fantasticare troppo nelle paludi!
Ma dopo qualche giorno, alcuni nostri amici coetanei di altre Tribù, ci scrissero, rispondendo ai nostri racconti…E tutti ci narrarono più o meno queste parole:
“Amici, non ho idea di cosa stia accadendo. Gli adulti non vogliono ascoltare, o almeno così sembra… Però vi giuro, che tutto quello che vi scrivo è vero. Anche il mio gruppo di caccia ebbe strani incontri la notte scorsa. Quella stessa parvenza di spettro che avete descritto la incontrammo anche noi…E ci parlò con quelle stesse parole…”

Giorni dopo, il Patriarca convocò me, Kherr e Jillass, al suo cospetto.
Con nostro infinito stupore al suo fianco c’era anche Sondrall, il Primo Aiutante del nostro Grande Capo. Sondrall si avvicinò e carezzandoci il volto uno ad uno, ci disse, dolcemente: - Non abbiate paura, figli di Sirio… non abbiate paura Egli vi guiderà sempre, anche quando sarete soli, in mezzo alle stelle…-
All’epoca rimanemmo senza fiato. Ma oggi sappiamo tutti perché alcuni di noi ebbero quelle visioni… e sappiamo che quelle ombre non erano ‘fantasmi’…

***


Alessandra Biagini

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16/01/2009 09:07

un annuncio
cari amici sono contenta di condividere con voi:



grazie di cuore e abbiate pazienza per lo spot!!
ma per me è davvero imprtante, riprendo a pubblicare dopo tribolazioni varie...
grazie ancora!


Alessandra Biagini

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19/01/2009 16:11

annali di dio



- LE PRIME TRE ORE -


Ia


L’ UOMO CHE AMAVA IL CIELO NOTTURNO D’INVERNO


Non trascorse molto tempo perché si capissero i progetti del detentore dei tre poteri ancestrali.

Ormai infatti a sud est del mediterraneo il trono di colui che aveva regnato dall’inizio del giorno

sino ad allora, stava tentennando pericolosamente sotto l’insistente tentativo di defenestrazione

messo in atto dal figliolo stesso del potente monarca. La ribellione si era estesa ovunque nel mondo

e la pace se ne era andata con le speranza dei celesti reami di costruire un palazzo ove ogni nume

potesse dare libero sfogo al malcontento dei suoi adepti. Purtroppo i vecchi regenti non avevano intuito che nessun adepto era così immacolato e

ispirato da potere parlare con le proprie divinità. Non avevano afferrato, i vecchi signori che il

tempo in cui tutto questo fu una realtà , era giunto alla fine, stiracchiando forse alcuni dei più

grandi culti esistenti sino a quel momento. Forse per una beata illusione degli uomini che speravano

ancora nell’ antica disciplina del Re del Tempo.

Ormai le strutture gerarchiche stavano crollando, quel mondo sapeva troppo di muffa, e nulla

secondo il pensiero rivoluzionario aveva motivo di essere ancora.

Mentre nel Mediterraneo infuriava una guerra mostruosamente violenta e sanguinaria, lassù dove finisce

il mondo terrestre e cominciano lunghissime notti e giorni infiniti , si stava consumando una rivolta

di portata cosmica. Si erano rivoltati quei numi contrari sia all’antico che al nuovo regime, ispirati da

svariate correnti di pensiero rivolte all’anarchia cosmica.

Molti eserciti vennero sopraffatti quasi immediatamente dopo la loro sortita bellica dalle schiere del

nuovo regime. Altri caddero sotto l’ira colma di rancore dei vecchi miliziani del Tempo. E non rimasero

che pochi gruppetti sparuti , nascosti nei fiordi, i più forti, quegli eserciti che non avevano ricevuto il

dono del dolore e della fame. Questi pochi soldati spuri diedero inizio ad una lacerante guerriglia.

Non erano che schiere di numi insofferenti ad una monarchia prospettata dalla profetica visione

dei membri di un popolo mortale. Desideravano che tutto rimasse nelle innumerevoli mani delle divinità

esistenti. E fu in questo tempo che venne ridotto in ceppi quel dio che rubò il fuoco per l’uomo.

Venne in questa epoca che un altro nume si votò al martirio del suo corpo per donare a chi era mortale

il suono e la sapienza della poesia. E su quest’ultimo nume e fondato l’ edificio del credo più ibero

e sfrenato.

Alla corte divina era tutto tentennante, dai progetti più semplici al più arduo pensiero di legge.

L’ unica città celeste era ubicata ad est dei monti Urali, in un luogo prossimo alle giovani vette del-

l’ Himalaia , e vi si respirava un’aria impregnata d’instabilità sociale. E più uno straniero si avvicinava

alla corte aurea del Sommo Dio , Kronos, più questa precarietà lo trafiggeva aspramente nei pensieri.

Kronos era un dio vecchio, uno di quei numi che presero l’alito di Enu e lo deposero in se stessi,

dispensandolo ai mortali, era tra i dodici discepoli di Enu , l’ultimo.

La sua vita non era più quella di un dio primevo , generoso creatore di forme e dispensatore di suono,

ormai da tanto tempo sentiva che tutta la copiosa personalità divina era sprecata per le carni dei mortali.

Da tempo quindi si era ritirato nella sua torre con le sue ricchezze, oltre gli Urali. I mortali non poterono

sentire più alcuna entità divina che dicesse loro le parole giustissime di Enu.

La corte sapeva di stanza chiusa da secoli, le cui mura vengono invase dalla muffa, e divengono viscide

e tumefatte. Come di carta decomposta cominciavano a sapere quelle leggi emanate di tanto in tanto da

Kronos, giusto per far intendere alla gente, mortale e dinìvina che egli esisteva ancora, ed era ancora

molto potente. leggi che emanavano una immobilità cosmica impressionante.

Da quel compartimento stagno legale il figlio diretto dello stesso Kronos , cercò di fuggire , in ogni

maniera possibile. Si svincolò dapprima nelle gerarchie parentali, per poi procedere senza intralcio

lungo la costa libera delle alleanze con i numi dell’ Ovest. Il cammino di Zeus verso la libertà non

fu diritto e retto , ma scosso da fremiti sempre più violenti di sommosse mano mano che egli cercava

di inerpicarsi sempre più in cima sino alla vetta della libertà assoluta. Egli venne per moltissimo tempo

giudicato un sobillatore di popoli, impetuoso nelle sue scelte di tattica , quanto cruento nelle sue delibere

sociali. A molti poi bastò pensare che Zeus tradì il padre stesso per scagliare accuse come freccette in un

tiroassegno. Zeus venne paragonato a qualsiasi entità arcaica : a quelle strane forme ferine che

popolavano la terra milioni di anni prima dell’ ascesa di Kronos, quando Enu era completamente solo.

Ma venne anche per Zeus il momento di essere un governante serio e composto, e di capire

che solo nelle vette Ariane poteva esservi lo scettro più saldo. Fu così che il defenestramento di suo padre
fu repentino . Troppe erano le situazioni ancora da considerare una volta giunti al trono .

Ad esempio quei gruppi così combattivi di rivoltosi anarchici nel Nord ovest avrebbero seriamente

compromesso il suo regno ?

Forse di cento eserciti il timore di Zeus doveva rispondere solamente di cinque o sei al massimo.

Egli aveva stretto ottime alleanze, il suo regno era propespero, e per di più non vi erano profeti seccatori

o sognatori illusionisti tanto carismatici da ritenere particolarmente insidiosi per la reggenza.

Non esistevano profeti degni è vero, ma uno solo prese seria posizione rispetto al nuovo monarca.

E questo visionario era costretto a migrare di frequente, assieme ai venti . Durante uno dei suo viaggi

capitò nella regione del Nord Ovest, quella in pugno all’ anarchia divina.

Conobbe molti esponenti della corrente di pensiero ostile al governo attuale, ed in particolare solidarizzò

con quegli anarchici indipendentisti e secessionisti del Nord Ovest. A questi profetizzò l’avvento di un

nuovo regno.

In questo regno solo timore e tenebre avrebbero accompagnato l’ unico dio governante.

Odio, sangue che ancora si riversava sulla terra, sino ad impregnare le radici più profonde degli alberi.

Ecco il futuro della stirpe divina che adesso abitava le vette Ariane.

Il dio anarchico Odhgin udì le terribili parole di ferro del profeta.

Terrorizzato fuggì nella Terra dell’ est verso al corte di Zeus. prese a vagare giorno per giorno, senza

sosta, per cinquanta anni vagò nella tundra siberiana perchè Zeus non lo volle consultare.

Zeus aveva avvisato ogni nume in carica d’ importanza strategica di non concedere udienza ad Odghin

l’anarchico, altrimenti sarebbe incorso nella persecuzione legale del Sommo Dio stesso.

Tutti i numi disprezzavano nella corte di Ario il passaggio di Odghin , come se da quella divinità

emanasse un acre olezzo di disordine . Ma allo straniero il viaggio dell’ anarchico destava interesse e

coraggio, poichè il vero senso di precario lo si intravedeva in coloro che tanto disprezzavano quel nume

venuto dal grande freddo.

Inoltre Zeus aveva posto un veto a tutti i profeti e a tutte le entità in contatto con il mondo dei mortali,

in cui dichiarava l’assolutismo della dimensione divina . Il nume doveva emanare leggi senza che il

mortale ne venisse a conoscienza, o venisse consultato. Nessuna persona doveva avvicinare la città divina

a quella umana. Odghin quindi era andato contro il potente legislatore avendo ascoltato il profeta

viaggiante, e questo era un motivo di disprezzo in più da parte della corte ariana.
Zeus fece in modo tale che nessuno si accorse del messaggio del dio anarchico.

Impedì il suo accesso nella Senatoria divina, dove deliberavano i modelli comporatamenteli del mortale

quei numi ancestrali, degni di massima ammirazione. Vietò ai sacerdoti di Enu di indicargli la via del

pentimento nelle loro funzioni. E rivolse alle protettrici delle falde ariane un intenso discorso circa il

pericoloso anarchismo di Odghin, in modo che gli fosse negata anche la fuga dalla corte, in caso Zeus

decidesse di condannarlo per oltraggio .

Odghin quindi si sentì stretto in una morsa di indifferenza infinita, era solo, disperato, con le

parole del profeta viaggiatore che lo trafiggevano continuamente, come mille e più lame di ferro rovente.

E dopo venti anni di attesa decise. Decise che Zeus era troppo inebriato dal trono per poter cincepire

l’incombente pericolo.

Quando però si venne a sapere che Zeus ridusse in ceppi il suo amico migliore Prometeo, per la colpa

di aver voluto fare partecipi i mortali al sapere divino, si pensò ad Odghin come ad un involucro vuoto,

senza più speranze di fuggire all’ira del sommo monarca .

Per questo Egli decise dopo cinquanta anni di non parlare più a Zeus e di uccidersi.

Solo con la sofferenza della carne avrebbe fatto consapevoli i numi della corte ariana, e parte dei mortali.

Decise di impadronirsi del segreto di Enu, delle sequenze runiche donate a Kronos durante l’inizio del

suo regno. Ma per arrivare a questo aveva bisogno di passare per la via più angusta della volontà : la

sofferenza dello spirito e della carne.

L’ idea primordiale del suicidio si concretizzò sempre di più, aggravata anche dall’ improvvisa necessità

delle sequenze runiche. Solo mediante le Rune Odghin avrebbe raggiunto il suo scopo, e donato ai numi

armonia e ai mortali un mezzo per arrivare a parlare con il mondo divino.

Solo così la profezia non si sarebbe avverata. I mortali messi in guardia dal monito dei numi ariani, non

avrebbero iniziato quel culto orribile e terrificante, che poneva ancora più timore del regno di Zeus in

terra, tra i mortali. Un Dio nuovo, che esigeva solo paura e rancore , stava per impossessarsi del trono,

ed avrebbe fatto certamente quello che nemmeno l’aspro Zeus aveva messo in atto sino ad allora : lo

sterminio totale di tutti gli eserciti rivoltosi, con i loro maestri di pensiero anarchico. E ne era capace.

A Sud est del pianeta terra molti messi ariani riportarono, alacremente , alcuni frammenti di cronache

che vedevano questo dio protagonista di truculenze oscene. Ma Zeus preferiva credere che si tratasse di

un’ entità spuria, isolata, una scheggia impazzita del Sud .
Enu aveva ammonito il padre di Zeus di non occultare le cronache dei messi divini , poiché erano

discendenti da una stirpe giusta, e le loro parole non avrebbero fatto del male al regno ariano.

Ma Kronos cadde troppo presto per trasmettere a Zeus questo comando, quindi gli ambasciatori vennero

relegati ai margini della società divina.

Odghin intanto prese coscienza che una trappola stava per incatenarlo per sempre nel mondo di

Zeus, e fuggì dalle coste siberiane, eludendo le custodi alle falde ariane.

Dopo tre anni decise che tutto era ormai compiuto, solo l’estremo sacrificio doveva consumarsi, nel

nome di Enu dispensatore di Rune.

La notte del solstizio invernale, Odghin vide un gigantesco albero , sospeso tra il cielo e la terra , nei

fiordi finnici, alle cui radici stava avvolta come un placido serpente una corda spinata.

Il nume anarchico invocò il nome di Enu quaranta volte dall’ inizio della luna piena, che echeggiò come

il latrato di un enorme lupo grigio tra i ghiacci. E scosse l’ animo dei numi e dei mortali. E salì sino

all’ empireo assoluto ed immobile di Enu stesso.

Dopo prese la corda e risalì sul ramo più alto e robusto dell’albero, che somigliava ad un grosso braccio,

con la nodosità di un gomito nel mezzo e l’estremità simile ad una mano. Lì strinse la corda alle

caviglie tanto che le spine trafissero al carne , facendola sanguinare. Poi legò l’altra estremità alla

nodosità del ramo . E si gettò nell’aria con un urlo che squarciò il buio .

Rimase impiccato per nove notti e nove giorni, e le sue carni vennero dilaniate dai corvi e da ogni sorta

di bestia mandata dalle correnti del Sud, sotto il cielo notturno d’inverno.

Alessandra Biagini

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