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Tra Sogno e Realta'

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Rapporto Pellican

Ultimo Aggiornamento: 24/07/2008 22:40
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Città: MILANO
Età: 42
Sesso: Maschile
24/07/2008 22:40

Arrivò davanti l'entrata e vi trovò un enorme porta di metallo liscio, senza serrature di alcun tipo.
Cercò sul muro, eventuali scanner o telecamere di sicurezza, ma non c'era proprio nulla, la parete era completamente sgombra.
Pensò che forse vi era qualche congegno vocale o roba simile.
Allora tentò di aggirare l'ostacolo e vedere se anche alle altre due entrate vi erano posti gli stessi portoni.
In cuor suo sperava di si, così non avendo modo di accedere all'interno, avrebbe dovuto abbandonare la missione; questo gli avrebbe permesso di levare le tende molto prima del previsto.
Si stava per appropinquare verso la porta nord ovest, quando gli parve di udire una voce.
Ma fu per un solo momento.
Pensò che l'assuefazione da artefatto magico stesse già dando i suoi primi effetti e forse iniziava ad avere delle allucinazioni.
Per un istante gli passò per la mente che forse anche quel demone potesse essere frutto di una visione dovuta all'eccessivo irradiamento.
Ma subito dopo sentì di nuovo il gelo nel suo petto e disse:-”No era reale...dannatamente reale”-.
Si poggiò al muro con la spalla per un attimo, ancora preso da quelle visioni orribili, mentre stava per perire in quella morsa di ghiaccio.
Quelle scene lo avevano danneggiato più di quanto avrebbero mai potuto fare delle qualsiasi lesioni: gli aveva provocato una ferita nell'animo, che non si sarebbe rimarginata tanto facilmente.
Era ancora immerso nei suoi pensieri, quando, all'improvviso, sentì una voce:-”Ti stavo aspettando”-.
L'enorme porta, che aveva lasciato alle spalle da pochi metri, si sollevò raschiando il muro, producendo calcinacci e polvere, producendo un suono caratteristico, come quello di una pesante pietra che viene spostata.
Qualcuno voleva che entrasse nel salone centrale.
Per la prima volta da quando era atterrato in quella zona, ebbe l'impressione di non essere minacciato.
Entrò e la porta scese dietro le sue spalle, una volta varcata la soglia.
Con sommo stupore notò che non era una vera porta, ma una enorme lastra di metallo, che non funzionava meccanicamente: sembrava mossa da qualche tipo di incantesimo.
Ai margini della stanza molti macchinari, ancora in funzione.
Tubi e cavi elettrici correvano qua e là, da un aggeggio all'altro e tutti collegati a un grosso generatore posto a un lato.
Sotto i cavi, inciso nel pavimento di pietra, faceva bella mostra di sé un enorme cerchio magico, come non ne aveva mai visti.
Era molto complesso, con diverse scritture e simboli e occupava l'intero locale: sembrava pulsare di una calma luce blu.
Nel mezzo della stanza vi era un cilindro pieno di liquido azzurro.
Era illuminato alla base e il riflesso dell'acqua si irradiava per tutta la stanza, creando una atmosfera marina.
Immerso nel liquido vi galleggiava sospeso, un ragazzino, con dei lunghissimi capelli neri, magro e apparentemente privo di conoscenza.
Aveva dei tubi che partivano dalle braccia, dalle gambe, dalla bocca e dai vari orifizi e che finivano verso l'alto, dentro un congegno.
-”Il suo nome è Elil, ma tu questo lo sai già vero, Ioria?”- Queste parole riecheggiavano nell'ambiente, senza apparentemente avere una provenienza.
Il ragazzo si guardò attorno e poi guardando verso l'alto soffitto disse: -”E lei deve essere il dottor Albert Yaara giusto?
-”Per quale motivo non si mostra?”-
-”Ahhh”-Sospirò la voce.
-”Mi perdoni la scortesia, ma non posso proprio venire da lei in questo momento.Se desidera vedermi provi a guardare alla sua destra, là dove vede quei grossi tubi.”-
Il ragazzo si mosse nella direzione consigliata e vide un grosso apparato, molto simile a una camera iperbarica.
Dentro vi era il corpo del dottore, intubato come quello del figlio e anche lui privo di conoscenza.
Ioria guardò senza pensare a nulla, non riusciva più a stupirsi di quel posto e di quelle cose.
I maghi avevano un grande potere, oltre la sua comprensione.
Una volta presa visione il ragazzo tornò davanti al cilindro.
-”Dottore”- Disse.-”...Credo che a questo punto, dovrebbe darmi qualche spiegazione se non le dispiace...”-
-”Con piacere.”-aggiunse la voce.-”Ma abbia pazienza, prima devo fare una certa cosa...”-
Il ragazzo fu all'improvviso avvolto da una luce verdina provenire dal basso.
Si creò un glifo sotto i suoi piedi e venne sollevato da terra.
Le armi, l'armatura e la mascherina, si slacciarono e caddero al suolo privi di colore e totalmente svuotati dell'energia che possedevano.
Poi una sensazione di benessere pervase il ragazzo.
La luce si spense lentamente e poté di nuovo toccare il suolo.
Si andò poi a sedere ad un tavolo poco distante.
Poi la voce disse:-”Noi la chiamavamo sindrome di Adamo, ma so che ora voi la chiamate A.D.A.M...”-
-”Sono dovuto intervenire senza avvertirla, me ne scuso, ma stava per raggiungere uno stato critico e non le era rimasto molto tempo; ho dovuto distruggere le sue preziose armi, me ne rammarico, ma era necessario.”-
-”...E mi ha anche curato...”-Disse Ioria.
-”Ma come riuscite a fare tutto questo?E che diamine è successo in questo posto?”-Aggiunse il ragazzo.
-”E' tutta colpa mia.”-Continuò il dottore.-”Quando mio figlio si ammalò gravemente, mi trasferì qui con alcuni stimati membri del mio staff, per trovare una cura alla sua malattia.”-
-”Lavoravamo tutti a un progetto comune i primi tempi, poi io mi chiusi sempre più in me stesso, nel mio dolore e non mi accorsi di ciò che gli altri ricercatori stavano combinando.”-
-”Hanno usato alcuni antichi testi sacri, per fare sperimentazioni proibite...E questo è il risultato.”-
-”Ormai la zona colpita dalle anomalie si sta allargando velocemente ed è colpa anche dei miei esperimenti.
Alcuni di loro, avendo capito cosa stava succedendo tentò di fuggire, ma era troppo tardi.
Chi non è morto scappando, è stato assassinato o sacrificato in rituali blasfemi, di cui tu stesso sei stato testimone poche ore fa.
Quelli rimasti, si sono tramutati in esseri abominevoli senza più un'anima e mutati nel corpo: questo è il prezzo da pagare a varcare certe soglie...”-Sospirò la voce, prese una pausa, poi continuò:
-”Anche quell'essere con la spada era uno dei miei uomini.
Purtroppo quando me ne accorsi non potei fare più nulla.
Le condizioni di mio figlio peggiorarono e io dovetti metterlo in sospensione vitale.Un miscuglio tra magia e tecnologia.
Ma non bastò.
Così sacrificai il mio corpo e lo misio in quel congegno.
Solo così riesco tutt'ora a sostentare la magia che tiene ancora qui l'essenza di mio figlio.
Ma al di fuori di questo cerchio non ho più poteri, così, non potendo agire in alcun modo, mi sono barricato qua dentro, in attesa di qualcuno...in attesa di te.”-
-”Mi spiace, ma io proprio non capisco.”-Disse Ioria scuotendo la testa.
-”Sei un uomo forte Ioria, presto o tardi, capirai...in te c'è più di quanto tu sappia...non è da tutti arrivare fino qui da soli.”-
Disse la voce.-”Ma ora va, completa la tua missione.E torna qui con i rinforzi.”-
Il ragazzo si alzò e mentre stava per dire qualcosa, il dottore aggiunse:-”Questa non è la tua battaglia Ioria, tu per ora hai assolto il tuo compito, ti chiedo solo di tornare ad assistere alla fine di questa vicenda.”-
-”Dottor Yaara.”- Intervenne il ragazzo.-”Mi dica...Come può una persona come lei, aver fatto tutto questo?”-
-”L'ho fatto per mio figlio.”-Rispose.
Poi una sequenza di immagini di vita vissuta, apparve nella mente del ragazzo come dei flash.
Vide la moglie del dottore, la felicità, l'amore, un figlio. poi la malattia, la morte e poi ancora, la speranza, Elil, i primi passi, le prime parole, la malinconia e poi un dolore infinito, nel vedere di nuovo scivolare via tutto...
Il ragazzo non aggiunse altro, girò le spalle e se ne andò via.
La lastra si alzò da terra come prima e si richiuse dopo il suo passaggio.
Camminò nel corridoio in silenzio: le lacrime solcavano copiose il suo viso.

Si diresse verso l'uscita ma il grande portone era chiuso elettromeccanicamente e non fu possibile aprirlo.
Gli era venuto in mente che aveva ancora una granata con se, ma visto che non possedeva più le armi magiche, preferì risparmiarsela per il viaggio di ritorno.
Risalì le scale e ripassò lì dove aveva combattuto.
Le macerie e i resti umani, fecero riflettere il ragazzo.
Prima di allora non aveva mai usato armi di tale potenza; aveva ricevuto un addestramento speciale con armi magiche, ma non avevano una così tanta forza distruttrice.
Quando sarebbe tornato avrebbe voluto approfondire l'argomento se possibile.
Voleva saperne di più di queste cose.
Arrivò alla biblioteca.
Prima non ci fece caso quasi, ora era tentato di portare via qualche volume per poterlo leggere.
Ma ve ne erano centinaia, anzi migliaia e lui non aveva tempo.
Per dirla tutta rischiava di non tornare vivo al velivolo, la strada era ancora lunga.
Rinunciò al pensiero e cercò di concentrarsi su ciò che doveva ancora fare.
Ma nonostante i ripetuti sforzi, sembrava costantemente distratto da mille pensieri e domande.
Camminò fino all'inizio della vegetazione, poi prese la pistola, levò la sicura, chiuse gli occhi, sgombrò la mente e fece un profondo respiro.
-”Sono pronto!”-

Non gli rimanevano molte ore di luce, ormai erano già le 18.37 e gli rimanevano all'incirca tre ore, prima che scendesse la notte.
Doveva percorrere più strada possibile.
Si mosse ripercorrendo il cammino al contrario, sperando di non incappare in altre creature ostili.
Tutto ad un tratto si sentiva come nudo senza più l'equipaggiamento di classe S.
Non gli rimaneva granché nemmeno di quello normale, aveva solo qualche bomba a mano di vario genere, tre caricatori e la pistola.
Proseguì spedito tra le piante, nonostante ci fosse passato solo poco tempo prima, non riconosceva nulla intorno a sé.
Consultava spesso il palmare, per controllare che non stesse sbagliando direzione, ma il percorso era giusto.
Le ore trascorsero e tutto filò liscio, ma la luce andava già sparendo e si doveva affrettare a preparare la tenda.
Avrebbe voluto andare avanti per tutta la notte, ma al buio era più vulnerabile e avrebbe proseguito troppo a rilento nell'oscurità delle tenebre.
Preparò ancora una volta la tenda su un albero, e controllò la zona.
Poi salì e si chiuse dentro.
Non fece nulla: non mangiò, non controllò i dati sul bracciale, né verificò l'efficienza delle armi.
Si limitava a stare fermo ad aspettare.
La notte non tardò a venire e con lei tornarono anche le lucciole.
Lo spettacolo che prima lo affascinava tanto, ora sembrava suscitargli solo molteplici nuovi quesiti.
In che modo la sindrome di Adamo aveva modificato tali piccole creature?
La prole di tale creatura avrebbero avuto gli stessi tratti genetici modificati o sarebbero nati normali o peggio malformati?
Tutte queste domande e molte altre ancora, rimasero sospese nell'aria ferma e calda senza nessuna risposta.
Ora però comprendeva meglio la gravità della situazione: se questi esseri uscissero da questa zona che accadrebbe?
Se proliferassero mantenendo, o peggio ancora, rafforzando tali caratteristiche, sarebbe stato un disastro.
Il pensiero corse all'enorme bestia con cui aveva combattuto nella radura.
Se ne immaginò dieci, cento, mille, che attaccavano prima i piccoli agglomerati urbani e poi le grandi città.
Oppure usate come armi da qualche organizzazione senza scrupoli.
Pensava troppo.
Si sigillò nel rifugio e cercò di dormire.
Nel buio della tenda sentì di nuovo la stretta ghiacciata nel petto.
Il cuore prese a battergli forte, sudore freddo gli veniva giù dalla fronte e dalla schiena, si sentiva male, gli mancava persino il respiro.
Accese la torcia, e si guardò attorno, per un attimo gli parve di nuovo di vedere quegli occhi rossi come tizzoni ardenti.
Ma era tutto tranquillo.
Aspettò il giorno con la luce costantemente accesa.
Era una scelta tattica molto discutibile: la luce lo rendeva facilmente visibile da svariati metri di distanza, ma non ne poteva fare a meno.
Aveva paura del buio.
La notte fu lunga ed interminabile, non riuscì a riposare nonostante ne avesse bisogno: ogni volta che chiudeva gli occhi aveva incubi o gli si presentavano le orripilanti scene di violenza viste in quella stanza.
Poco prima che sorgesse il sole rismontò la tenda, sperando di farlo per l'ultima volta, voleva uscire da li entro la giornata.
Si sforzò di ingoiare un po' di cibo; non poteva stare a digiuno aveva bisogno di energie.
Prima di partire, riprese dallo zaino i resti della tuta protettiva e cercò di riparare gli squarci con l'oramai fidato nastro adesivo in fibra.
Una volta rattoppata la indossò: non era più efficiente come prima, ma era sempre meglio che andarsene in giro senza.

Diverse ore dopo, passando attraverso degli alberi scorse a lato la radura in cui aveva ucciso la tigre.
Decise di deviare per controllare i resti del felino.
Si avvicinò e vide una brulicante massa di vita attorno alla carcassa.
Si aspettava qualche uccello saprofago, ma non quello scenario.
Un numero non ben precisato di insetti giganti si stava nutrendo della carogna.
Si avvicinò ulteriormente ma senza correre rischi.
Sembravano per lo più delle specie di scarabei, grandi dai trenta ai quaranta centimetri.
La loro corazza presentava le più svariate forme e colori.
Alcuni avevano spuntoni acuminati sul dorso, altri avevano disegni complessi, altri ancora colori cangianti: tuttavia sembravano appartenere alla stessa specie, solo con effetti da A.D.A.M differenti.
Si nutrivano voracemente, producendo versi strani simili a dei piccoli scoppiettii e cigolii e da quella distanza poteva persino udire il rumore delle mascelle che si adoperavano per consumare la carne a ritmo forsennato.
Avrebbe voluto studiarne uno, ma preferì evitare di disturbarli, era meglio non correre rischi inutili.
Aveva indugiato abbastanza era meglio proseguire.

Il sole era già alto da un po' e mancavano pochi chilometri alla meta.
Ioria stava proseguendo con passo deciso tra la vegetazione, quando improvvisamente si fermò di scatto.
Il rilevatore di movimento in silenzio ormai da parecchie ore, dava qualcosa in lento avvicinamento davanti a lui.
Ma ancora non scorgeva nulla.
Protese le mani in avanti tenendo, con la pistola spianata, sotto tiro la zona, in attesa di capire cosa fosse.
Uscì dal fogliame un felino di media taglia, con il manto fulvo, apparentemente identico a quello ucciso giorni prima all'incirca nella stessa zona.
La bestia non sembrava aggressiva.
Si limitava a fissarlo col suo sguardo verde scuro.
Il ragazzo esitò, non sapeva se premere il grilletto o meno, quindi attese che la situazione si evolvesse in qualche maniera.
Lo teneva nel mirino.
Attimi interminabili scorsero tra l'umidità soffocante della vegetazione.
Poi il palmare diede altri segni, tutti intorno a lui, altri dieci o dodici elementi, forse più.
Era una trappola e lui ci era quasi cascato.
Uno lo doveva distrarre, mentre il branco lo circondava.
Se non fosse stato per il bracciale, non avrebbe potuto accorgersene.
Pur avendo quel vantaggio, il ragazzo si trovava comunque in posizione svantaggiosa: era in una zona scoperta e circondato da troppi ostili.
Pensò velocemente al da farsi, ma cercò di non tradirsi: continuò a fissare la creatura avanti a se, senza lasciar trapelare alcuna emozione.
Se si fosse mosso, o se avesse girato la testa in cerca degli altri membri del branco, la trappola sarebbe scattata e non avrebbe avuto scampo: erano troppi.
Aspettava fermo.Il sudore scendeva, il respiro si era fatto cadenzato e profondo; manteneva la calma, attendendo il segnale che avrebbe fatto partire l'attacco.
Il felino di fronte a lui fece un verso, simile a quando ci si schiarisce la voce: la trappola era scattata.
Ioria si abbassò, prese da dietro la schiena l'ultima granata stordente e la sganciò sul posto, poi si gettò in avanti tuffandosi e sparando alcuni colpi avanti a sé.
Ci fu un lampo e molti del branco caddero svenuti lì dove prima c'era il ragazzo.
Altri barcollavano storditi, altri ancora erano fuggiti dallo spavento.
Lo scoppio aveva stordito anche Ioria che momentaneamente assordato, tentava inutilmente di rimettersi in piedi, mentre continuava a sparare a tutto ciò che si muoveva attorno a lui.
Uccise sei di loro, ne ferì altri e gli ultimi rimasti si diedero alla macchia.
Si trascinò verso il più vicino albero e si sedette poggiando le spalle.
Aspettava che l'udito gli ritornasse e che quel fastidiosissimo fischio smettesse di rimbombargli nelle orecchie.
Sostituì il caricatore e cercò con lo sguardo attorno a sé per diversi minuti.
Per il momento se ne erano andati ma probabilmente sarebbero tornati presto, o l'odore del sangue ne avrebbe attirato altri: non poteva aspettare immobile che gli ritornasse il senso dell'equilibrio.
Afferrò un grosso ramo e lo usò come appoggio per alzarsi e se ne andò.
Nonostante il supporto, cadde innumerevoli volte, senza riportare danno, ma rallentando la marcia.
Via via che passava il tempo, la sua situazione sembrò migliorare e sebbene sentisse ancora tutto intorno a se come se fosse ovattato, poté abbandonare il bastone che gli faceva da appoggio e proseguire più spedito.
Non ebbe più incontri sgradevoli e quando il sole stava per calare ancora una volta, arrivò lì dove lo attendeva il proprio mezzo.
Si sbrigò a togliere il telo mimetico e lo ripose in un vano meglio che poté, poi salì nell'abitacolo frettolosamente e quando ebbe chiuso il portellone si sentì finalmente al sicuro.
Rimase qualche attimo con gli occhi chiusi, ad assaporare il momento: era riuscito a tornare sano e salvo.
Accese il computer di bordo e dopo aver controllato che tutto fosse in ordine, lanciò un singolo segnale.
Poi avviò i motori, impostò la rotta e finalmente decollò.
Durante il volo inserì il pilota automatico: sentiva la tensione scemare e lo stress psicologico a cui era stato sottoposto si stava allentando.
Ora il sonno si stava impossessando di lui.
Dormì per tutto il viaggio, pesantemente, di un sonno senza sogni.
Quando fu in prossimità della città, dovette svegliarsi e riprendere i controlli manuali.
Atterrò in un piccolo aeroporto militare quando ormai si era già fatto buio.
Lì lo attendevano una equipe medica, degli scienziati e il signor Kalimshi.
Scese dal velivolo e salutò il superiore dicendo:-”Signor Kalimshi, missione compiuta, signore!”-
-”Bene ragazzo mio,bene!Ottimo lavoro.Ora consegni i campioni ai nostri ricercatori, si faccia visitare e poi venga immediatamente da me a fare rapporto, non abbiamo tempo da perdere.”-Disse l'uomo molto serio.Poi lo guardò negli occhi per qualche istante, sorrise e se ne andò via.
Qualche ora dopo Ioria si trovava di nuovo davanti alle porte dell' S2.
Eseguì la solita prassi per il riconoscimento del personale ed entrò.
Consegnò quel che rimaneva dell'equipaggiamento e sconsolato dovette dire all'uomo che le armi e l'armatura erano andate perdute.
-”Sono più che sicuro che non hai avuto altra scelta”-Disse Kalimshi rassicurandolo, poi guardando le armi che il ragazzo gli aveva riportato aggiunse:-”Ahhhhh e qui cosa abbiamo?”-E si mise a ispezionare il fucile soffermandosi a lungo sul dente di tigre che vi era conficcato nel mezzo.
-”A giudicare dai resti dell'equipaggiamento, direi che te la sei vista veramente brutta laggiù.”-
-”Si signore, questa volta ho rischiato seriamente di non riuscire a tornare indietro.”-Disse Ioria abbassando lo sguardo.
-”Capisco...è tempo di fare rapporto mi segua nello stanzino, per cortesia”-E il signore occhialuto gli indicò la porta accanto.
Passarono diverse ore prima che il ragazzo finì di descrivere l'accaduto al superiore, dopo di che gli fu ordinato di raggiungere la zona alloggi e di riposare fino a nuovo ordine.
E così fece.

Ioria giaceva nel letto, guardando il soffitto.
Aveva riposato per una decina di ore di fila e ora attendeva la convocazione dei superiori: ciò che aveva visto era classificato oltre il segreto militare, quindi, sicuramente, qualcuno di quelli che stanno “in alto” avrebbe voluto parlargli.
A dire il vero, in lui c'era un piccolo sospetto, una lieve probabilità, che si era fatta strada nella sua mente: forse aveva visto troppo e avrebbero potuto anche eliminarlo.
Ma non era la prassi e poi l'organizzazione per cui lavorava non era solita a queste cose, anzi, tra i vari membri c'era un forte cameratismo, anche se poi le missioni, si risolvevano quasi sempre in azioni militari solitarie.
Si alzò e andò a farsi una doccia calda.
Mentre tentava di rilassarsi sotto il getto, gli parve di sentire ancora quella strana sensazione di benessere che lo aveva pervaso, mentre il dottor Yaara lo stava curando.
Pensò a tutti i suoi compagni che aveva perso in battaglia e a quanti di loro si sarebbero potuti salvare grazie a incantesimi curativi di tale portata.
Uscì da sotto l'acqua e si asciugò distrattamente, poi coperto solo dall'accappatoio cucinò qualcosa di non troppo impegnativo, ma sostanzioso: gli era tornato l'appetito.
L'alloggio che gli era stato assegnato era piccolo, ma aveva un po' tutti i comfort: un letto a una piazza, una scrivania con un computer, un piccolo bagno con doccia, un angolo cottura e persino un piccolo frigo, che riempiva appena poteva con cibi a lunga conservazione.
D'altra parte poteva passare anche qualche mese senza che ricevesse ordini e che quindi si recasse nella sua stanza, quindi non era il caso di comprare alimenti freschi; non avrebbe mai avuto il tempo materiale per consumarli prima della scadenza.
Stava ancora asciugando i piatti che aveva appena utilizzato, ed era ancora in accappatoio, quando una voce dall'alto di un altoparlante, richiedeva la sua presenza nella sala dei briefing.

Nella stanza dove di solito trovava solo il signor Kalimshi e, più raramente, qualche altro compagno d'armi, ora era piena di commilitoni.
Rimase un po' sorpreso dalla cosa e indugiò un secondo sulla porta.
Poi si sedette in una delle ultime file, nel primo posto disponibile.
Attorno a lui c'erano altri venti soldati, alcuni li conosceva di vista, con altri aveva combattuto assieme.
-”Bene signori appena arriverà il nostro superiore inizierà il briefing.Vi raccomando la massima attenzione, questa missione non sarà un' impresa facile.”-Disse con tono fermo e aria preoccupata Kalimshi, rivolgendosi a tutti i presenti.
Durante l'attesa si poteva udire un brusio venire dai militari seduti sulle sedie: alcuni parlavano di sport, altri dell'eventuale obiettivo della missione, altri ancora di fatti propri.
Solo il ragazzo, che aveva intuito l'argomento che si stava per trattare, rimaneva in silenzio con lo sguardo rivolto a terra.
Un colpo di tosse del signore occhialuto, fece zittire tutti: era il segnale che stava entrando il tanto atteso superiore.
Varcarono la soglia cinque persone.
Quattro di loro erano vestiti con delle ampie tuniche viola, bordato d'oro; il quinto, che sembrava essere il più alto in grado, ne indossava una nera con delle scritte runiche e le rifiniture color rosso acceso.
Kalimshi prese la parola.
Sul monitor alle sue spalle venivano proiettate ancora le immagini scattate dal satellite, le foto del dottore e i diagrammi delle anomalie sui campioni che il ragazzo aveva rilevato.
L'uomo spiegò per mezz'ora su quale fosse il luogo, il motivo e soprattutto gli obiettivi della missione.
Dovevano scortare al maniero il signore vestito di nero e le sue quattro guardie e una volta arrivati, lasciare che si occupassero esclusivamente del dottor Yaara.
Il compito dei soldati invece, era quello di rastrellare e ripulire la struttura da qualsiasi entità ostile.
A fare da guida nella zona ci avrebbe pensato Ioria.
Il nome dell'uomo da proteggere era Elgis Narè, anche lui “ricercatore” come Albert e questo già spiegava molto del suo ruolo nella vicenda.
Come equipaggiamento avrebbero adottato quello di classe A standard, ovvero, il medesimo che usò il ragazzo durante la missione precedente, senza nessun tipo di rinforzo magico.
La partenza era stimata per le 02.00 del giorno seguente.
Finita la riunione, mentre tutti lasciavano la sala, Ioria fu chiamato in disparte da Kalimshi.
Mise una mano in tasca e tenendola chiusa disse al ragazzo:-”Guarda qui, ho una cosa che forse ti farebbe piacere riavere!”- E fece cadere nelle mani del giovane una collana, che aveva per ciondolo la zanna della tigre rimasta incastrata nel fucile.
Poi aggiunse:-”Penso che questo, in qualche modo ti appartenga, pur essendo un reperto da studiare...Ma ho preferito fartene una collana e darlo a te... questo oggetto ha qualcosa di speciale, che non sono riuscito a comprendere.Credo sia per via dell'A.D.A.M. forse”-
Ioria ne fu piacevolmente sorpreso:-”Non so come ringraziarla Kalimshi, credo che non le sia stato facile far uscire di straforo dal laboratorio questo oggetto.”-Lo guardò felice e lo nascose subito nella tasca prima che qualcuno lo potesse vedere e disse:-”Ne sono affascinato anche io!Quando lo tocco sento una sottile vibrazione, come se la forza e l'essenza di quell'animale ci scorresse dentro, nonostante sia morto.Davvero non so spiegarmelo...”-Fece uan pausa, si rese conto che avrebbe voluto discuterne a lungo, ma purtroppo non aveva tempo, doveva prepararsi per la missione.
Così si limitò ad aggiungere:-Le devo una birra al mio ritorno signor Kalimshi, non se lo dimentichi...”-
I due si lanciarono uno sguardo di intesa, poi si salutarono e ognuno andò a sbrigare le proprie faccende, prima della partenza.

Alle due del mattino decollarono dal piccolo aeroporto militare all'esterno della periferia est della città.
Come mezzi di trasporto usarono due velivoli cargo: erano sostanzialmente dei grandi veicoli affusolati, con una pancia molto larga e due grandi reattori ai lati.
Nel primo c'era l'equipaggiamento e venti militari,nel secondo invece, c'erano solo il dottore e i quattro membri della sua scorta.
Il largo e inusuale dispiego di mezzi aveva messo in agitazione un po' tutti i passeggeri del volo.
Qualcuno ipotizzava teorie su quello che sarebbe successo o che avrebbero trovato, altri brontolavano per l'eccessivo dispiego di mezzi, altri ancora disprezzavano i superiori definendoli letteralmente “damerini omosessuali dalle lunghe vesti ricamate”.
Solo il capo della spedizione Eric Isemberg, seduto accanto al ragazzo, chiese con aria seccata:-”Ioria quello che ha detto il vecchio Kalimshi è tutto vero o ha esagerato?”-
Ioria lo guardò e disse:-”No signore, le raccomando la massima attenzione, io sono qui solo grazie a molta fortuna e a un equipaggiamento di classe S, che è pure andato perduto...”-
-”Dannazione!”-Esclamò il capitano.-”Lo sapevo cazzo, lo sapevo!Quando il vecchio Kal si fa scuro in volto sono sempre dolori di pancia...Visto che il viaggio è lungo, ti spiacerebbe raccontarmi anche a me come sono andate le cose?”-
-”Capitano!”-Esclamò Ioria:-”Lo sa che queste sono informazioni riservate?”- Eric lo guardò con sospetto, facendo trapelare una espressione infastidita e ancora più seccata di prima.
Poi il ragazzo sorrise e facendo l'occhiolino disse:-”Sarei da corte marziale se divulgassi tali informazioni non crede anche lei?”-
Il capitano Isemberg comprese l'ironia e sorrise di rimando dicendo:-”Bravo! Era solo una prova, volevo vedere se ci cascavi, ma vedo che sei stato attento!”-Per qualche attimo rimasero seri a fissarsi, poi scoppiarono in una risata liberatoria.
Era da quell'ultima serata nel bar assieme ai colleghi che il ragazzo non si lasciava andare in una risata spontanea.
Il viaggio proseguì e Ioria ebbe tutto il tempo di ragguagliare il capitano su ciò che avrebbero potuto incontrare.
Era davvero una violazione del codice, ma ne andavano di mezzo le vite di venti persone e non se la sentiva di avere sulla coscienza le loro morti, se qualcosa fosse andato storto: era meglio avvertirli su tutto ciò a cui andavano incontro, questo poteva fare la differenza.
Il viaggio proseguì liscio, fino a una decina di chilometri dal bersaglio.
La zona era interessata da una perturbazione, che causava pesanti vuoti d'aria, comunemente chiamata “maretta” dai piloti.
Qualcuno nel cargo stette male e vomitò venendo prontamente sbeffeggiato dai compagni d'armi.
L'atterraggio avvenne più o meno nella zona in cui atterrò qualche giorno prima il veicolo di Ioria.
Non fu un atterraggio molto morbido.
La squadra scese dai veicoli e si preparò per la sortita.
Una volta terminati i preliminari si misero tutti in riga e il capitano Eric andò nel cargo del dottore ad avvisare che era tutto pronto.
Sbarcarono anche loro dal mezzo e si avviarono incappucciati verso la vegetazione senza dire nulla.
I quattro piloti rimasero a fare da guardia ai mezzi e si tenevano pronti a partire in qualsiasi momento.
Ioria faceva da battistrada con altri quattro, disposti a freccia, qualche metro dietro di lui c'era il capitano, poi Narè con la scorta e altri quattro chiudevano le retrovie, mentre gli altri dieci coprivano i lati del gruppo.
Nella fitta vegetazione non era molto facile mantenere la formazione.

Proseguivano spediti, ma dei grossi nuvoloni neri coprivano minacciosi l'intera zona.
Eric avanzò e disse a Ioria:-”Se viene a piovere, qui sarà un pantano unico e avanzare diventerà molto difficoltoso, dobbiamo affrettare ulteriormente il passo!”-
-”Lo so!”- Rispose il ragazzo.-”Ma con il dottore da scortare non possiamo procedere più veloci di così, stanno già andando al massimo della loro andatura.Capitano che ne dice di dividerci in due gruppi?Uno potrebbe andare avanti e libere la strada fino al maniero e l'altro sta con il dottore e lo scorta fino a noi.
Così dovremmo guadagnare un po' di tempo.”-
-”E' rischioso Ioria e non possiamo usare la radio nel caso in cui ce ne sia bisogno.”-Rispose il capitano.
Il ragazzo guardò negli occhi Isemberg, poi disse a bassa voce:-”Ho visto cosa sanno fare quelli come il dottor Yaara: è molto più probabile che sia lui a fare da scorta a noi che viceversa...”-
-”Ho capito... mi hai convinto, allora correremo il rischio!”-Esclamò Eric che si diresse ad informare il dottore della decisione tattica presa.
I gruppi si divisero in due e quello di Ioria potè finalmente proseguire più velocemente.
Dopo un'ora avevano già perso i contatti visivi e auditivi con gli altri.
Le condizioni meteorologiche non promettevano nulla di buono.
Durante il cammino non incontrarono nessuna creatura ostile, solo qualche tranquillo animale della fauna locale e qualche serpente velenoso, che venne prontamente neutralizzato.
Si procedeva a passo sostenuto, tanto che ancora prima che il sole calasse avevano quasi percorso la metà del cammino.
Ioria decise che era meglio allestire il campo base per la notte e di non avanzare ulteriormente o i compagni rimasti indietro avrebbero dovuto muoversi col buio per poterli raggiungere.
Ispezionarono l'area e montarono le tende: tutte simili a quelle usate in precedenza dal ragazzo a parte quella di Narè e della sua scorta personale, che era una classica tenda da campo, abbastanza grande da contenere sei persone.
Un paio di ore dopo arrivarono anche Eric e gli altri.
Tutti consumarono il pasto e recuperarono le forze poi si decisero i turni di guardia per la notte.
Ioria si offrì per il primo turno.

Era calata la notte già da qualche ora ormai e la maggior parte della truppa stava riposando.
Il ragazzo stava seduto di guardia, accanto ad un albero, col fucile imbracciato; il capitano gli si accostò e sospirò:-”Un vero peccato!Siamo in troppi qui e credo proprio che le lucciole di cui mi parlasti sul cargo, me le posso proprio scordare, che palle...”-
-”Mi spiace capitano, ma se vuole la vengo a svegliare se ne avvisto qualcuna che ne dice?”- Rispose il ragazzo con tono sarcastico.
-”Che ne dico?Dico che non esiterei a piantarti una pallottola tra gli occhi se osassi svegliarmi mentre riposo... e ora... ti lascio solo a fare il tuo dovere, perché io vado su a schiacciarmi un pisolino!”- Disse Eric salendo sull'albero su cui era montata la propria tenda.
Stava per chiudere l'entrata quando riaffacciandosi disse:-”Ah Ioria... se per caso qualche belva feroce dovesse ammazzarti, cerca di morire in silenzio, lo sai che detesto i rumori molesti mentre dormo!”-Poi ridendo si ritirò.
Il ragazzo fece gli scongiuri del caso, guardò in su e disse:-”Signor sì signore!Farò del mio meglio!”-

La nottata passò tranquilla, ma verso le prime luci dell'alba, le nuvole si addensarono sempre più sulle loro teste e la pressione atmosferica andava calando sempre più.
Prima che smontassero il campo base iniziò a piovere.
Tutti camminavano molto lentamente e non fu necessario dividersi di nuovo in due gruppi: erano tutti impacciati allo stesso modo.
Nonostante l'impegno e l'attenzione che ci mettevano, tutti proseguivano a stento, scivolando e cadendo.
Fu allora che sentirono per la prima volta il dottor Narè dire qualcosa:-”Questo temporale non è normale...”-
La voce aveva un timbro maturo, caldo e profondo e nonostante le intemperie, non sembrava dare segni di affaticamento.
Quelli che udirono le sue parole si guardarono un po' perplessi.
La pioggia cadeva incessante e verso mezzogiorno dovettero fermarsi a riposare: la stanchezza iniziava a farsi sentire.
Fu montata solo la tenda del dottore, che aveva espressamente richiesto di poter riposare per almeno un'ora: era pur sempre un uomo di una certa età, anche se non si capiva esattamente quanti anni potesse avere.
Durante l'attesa Ioria ed Eric andarono in avanscoperta nell'area attorno al campo.
Qualcosa di strano sembrava aleggiare in quel luogo, più strano dell'ultima volta.
Non si allontanarono di molto.
Cercarono segni di vita animale, ma nella zona non c'erano più creature.
Quando poterono ripartire, le precipitazioni non accennavano a diminuire e il terreno era ormai saturo d'acqua.
Gli unici che procedevano imperterriti sembravano i maghi, anche se pure loro ogni tanto scivolavano sbattendo duramente a terra e inzaccherandosi.
La tunica di Elgis, nonostante anche lui avesse fatto un paio di capitomboli, ritornava pulita dopo qualche minuto, lavata dalla pioggia stessa: non si poteva dire lo stesso delle vesti dei suoi seguaci, che erano ricoperte di fango fino alla schiena e avevano perso tutto il loro splendore iniziale.
Ioria non vedeva a un palmo dal naso, la tempesta era troppo fitta e si doveva affidare al palmare per tracciare la rotta da seguire.
All'improvviso un membro della guardia del dottore lanciò un allarme: diceva che vi erano delle entità ostili in avvicinamento.
Il capitano fece cenno di fermarsi e fare cerchio attorno al mago.
I sensori non davano nulla.
Le guardie scelte, iniziarono a proferire parole incomprensibili mentre Narè sembrava rimanere impassibile nel mezzo del gruppo, col il volto nascosto da sul ampio cappuccio nero.
Ioria si girava attorno ma la visibilità era ridotta zero ormai.
Il mormorio dei maghi metteva in agitazione i soldati.
Un ululato richeggiò.
-”Eccoliii!Ostili a ore tre!Ostili a ore tre!”-Gridò frenetico un membro del gruppo e subito partirono le prime raffiche di fucile.
Poi fu il caos.
Dal folto del bosco uscirono delle belve feroci, simili a lupi ma dal pelo irto e ispido di color grigio morto.
Alcuni soldati gridarono, cadendo a terra feriti.
Le pallottole fischiavano sulle teste dei soldati che cercavano riparo.
-”Signore contatto ostile a ore sei!Ci attaccano da entrambe i lati!”-Gridò un altro uomo.
Ioria si spostava in continuazione e cercava riparo dietro gli alberi.
Appena poteva sparava a raffica sul nemico.
Eric urlava ordini a tutto spiano, ma la pioggia rendeva difficile i movimenti e molti soldati vennero presi alla sprovvista.
Le bestie feroci sembravano sbucare dal nulla, fulminei e letali: non si riusciva a colpirli prima che portassero un attacco per primi.
Un gruppo di lupi penetrò lo schieramento e si proiettarono ringhianti in direzione del dottore.
Fu allora che le guardie lanciarono il contrattacco.
Dalle loro mani scaturì una luce incandescente e palle di fuoco volarono sulle creature che caddero al suolo ancora in fiamme.
Continuarono a scagliarle tutte attorno a loro, finché le bestie non vennero uccise tutte.
I ragazzi rimasero schiacciati a terra, terrorizzati.
Dopo qualche attimo il capitano, che dovette riprendersi anche lui dallo shock, ordinò di prestare soccorso ai feriti.
Uno di loro presentava un profondo squarcio allo stomaco e perdeva litri di sangue a ogni secondo che passava e che la pioggia continuava a far scivolare via.
Era uno dei membri più giovani del gruppo.Il suo corpo tremava ina maniera convulsa e cercava di parlare, ma più si sforzava più dalla bocca usciva solo sangue e gorgoglii soffocati.
Tentarono di arrestare l'emorragia, poi Eric gli prese la mano, guardandolo inerme: non c'era nulla da fare, stava morendo.
Il dottor Narè lascò le sue guardie e si diresse verso il ferito.
Si chinò su di lui, inginocchiandosi nel pantano.
-”Non aver paura, non ti lascerò morire, ora sta tranquillo e cerca di rilassarti più che puoi.”-Disse il mago con voce calma.
Mise le mani una sull'altra a qualche centimetro, sopra la profonda ferita.
Declamò qualche sorta di incantesimo e una luce verde tenue illuminò i suoi palmi.
La ferita smise di sanguinare immediatamente, ma non guarì del tutto.
-”Ora non resta che medicarlo come se fosse una normale ferita da taglio; il danno dovrebbe ripararsi entro poche ore.”-Aggiunse Elgis.
Poi si avviò verso gli altri feriti e lì dove necessario, usò di nuovo la magia curativa.
Eric ringraziò il dottore, senza di lui avrebbe perso sicuramente degli uomini.
Narè fece solo un gesto con il capo e accennò un sorriso, poi si rimise il cappuccio e tornò tra le sue guardie.
Lo spettacolo a cui avevano assistito gli uomini aveva gettato uno strano silenzio nel gruppo.
Come poterli biasimare.
Ciò a cui avevano assistito era senza dubbio “magia”.
Tutte quelle cose che leggevano da bambini e che reputavano voli di fantasia e favole, di punto in bianco corrispondevano alla realtà delle cose.
E' normale che ognuno dovesse razionalizzare la cosa; proprio come Ioria prima di loro, si trovarono, all'improvviso, di fronte a una realtà totalmente diversa da quella che gli era stata raccontata fino a quel giorno.
Eppure avevano tutti ricevuto un addestramento di base, alle armi di classe S, ma nulla di ciò che avevano visto era neanche lontanamente paragonabile alla potenza di quelle persone.
Nei loro cuori si fece strada anche l'amarezza del sentirsi all'improvviso, inutili.
Quando ebbe un attimo libero Eric tornò da Ioria che stava nuovamente seduto sotto un albero, cercando di ripararsi dalla pioggia che ancora non dava tregua.
-”Io...io...accidenti... io stento a crederci...”-Disse il capitano grattandosi la testa rasata cercando di controllare l'improvvisa balbuzie.
-”Nemmeno io riesco ancora a capacitarmi di tale esperienza signor capitano...non so nemmeno se mai la capirò...”-Disse il ragazzo.
-”Avevi ragione, avevi dannatamente ragione... non sarà affatto facile...In fondo, credevo che avessi un po' esagerato nel descrivere la tua missione, ma ora mi rendo conto...”-Si interruppe per qualche minuto, perso nei suoi pensieri; poi d'un tratto sembrò rinsavire, si rialzò di nuovo in piedi e con nuovo vigore continuò.-”Ok basta chiacchierare... dobbiamo andare avanti!”-
-”Signor sì signore!”-Rispose il ragazzo balzando sull'attenti.

Arrivarono davanti alle porte del maniero alle 17.27.
Il cielo veniva squarciato dai tuoni e dai fulmini che cadevano molto vicini all'edificio.
Il vecchio Narè ci aveva visto giusto, la tempesta in quel punto era molto più aggressiva e distruttiva: era sicuramente l'opera di qualche sortilegio.
Il capitano e il dottore parlarono in disparte per un po'.
Pianificavano una strategia efficace per entrare e completare la missione assegnatagli, cercando di ridurre al minimo i rischi.
Quando ebbero finito Eric tornò dai propri subordinati e diede gli ordini.
Le guardie scelte avrebbero abbattuto il portone, poi loro avrebbero fatto incursione e dopo aver ripulito l'area, avrebbero scortato fino al centro della struttura il vecchio e le sue guardie.
Dopodiché, mentre i maghi si occupavano del signor Yaara, i soldati avrebbero ispezionato e ripulito tutte le stanze, una a una, da tutte le entità ostili che le infestavano.
Quando furono tutti pronti il dottore fece un cenno e uno dei suoi si preparò per un incantesimo.
-”Attenti alle schegge, rimanete al coperto!”- Disse con tono alto Narè.
Poco dopo il mago lanciò una grossa palla infuocata che colpì in pieno il grande portone facendolo letteralmente esplodere in mille pezzi.
Grazie al fitto diluvio, che ancora imperversava, le fiamme che rimbalzarono all'impatto ebbero breve vita e non si propagarono nella vegetazione.
Il botto aveva stordito i membri più vicini all'entrata e pure l'uomo che aveva lanciato l'incantesimo, rimase lievemente frastornato dal fragore.
Fecero irruzione all'interno e proseguirono in silenzio, con la massima attenzione.
Arrivarono al centro dell'edificio dove campeggiava ancora l'enorme lastra di ferro, che proteggeva il salone in cui si era rifugiato il signor Albert.
Eric disse:-”Dottore, da qui in avanti lei e i suoi uomini sarete soli. Noi iniziamo a pulire questo piano, poi faremo gli altri...le auguro buona fortuna!”-
Ma il vecchio rimase impassibile, senza dire nulla, guardò il capitano, poi cercò con gli occhi tra i soldati, che erano appostati lungo il corridoio.
L'uomo intuì che c'era qualche sorta di intoppo e disse:-”Signore qualcosa non va?”-
-”Capitano, uno dei suoi uomini deve assistermi...E voglio che sia lui...”-Rispose il mago indicando con la sua mano ossuta il giovane Ioria che, in quel momento,era di spalle e controllava l'accesso delle scale al piano superiore.
-”Ma signore...”-Ribattè Eric.-” Lui ci è indispensabile: conosce questo edificio e ha già affrontato le creature che vi abitano.
Senza di lui aumenterebbe il rischio di subire delle perdite, signore.”-
-”Mmm...Capisco...”-Disse il dottore, poi abbassò il cappuccio, si passò una mano tra i capelli corti e bianchi e continuò:-”Ha ragione, lei...è un buon capitano... si preoccupa per i suoi subalterni...bene! Troveremo un accordo!”- Si fermò a riflettere il tempo necessario, poi riprese il dialogo:-”Io le affido tutte le mie guardie in cambio del ragazzo...E questo è un ordine signor capitano!”-
L'uomo rimase sorpreso, non era affatto uno scambio equo; i maghi erano molto forti e probabilmente avrebbero potuto svolgere quel compito da soli, senza l'assistenza dei soldati.
Qualcosa non gli tornava.
-”Signore, ne è assolutamente sicuro?”-Domandò.
Il mago non disse nulla; si limitò a guardarlo intensamente senza battere ciglio.
Eric comprese comunque; prese dalla spalla il fucile e ordinò agli uomini di tenersi pronti al rastrellamento.
Poi andò da Ioria per dargli le nuove direttive.
In cuor suo il ragazzo lo aveva già immaginato.
Quando gli uomini furono abbastanza lontani il dottore gli si avvicinò dicendo:-”E' importante che tu assista a questo.Non fare nulla, non intervenire per nessun motivo, limitati a stare in disparte e a osservare in silenzio, qualsiasi cosa accada.Se osserverai queste semplici regole non ti accadrà nulla, altrimenti non mi riterrò responsabile della tua morte.”-
Il ragazzo annuì, ripose il fucile e si mise alle spalle del vecchio.
L'enorme lastra si alzò ancora una volta scorrendo verso l'alto e si richiuse sonoramente al loro passaggio.
L'ambiente all'interno era cambiato.
Tutti gli strumenti erano stati messi ai margini dell'enorme cerchio inciso sul pavimento e anche il cilindro con dentro il corpo di Elil, che prima era nel mezzo della stanza, ora era messo esattamente dalla parte opposta a dove si trovavano loro, accanto al macchinario che conteneva il corpo del dottor Yaara.
L'area centrale era completamente sgombra.
Narè fece cenno al ragazzo di mettersi in un angolo vuoto, tra due grossi congegni.
Ioria obbedì e si mise in silenzio a osservare.
-”La tempesta là fuori è opera tua vero?”-Disse il vecchio.
-”Che domanda futile, non è da te sprecare il fiato a questo modo...”-Rispose la voce.
-”Lo sai perché sono qui vero?”- Domandò ancora il vecchio guardando dritto avanti a sé nel vuoto.
-”Altra domanda inutile...”-Rispose ancora la voce con un accenno di sarcasmo.
Poi il cerchio prese vita e cominciò a pulsare di un blu vivo e al centro della stanza apparve una figura umana, trasparente: era l'immagine del dottor Yaara.
Un uomo di media statura, dall'aria vissuta, apparentemente sembrava avere sessantanni circa, viso squadrato, con due profonde rughe che gli solcavano le guance e la pelle scura che faceva risaltare il colore blu intenso degli occhi.
Indossava una bellissima tunica tutta finemente lavorata, color bianco vivo, cesellata interamente da scritte arcane e simboli runici.Sopra la tunica un paramento blu bordato; anch'esso di pregevole fattura e ricoperto da simboli magici.
-”E' passato un po' di tempo dall'ultima volta che ci siamo affrontati, ricordi?”-Disse Albert sorridendo.
-”Già.”- Rispose l'altro.
-”Bene allora, bando ai convenevoli, sappiamo entrambe perché sei venuto qui, e visto che abbiamo anche un pubblico questa volta, non deludiamolo e mostriamogli ciò di cui è capace un vero mago!”- Esclamò Yaara con euforia, poi alzando le braccia e assumendo la posizione di una croce riferendosi a Ioria aggiunse:-”Questo è uno spettacolo che non dimenticherai mai più!”-

Il simbolo a terra iniziò a pulsare sempre più veloce e l'immagine di Albert venne avvolta da una luce verde.
Elgis stava davanti a lui e si stava a sua volta preparando: aveva il capo chino e gli occhi chiusi e pronunciava una sorta di litania.
Dopo poco stese il braccio e aprì la mano, volgendo il palmo a terra.
Per qualche secondo nessuno si mosse.
Poi la luce di Yaara aumentò e venne sollevato a qualche centimetro da terra, migliaia di goccioline d'acqua si stavano condensando e vorticavano raggruppandosi attorno alla sua figura.
Poi si sentì un tonfo, come quello del mare che si infrange sugli scogli.
Ioria non credette a ciò che gli si era presentato davanti agli occhi.
Con un grido simile al suono del vento che fischia, nelle giornate di tempesta, fece la sua comparsa un essere alto quattro metri fatto interamente di acqua.
Aveva parvenze umane, ma non aveva le gambe: al loro posto vi era una specie di unico piede della forma di un onda marina.
Tutto il corpo era un costante turbinio vorticoso di liquido.
Agitò le grosse braccia, come fanno le persone quando sono adirate e percosse freneticamente il terreno facendolo tremare e provocando una letale pioggia di proiettili di fluido.
La voce di Narè si faceva via via più forte e nonostante l'attacco lo avesse mancato di un soffio, non si accingeva a muoversi né tanto meno perdeva la concentrazione.
Dal pavimento umido scaturì una fiammella; rimase per qualche istante esitante, quasi sembrò spegnersi, poi un attimo dopo iniziò a crescere sempre più a tratti, pulsando.
Divenne un uovo fiammeggiante alto due metri e quando arrivò al suo culmine, esplose in mille frammenti infuocati che si sparsero tutto intorno.
Al suo posto ora vi era un essere infuocato, anch'esso simile a un uomo, ma fatto di fiamme.
Si Alzò in piedi e anche la sua statura pareva raggiungere i circa quattro metri di altezza.Il fuoco lo avvolgeva e rendeva i suoi tratti indistinguibili.
Aprì le braccia con un gesto di liberazione e lanciò un grido simile a quello delle aquile.
E fu battaglia.
Le due entità si fronteggiarono lanciando grida e ruggiti.
Gli attacchi dell'essere di fuoco, quando andavano a segno, facevano evaporare la parte colpita, lasciando un buco o un solco; viceversa quando era l'altro a ghermirlo, le fiamme si affievolivano e si estinguevano, producendo un fumo nerastro.
Tutto sommato sembrava una lotta a mani nude tra giganti.
Particelle di fuoco e acqua si propagavano nella stanza danneggiando tutto ciò che colpivano.
L'unica zona sicura era quella in cui si era rintanato il ragazzo.
A ogni pugno sferrato Ioria strizzava gli occhi, infastidito dal fragore dei colpi inferti e delle urla agghiaccianti.
Avrebbe tanto voluto accucciarsi e coprirsi e aspettare che tutto fosse finito.
Era terrorizzato.
Ma nonostante tutto rimaneva lì in piedi: qualcosa lo spingeva a continuare a osservare la lotta interminabile tra le due forze opposte, trasgredendo a ogni tipo di logica e all'istinto.
Gli esseri sembravano rigenerarsi continuamente, non importava quanto grave fosse la ferita inferta, poco dopo veniva rigenerata da nuove fiamme, o da nuovi mulinelli d'acqua.
Poi le entità producendo mormorii e grugniti intrecciarono le loro mani in una intensa presa, una prova di forza.
La stanza era ormai satura di odore di zolfo e umidità.
L'essere d'acqua stava avendo la meglio e gridava sferzando l'avversario che, quasi in ginocchio, emetteva crepitii, come quelli del fuoco di un incendio che va spegnendosi.
Narè , che era ancora immobile nella sua posizione, intensificò la sua preghiera e il tono della sua voce aumentò ulteriormente riecheggiando tra le mura del locale.
La creatura riprese le forze e ruppe la stretta con un'altra esplosione fiammeggiante, che scaraventò il gigante contro dei macchinari, distruggendoli.
Lanciò un grido di dolore, poi si rialzò infuriato e prese a scaraventare i pezzi meccanici divelti, addosso alla creatura di fuoco.
Evitò i primi due oggetti che andarono a sfondare il muro dietro di lui, ma al terzo venne preso in pieno, cadendo a terra.
Al ragazzo parve che sia le fiamme che i mulinelli d'acqua avessero perso di intensità.
I due esseri corsero uno verso l'altro e si scontrarono frontalmente.
Un forte boato, poi partirono dei frammenti dei loro corpi che crearono grossi buchi nel muro.
Ioria chiuse gli occhi per qualche istante e si copri la testa con le mani: quando li riaprì i due giganti si stavano prendendo a pugni a turno.
I colpi si fecero via via sempre più lenti e privi di energia.
Persino la stazza degli esseri sembrava diminuire un po' alla volta.
Le due forze si pareggiavano, indubbiamente.
Ormai era chiaro: più era lungo il combattimento più energia perdevano le entità.
L'uomo fiammeggiante riuscì a stento a evitare un colpo portato al viso e ne approfittò per contrattaccare il nemico ormai sbilanciato.
Abbracciò alla vita l'essere d'acqua e serrò la stretta intrappolandolo in una morsa letale.
Iniziò a emettere un grido sempre più acuto e crescente e le fiamme che lo avvolgevano aumentarono fino ad avvolgere entrambe le sagome.
Il calore nella stanza aumentò eccessivamente e iniziò a mancare l'ossigeno.
Poi il fuoco si spense per un istante e vi fu di nuovo una grande esplosione.
Ioria perse i sensi.
Quando si risvegliò dei due giganti non vi era rimasto più nulla, come non vi era rimasto più nulla della parete nord ovest della stanza.
Ora si potevano vedere addirittura parte dei piani superiori.
Il vecchio Narè era al suolo inginocchiato, ansimante e visibilmente provato.
Al centro di ciò che rimaneva del locale ricomparve la figura del dottor Yaara, anche lui visibilmente provato dalla lotta.
-”Proprio come ai vecchi tempi!”-Escalmò ridendo Albert.
-”Anche allora mi battevi sempre...”-
-”Eh amico mio, si vede che le cose dovevano andare in questa maniera”-Aggiunse, ma il sorriso andò via via spegnendosi.
Elgis non disse nulla, si limitò a guardare il dottore di fronte a sé.
Poi Albert si girò verso il ragazzo.
-”Tu mi sei simpatico sai?Se ci fossimo conosciuti in circostanze differenti, mi sarebbe piaciuto averti come allievo!Ma come puoi vedere da te, le cose non vanno sempre come vogliamo...comunque voglio farti un dono.”-
Il ragazzo percepì qualcosa nella sua tasca, li dove teneva il ciondolo.
Una sensazione inspiegabile a parole: era come se una grande forza fosse stata racchiusa nell'oggetto all'interno della sua sacca.
Poi l'immagine del dottore si fece più tenue, e il suo volto acquistò una espressione un po' assente, come assonnata.
-”Sono stanco ora, molto stanco...ho sonno...ho voglia di riposare...Elgis...amico mio, aiutami, aiutami ad andare dalla mia famiglia...mi stanno aspettando...finisci il lavoro, te ne prego, amico mio...”-Disse a stento Yaara poi la sua immagine si dissolse nel nulla.
Il vecchio si alzò da terra a fatica e si diresse verso l'incubatrice che conteneva il corpo del dottore.
Armeggiò con i comandi e ne disattivò le funzioni primarie.
Cicalii di allarmi sonori e varie spie si accesero sul congegno.
Qualche minuto dopo l'illuminazione all'interno della camera andò spegnendosi lentamente.
La vita di Albert Yaara si spense.
-”Addio vecchio amico mio...”-Sentì dire Ioria dal vecchio, che ora si stava dirigendo verso il cilindro.
-”Buon viaggio anche a te piccolo Elil...Ci incontreremo ancora, un giorno...”-E così dicendo staccò il sostentamento vitale del piccolo ragazzo.
Poco dopo anche Elil lasciò questo mondo per raggiungere il padre e la madre, finalmente.
Fu allora che il cerchio magico iniziò a pulsare sempre più forte, sempre più intensamente, fino a che un fascio di luce sottile partì dal centro, sfondò il tetto e attraversò le nubi oscure, diradandole.
Dopo questo ultimo spasmo di energia, anche le rune inscritte sul pavimento persero la forza e si spensero, lasciando solo pallidi simboli grigi, tracciati a terra.
Ioria capì che non vi era più pericolo e si mosse dirigendosi verso Narè.
Il suo volto era solcato dalle lacrime.
-”Signore, va tutto bene?”-Chiese il ragazzo poggiandogli una mano sulla spalla.
La tunica al tatto risultava molto calda.
Il vecchio lo guardò e nascondendosi sotto il grande cappuccio disse con voce grave e un po' rotta dal dolore:
-”Si ragazzo, va tutto bene...è soltanto la pioggia, la pioggia che scorre...”-

Completata la missione, fu possibile chiamare via radio i velivoli che attendevano nella radura, per farli arrivare direttamente sul posto.
Non essendoci lo spazio necessario per atterrare, i soldati dovettero salire sui mezzi in volo stazionario, usando le scalette.
Il dottore e le sue guardie non tornarono indietro con gli altri: il loro nuovo compito ora, era quello di investigare sulle ricerche del dottor Yaara e degli altri membri del suo staff.Una volta compiuta anche quella missione, avrebbero mandato qualcuno a riprenderli e avrebbero raso al suolo l'intero stabile, senza lasciare nessuna traccia.
Gli lasciarono la tenda, dell'equipaggiamento e dei viveri.
Nessuno si fece il minimo scrupolo ad abbandonarli in quella zona selvaggia: se la sarebbero cavata benissimo da soli.
Sul cargo in rotta verso la base, regnava un silenzio tombale; gli unici suoni che si udivano erano gli sporadici lamenti dei soldati feriti durante il rastrellamento dell'edificio.
Intorno a Ioria si era creato il vuoto.
Nessuno gli volle sedersi accanto.
Era considerato “fuori dal gruppo”ormai.
Anche Eric era seduto lontano dal ragazzo, e lo guardava a stento.
Avrebbe dovuto dirgli qualcosa, qualsiasi cosa, ma non ne ebbe la forza: dentro di sé, anche lui pensava che quella persona non facesse più parte della sua task force.
Il ragazzo rimase seduto senza dire una parola per tutto il viaggio.
Davanti agli occhi gli scorreva ancora, come in un film, tutto ciò che gli era successo: bestie feroci, armi incantate, magie, demoni, poi ancora altre bestie, maghi dagli indescrivibili poteri, giganti che combattono e il terrore che tanto spesso si era impadronito di lui negli ultimi tempi.
-”Si ha paura di ciò che non si conosce”- Fu questo l'ultimo pensiero del ragazzo, poco prima di addormentarsi seduto sul posto.

Quando atterrarono all'aeroporto era già calata la notte.
Rientrò nel suo alloggio e si levò i vestiti.
Appena fu sotto la doccia tentò di non pensare a nulla, di rilassarsi, di sciogliere la tensione, ma gli veniva difficile.
Quando finì, si asciugò per bene, poi indossò l'accappatoio pulito e fresco e andò verso il letto, per riposare fino al mattino seguente.
Mentre stava per uscire dal bagno però, incrociò la sua immagine nello specchio, appeso sopra il lavandino.
Si fermò e si guardò fisso negli occhi.
Fu allora che capì che qualcosa in lui era cambiato per sempre.

La mattina fu chiamato a rapporto dai suoi superiori.
Consegnò loro un rapporto dettagliato sull'intera operazione.
Come ordinato dal dottor Narè in persona, poco prima che partisse, non menzionò minimamente ciò che accadde all'interno del salone del maniero.
Di quelle cose se ne occupavano altre sezioni, non quella a cui faceva riferimento il ragazzo.
Il rapporto era il n° 1141; ma per le alte sfere dell'agenzia venne rinominato Rapporto Pellican.
Finito il colloquio, venne congedato fino a nuovo ordine.
Poteva ritornare a fare una vita “normale” fino a quando non avrebbero di nuovo avuto bisogno di lui.
Ioria uscì dalla base percorrendo un passaggio secondario.
Si trovò nella parte sud della mega città in una zona relativamente vicina a casa sua.
Fece qualche chilometro a piedi, camminò senza meta per diverse ore, poi andò in un centro commerciale e si procurò un palmare nuovo: ufficialmente, quello vecchio era caduto accidentalmente dalle mani di Isaac rompendosi in mille pezzi, mentre era andato a fare un campeggio.
Si mischiò alla folla, fece compere, si fermò a guardare le vetrine e mangiò delle schifezze in un fast food.
Era quello il rito di passaggio: ora l'agente speciale Ioria era tornato ad essere Isaac Peak, il dipendente della Ediltech un'azienda di costruzioni edili, che qualche giorno prima aveva ricevuto un certificato speciale, che giustificava l'assenza del signor Isaac da lavoro, per una breve pausa lavorativa.
Si immaginò l'invidia e l'arrabbiatura di Thomas, nel saperlo in vacanza a sua insaputa.
Questo gli sarebbe costato un giro di birre, la prossima volta che sarebbero andati al bar assieme ai colleghi.
Per caso passò accanto a una gioielleria e vi si fermò davanti.
Tra un centinaio di oggetti preziosi e lucenti esposti sulle mensole, la sua attenzione ricadde su due piccoli orecchini con dei brillanti, che, a suo parere, sarebbero stati benissimo addosso ad Elisabeth.
Entrò nel negozio e li comprò.
Era un modo per farsi perdonare.
Poi però lo assalì il dubbio che quando sarebbe tornato, forse non ci sarebbe stato più nessuno disposto a perdonarlo.
-”Prima o poi finirà davvero così”-Pensò il ragazzo, facendo roteare in aria il piccolo pacchetto decorato che aveva appena comprato.
Poi lo riafferrò al volo, lo mise in tasca e si diresse verso casa.
Era pomeriggio quando arrivò.
Aprì la porta piano piano, in cuor suo c'era il timore che la stanza fosse vuota e le cose di Elisabeth fossero sparite.
Ma la porta non scorreva bene, qualcosa ne impediva il movimento.
Infilò la testa, si affacciò e notò che dietro l'entrata c'erano dei vestiti smessi buttati a terra tutti ammonticchiati: era il classico comportamento della ragazza; lui spariva per giorni e lei gli riduceva la casa a un cumulo di macerie e disordine.
Ma ne fu felice però, significava che lei era ancora li e che lo aveva aspettato per tutto quel tempo, ancora una volta.
Scivolò nella stanza come un ladro e la vide sdraiata sul lettone che riposava esausta, dopo essersi ammazzata di fatica in palestra.
Anche quello era una sua consuetudine del caso: lei sfogava spesso così la rabbia e la frustrazione.
Isaac andò in cucina e nascose gli orecchini nella tazza da tè della ragazza: pensò che sarebbe stata una bella sorpresa, quando li avrebbe trovati la mattina dopo.
Poi si svestì e rimasto solo con gli slip, si sdraiò alle spalle della sua Elisabeth, che ancora dormiva profondamente e non si era accorta di nulla.
Le incominciò ad accarezzare i capelli rossicci.
Era ancora tutta sudata, ed aveva in dosso ancora i pantaloncini neri attillati da ciclista e la magliettina gialla aderente, che esaltavano le sue forme affusolate.
Le ciocche erano talmente bagnate che i riccioli si erano uniti assieme e si erano allungati fino ad arrivarle quasi a toccare le spalle.
-”Povera piccola!”-Bisbigliò Isaac.-”Devi essere stata tanto in pensiero per me...guarda come ti sei ridotta facendo palestra...”-
Poi le prese delicatamente la testa e la accostò alla sua.
Annusò profondamente.
Il suo odore gli piaceva tanto.
Poi fece scivolare la mano sotto il suo collo e la abbracciò da dietro chiudendo gli occhi.
La mano indugiò sul suo seno, non molto grande ma sodo.
Fu allora che Elisabeth si svegliò.
Non si girò, non subito almeno.
Isaac la strinse al suo corpo e iniziò a baciarle il collo.
Fu allora che la donna si volse lentamente verso di lui.
Si guardarono negli occhi intensamente per qualche istante, senza dire nulla.
Poi le labbra si sfiorarono timidamente poi, dopo una breve pausa, si riavvicinarono in un bacio profondo.
Le mani di lui si infilarono sotto la maglietta.
Il fiato dei due si fece più pesante.
Lei gli iniziò ad accarezzargli il sesso attraverso gli slip e lui prese a massaggiarle delicatamente i glutei.
Poi Isaac le scivolò alle spalle, fece poggiare la sua schiena sul suo petto tonico e intrecciando le gambe con le sue, le schiuse piano piano.
Con una mano le toccava i seni e con l'altra le sfiorava il sesso lentamente, molto lentamente.
La ragazza gemette.
Poi prese a baciarlo sul collo e ad accarezzarlo intensamente e il respiro dei due si fece ancora più pressante.
Rimasero così per qualche tempo e quando furono pronti si levarono i vestiti.
Uno di fronte all'altro incrociarono le gambe, in un piacevole abbraccio e mentre i sessi si sfregavano uno contro l'altro i due si baciavano e sfioravano ovunque, in una sorta di danza convulsa.
Poi lei salì su di lui e lo fece scivolare dentro di sé senza fretta, poco alla volta.
Per Isaac fu come ritornare a casa.
Rimasero a fissarsi negli occhi, mentre Elisabeth con le braccia intorno al collo di lui, indugiava un lento andirivieni.
Il ragazzo non resistette a lungo e poggiando le mani sulla sinuosa e liscia schiena di lei, la adagiò sul letto e gli salì sopra.
Il ritmo si fece più incalzante e i lamenti dei due si fecero più frequenti.
Il sudore imperlava la schiena di lui, mentre lei gli lasciava profondi graffi con le sue unghie.
Elisabeth lo afferrò saldamente e lo fece rotolare sul letto in maniera rude e lo cavalcò.
Si muoveva sinuosa su di lui mordendosi il labbro, poggiando le mani sul petto.
Prese a muoversi con ritmo secco e deciso.
A ogni colpo Isaac si lasciava scappare un lamento.
Poi non ci fu più tempo.
Il ragazzo la afferrò saldamente a se con entrambe le braccia e aumentò la cadenza fino a che i due non raggiunsero l'orgasmo gemendo di piacere, in preda alle convulsioni.
Lei ricadde su di lui e stette li per qualche tempo, madida di sudore.
Dopo qualche minuto, scivolò senza forze accanto al ragazzo e dandogli le spalle finalmente disse:-”Non te la puoi cavare sempre così...”-
Lui non rispose.
-”Isaac...tu... chi sei in realtà?”-
Chiese infine la donna.
Il ragazzo divenne scuro in volto e disse con tono deciso:
-”Elisabeth, vuoi veramente saperlo?”-
La ragazza ebbe un brivido, ci pensò qualche istante, poi abbracciò stretto il cuscino e disse:
-”No Isaac...non lo voglio sapere...”-
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