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Rapporto Pellican

Ultimo Aggiornamento: 24/07/2008 22:40
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Città: MILANO
Età: 42
Sesso: Maschile
24/07/2008 18:29

Racconto Fantasy
Ecco dopo quasi un anno un'altra storia che mi piacerebbe farvi leggere.
Diciamo che è il seguito di "La Gabbia" che sta qui sempre su questo sito^^.

Spero tanto che vi piaccia.
Buona lettura!

Rapporto Pellican


“...E così ho detto al responsabile: Provi a compilare un modulo 748 e poi mi faccia sapere!”-Disse Thomas alzando il boccale di birra scura e prendendone un gran sorso.Tutti i presenti al tavolo risero per quella battuta, anzi, non proprio tutti.
Isaac guardava l'amico con una espressione perplessa accennando un mezzo sorriso di circostanza, ma era palese che non ne avesse capito il senso.
-”Per l'amor del cielo Isaac!Non mi dire che dopo quattro anni che lavori con noi, non sai ancora che cosa sia un modulo 748!”-Esclamò Thomas con voce beffarda.
L'uomo abbassò lo sguardo, bevve e poi disse senza alzare gli occhi:-”Te l'ho detto mille volte Thomas, io di tutte queste pratiche non ci capisco nulla, faccio sempre e solo le solite due o tre cose in ufficio e mi va più che bene così!”-
-”E così sia!”-Aggiunse Thomas levando il boccale in aria e brindando rumorosamente con i colleghi.
Il sabato sera trascorreva tranquillo, tra fiumi di birra, brindisi e battute sconce, tra amici e colleghi, al solito bar vicino al molo.
-”Ragazzi è giunto per me il momento di ritirarmi nelle mie stanze, altrimenti Elisabeth si arrabbia sul serio sta volta!”-Disse Isaac alzandosi dalla sedia e barcollando leggermente.
-”Noo non ci puoi lasciare proprio ora, la mezzanotte è scoccata da pochissimo!Resta ancora un po' dai!”-Disse uno dei colleghi di lavoro.
-”No davvero non posso, non conoscete Elisabeth, se mi vede tornare a casa in questo stato è capace di rompermi qualche osso e di lasciarmi sul divano per tutta la notte!”-Rispose Isaac, senza però aver ben capito a chi del tavolo dovesse rivolgere lo sguardo.
-”Puoi dirlo forte!”-Aggiunse Thomas-”Quella donna si tiene sempre dannatamente in forma e ha davvero un bel caratterino!Senza offesa, ovviamente Isaac!2-
-”No no, nessuna offesa!L'unico a rischiare di rimanere seriamente offeso sono io, se non mi muovo a tornare all'ovile!Signori vi saluto!”-Fece un cenno con la mano a tutti i presenti e si avviò verso il bancone per andare a pagare.
Thomas si alzò e lo seguì.
-”Senti un po' Isaac ce la fai a tornare a casa tutto intero?”-Gli chiese l'amico.
-”Si si, sta tranquillo una bella boccata d'aria fresca e torno come nuovo!”-Ribbattè l'altro.
-”Ok, allora buona boccata d'aria....E ricordati che lunedì mattina il capo della tua sezione amministrativa alla Ediltech vuole parlarti in privato; mi raccomando cerca di non fare stupidaggini e fa vedere che quando vuoi sai essere professionale!”-
-”Tu ti preoccupi troppo Thomas!Non sono bravo come te nelle scartoffie ma il mio lavoro, amico mio, lo so fare bene!”-Disse Isaac poggiando una mano sulla spalla dell'amico.
Per un istante Thomas credette che il ragazzo stesse parlando di qualcos'altro, ma poi pensò che fosse l'alcool che gli scorreva nelle vene a fargli fare discorsi strani.
-”Allora buona notte amico mio, ci vediamo lunedì in ufficio!”-Disse Thomas ricambiando la pacca sulla spalla.
-”Ok, a lunedi, ora pago e vado via altrimenti il caposezione sarà l'ultimo dei miei problemi!”-Esclamò sorridente Isaac.
Si diresse poi un po' incerto verso il bancone, passò la carta dei crediti sul ricevitore e dopo aver ultimato la transazione salutò di nuovo tutti e se ne andò.

Era una bella serata di inizio estate, il caldo del giorno aveva lasciato il posto a una leggera brezza notturna che spirava dal molo; le strade umide e salmastre che riflettevano lievemente le luci degli altissimi palazzi sovrastanti e il silenzio circostante, davano all'ambiente un ché di surreale.
L'uomo fece un profondo respiro e si avviò verso il proprio veicolo parcheggiato dall'altra parte della strada.
Una volta salito lo avviò e prima di partire usò la microcamera interna dell'abitacolo per darsi un'aggiustata alla giacca e al vestito un po' sgualciti dai troppi brindisi.
I capelli corti e castani erano tutti spettinati e lo sguardo di solito sicuro e penetrante, ora sembrava languido e vago.
-”Accidenti!”-Pensò fra sé e sé.-”Così conciato mi scoprirà subito e si arrabbierà tantissimo!”-
Si diede due schiaffetti sul volto, poi impostò sul navigatore la via di casa, scegliendo però un percorso un po' più lungo, per potersi riprendere dalla sbornia.
Abbassò tutti i vetri della macchina e poi partì.

Il motore elettrico dell'utilitaria sibilava appena, mentre Isaac percorreva un lungo vialone sgombro, con il vento che lo spettinava leggermente.
Mi ci voleva proprio!-rimuginò.
Poi finalmente imboccò l'ampia entrata del parcheggio sotterraneo e dopo aver parcheggiato, prese il turbo ascensore fino al proprio appartamento.
Percorse silenzioso come un ladro, il corridoio che dall'ascensore portava all'entrata di casa e passò la chiave magnetica sulla serratura.
Entrò di soppiatto senza accendere le luci.
Si svestì e appese gli abiti dentro l'armadio, poi si diresse in bagno, espletò il frutto delle svariate birre bevute poco prima con gli amici e poi fu pronto per scivolare nel lettone accanto a Elisabeth che dormiva come un sasso.
O almeno così sembrava.
-”Era ora!”-Disse la donna,avendo aspettato qualche secondo prima di dire qualcosa, così che lui avesse il tempo di illudersi di averla fatta franca.
-“Quanto hai bevuto questa volta?”-Aggiunse irritata.
-”E dai Ely, lo sai che non bevo molto più di tanto e poi ero con gli amici, non ti arrabbiare!”-Disse l'uomo che poco prima aveva pensato sul serio di avercela fatta.
-”Ely un corno!Quando mi chiami così è perché sai di aver fatto qualcosa che non dovevi fare, quanto hai bevuto?Eh?Rispondi!”-
Ribattè la donna ancora più irritata di prima.
Ma Isaac era quasi in preda al sonno e rispose bofonchiando:-”Non so qualche birra...una .. due ...forse anche quattro o cinque...non di più ti giuro...almeno credo, la prossima volta le conto ok?Ora però lasciami riposare sono staaaaanco...”-
Elisabeth si rigirò nel letto e lo guardò in cagnesco, ma Isaac era già nel mondo dei sogni.
Voleva inveire su di lui, ma aveva una faccia tanto beata che sentì la sua rabbia sbollire all'istante.
Allungò una mano e accarezzò il viso del ragazzo e sorridendo disse:-”Te la cavi sempre così tu!Ti va bene che hai sto visino dolce quando dormi, ma la prossima volta ti spezzerò le costole se ti sbronzi di nuovo!”-
Poi la mano scivolò lentamente sul fisico tonico di lui e si fermò sul gluteo sodo a indugiare un po'.
Poi anche lei cedette al sonno e si addormentò.

Verso le tre di notte una musichetta melodica riecheggiava nell'appartamento, emettendo allo stesso tempo una vibrazione ritmica.
Isaac aprì gli occhi ma parve, in un primo momento non capire bene cosa fosse quel suono.
Poi, svegliandosi completamente, capii che era il proprio palmare, lasciato nella tasca della giacca, appeso nell'armadio a muro accanto al letto.
Scattò in piedi e prese l'aggeggio in mano.
-”Pronto?”-Disse con tono fermo.
-”Scusa sono Michelle sei Paul?”-Rispose una voce femminile molto graziosa dall'altro capo dell'apparecchio, diffondendosi in tutta la stanza ferma.
Il volto del ragazzo si fece scuro, serio e teso.
Con voce ancora più dura e impostata rispose: -”No mi spiace ha sbagliato numero”-.
La ragazza si scusò e chiuse la comunicazione senza aggiugere altro.
Elisabeth si era seduta nel letto e aveva sentito tutto.
Le gambe ben tornite e atletiche erano leggermente piegate, circondate dalle sue esili ma toniche braccia e le ginocchia sorreggevano il peso la testa.
Guardava nel vuoto della stanza con aria assente.
-”Chi era?”- Sospirò.
-”Una donna che aveva sbagliato numero”- Rispose pronto Isaac.
Ma l'aria nella stanza si era fatta tesa.
-”Isaac chi era al palmare?Non puoi raccontarmi sempre la solita bugia ogni volta...non sono stupida...”-Continuò la donna che ancora non riusciva a guardare negli occhi il ragazzo.
Lui non disse nulla e iniziò a preparare uno zaino da escursioni.
Poi si recò in cucina, sembrava quasi non essere più lo stesso, tutto a un tratto si era trasformato in una specie di automa, che con meticolosità e precisione si presta a compiere il proprio lavoro.
-”Ora te ne vai vero?”-Nessuna risposta.
-”Perché prepari lo zaino?”-Nessuna risposta.
-”Isaac per Dio sto parlando con te!Chi era quella donna?Perché ricevi chiamate strane ad ogni ora del giorno e della notte?Perché mi lasci sempre sola senza mai dirmi dove vai?”-
La voce si interruppe e delle lente lacrime iniziarono a scendere sulle guance di lei, che si mordeva il labbro e si malediceva da sola, perché avrebbe voluto spaccargli la faccia invece di mettersi a piangere.
Tirò su col naso, si mosse da quella posizione statica e si asciugò le lacrime.
Poi ondeggiando con la testa disse:-”Hai un altra vero?”-
-”Non dire stupidaggini!”- Rispose finalmente Isaac, che sembrava non aver dato minimamente peso ai discorsi di Elisabeth fino a quel momento.
La ragazza ebbe un sussulto, la sua voce era energica pur rimanendo con un tono normale.
Il ragazzo finì di preparare le ultime cose, prese dei viveri dal frigo che non mancavano mai e dopo aver riposto nello zaino anche due borracce piene d'acqua, lo chiuse con forza.
Poi aprì l'armadio e si vestì casual: scarpe da ginnastica alte, una camicia a maniche corte e un jeans.
Si mise lo zaino in spalla e si fermò qualche secondo in piedi, al centro della stanza, guardando la ragazza.
La donna non aveva ancora alzato il capo e i suoi riccioli castano ramato per quanto fossero abbastanza corti le coprivano il viso.
-”Elisabeth vado a farmi un giro.Non so quando torno, non mi aspettare.”- Disse lui.
Ma la ragazza non rispose, aveva di nuovo il capo poggiato sulle ginocchia senza nemmeno più piangere.
-”Elisabeth guardami!”-Tuonò il ragazzo.
Lei ebbe un sussulto ancora una volta, poi lentamente, quasi impaurita guardò Isaac.
Lo sguardo di lui sembrava penetrare i suoi più intimi pensieri, quasi emanavano una luce propria, spesso ci si era persa nei suoi occhi e lo sapeva; infatti evitava di fissarlo, soprattutto in quei momenti.
Poi tutto a un tratto si addolcì, si fece comprensivo e accennando un mezzo sorriso le disse:-”Tesoro non c'è nessuna donna, solo che mi hanno svegliato e ora non riesco a dormire, vado solo a farmi un giro, ti prometto che torno presto!”-
La donna non disse nulla, ma il ragazzo sapeva che aveva capito.
Poi si diresse con passo sicuro verso la porta, la aprì manualmente e fermatosi un istante sull'uscio disse:-”Ciao!Ci vediamo più tardi!”-
Elisabeth lo guardò ancora una volta e disse con voce rotta: -”Quando torni potresti non trovarmi più...”-
-“Capisco...”-Disse lui guardando a terra e se ne andò chiudendo la porta alle sue spalle.

Prese il palmare dalla giacca e mentre scendeva col turbo ascensore ne estrasse la batteria, poi lo ripose nella tasca posteriore del pantalone.
L'appartamento dei due si trovava nella zona sud della mega città, non tanto lontano dal centro.
Uscì dall'altissimo grattacielo e si diresse a piedi verso ovest.
Erano le quattro del mattino.
Camminava rapido tra le strade, sembrava entrato in uno stato di percezione alterato.
Si guardava costantemente attorno, attraversava gli ampi stradoni senza guardare, tutto come se stesse cercando qualcuno o qualcosa.
Dopo un'ora aveva già percorso più di cinque chilometri.
Riprese il palmare della tasca e con un gesto rapido e deciso della mano, lo spezzò in due.
Qualche frammento del cristallo che faceva da ampio schermo, cadde a terra, producendo un caratteristico tintinnio di piccoli vetri rotti, il resto lo buttò nel cestino più vicino.
Poi cambiò d'un tratto direzione, come fanno gli squali quando sono a caccia.
Salì in un palazzo lì vicino e prese la monorotaia che faceva una fermata al suo interno, a circa il trentesimo piano, dove c'era un centro commerciale aperto ventiquattro ore su ventiquattro.
Ora si dirigeva verso la zona nord, descrivendo un'ampia curva, cioè senza passare per il centro città.
Quando fu a nord evitò la zona malfamata e prese un taxi per raggiungere il servizio pubblico più vicino della zona nord est.
Ormai erano ore che camminava e si spostava da un luogo all'altro apparentemente senza meta.
Alle otto meno dieci si trovò ai piedi di un grattacielo ad ovest della parte centrale della città.
In quel posto i palazzi erano addirittura più grandi e più alti di quelli delle altre zone.
Di norma sono abitati dalle persone facoltose, ereditari e persone dai ceti sociali e dal rango elevato.
Entrò senza farsi notare nell'enorme agglomerato urbano e prese il turbo ascensore.
Scese di cinque piani, e si trovò nell'immenso garage; quando l'ascensore si fermò, tirò fuori da una sacca nascosta, una piccola chiave metallica la infilò nella serratura posta sotto i tasti e la girò.
Era la chiave che di solito veniva usata dagli addetti ai lavori della manutenzione.
Scese ulteriormente di non si sa quanto.
Quando le porte si aprirono avanti a lui c'era un enorme corridoio, video sorvegliato.
Era un lungo e largo tunnel di sezione quadrata, alto una decina di metri, fatto di cemento liscio: dei tubi lo percorrevano per l'intera lunghezza e si diramava di tanto in tanto in altri corridoi formando una rete precisa di ampi cunicoli.
Per terra, a lato, vi erano tracciate svariate strisce colorate, che correvano lungo il cemento.
Ognuna di esse portava a una sezione specifica di quel luogo immenso: un modo molto semplice per non smarrire la strada tra una traversa e l'altra, tutte molto simili tra loro.
Seguì la riga gialla fino ad arrivare alla seconda sezione.
Un grosso portone color arancione simile a quelli degli hangar degli aeroplani si stagliava pesante davanti il ragazzo.
Sopra vi erano pitturati di bianco due enormi segni: S2.


Nell'angolo in basso a destra dell'entrata vi era, fissato nel muro, un tastierino alfanumerico, uno scanner di impronte digitali e uno scanner ottico.
Isaac posò la borsa a terra, inserì un codice a dodici cifre, mise la mano sullo scanner e avvicinò il volto all'apparecchiatura per facilitare l'operazione di controllo della retina; il tutto con fare disinvolto e molto naturale.

Si sentì un rumore di pistoni pneumatici provenire da dentro le lamiere, poi le due porte si aprirono scorrendo orizzontalmente e si bloccarono quel tanto che bastava per permettere al ragazzo di entrare.
Appena fu dentro, i pistoni si mossero ancora una volta per chiudere l'entrata.
Nello stanzone c'era un po' di tutto: sembrava un'officina meccanica mista a una infermeria.
C'erano monitor di computer, congegni strani, lettini ospedalieri e qua e là qualche arma smontata e parti di aeromobili.
Un signore di mezza età lo stava attendendo seduto a una scrivania, illuminato solo dalla luce tenue di una lampada e dallo schermo del computer a cui stava lavorando.
Nonostante l'ambiente fosse prettamente di stampo tecnologico-militare, l'uomo indossava una lunga tunica bianca, con tanto di cappuccio, finemente lavorata con tanto di paramenti blu cesellati di strani simboli.
-”Oh bene!Le otto precise, puntuale come sempre!”- disse sorridendo il signore.
Cliccò un paio di volte sullo schermo con il mouse per chiudere delle cartelle, poi si alzò e con le mani giunte dietro la schiena raggiunse Isaac.
Il ragazzo si irrigidì sull'attenti e disse: Agente speciale Ioria a rapporto signore!In cosa posso esserle utile?
L'uomo rispose al saluto, poi fece cenno di seguirlo nella stanzetta attigua.
Lì vi erano una trentina di sedie con poggia libri, disposte in cinque file da sei, tutte rivolte verso un monitor grande quanto la parete con altre cinque sedie a lato.
Ioria si sedette in prima fila mentre il superiore avviava il programma e accendeva lo schermo.
Sul video apparvero delle immagini, grafici, la foto di un signore distinto e svariati scatti fatti dal satellite.
Una volta avviato tutto e guardato il monitor l'uomo si aggiustò gli occhiali squadrati sul naso, si schiarì la voce e prese un respiro profondo.
Questi suoi piccoli gesti lasciavano trasparire un sottile stato ansioso.
-”Bene Agente Speciale Ioria, l'abbiamo convocata qui perchè data la sua esperienza e abilità, la riteniamo idoneo a questa missione.
Deve sapere che da cinque anni abbiamo perso i contatti con uno dei nostri più stimati ricercatori: il dottor Albert Yaara.
Svolgeva le proprie ricerche in un maniero isolato, circondato da una fitta boscaglia nella zona di Asea a circa millecinquecento chilometri a est della mega città.
Purtroppo, dato l'elevato livello di segretezza delle ricerche svolte all'interno della struttura, non ci è stato possibile sapere prima delle cessate comunicazioni con la base.
Le foto scattate dal satellite hanno rilevato delle anomalie presenti in varie zone, entro 15 chilometri dal maniero; in particolare la zona centrale della struttura pare che sia pesantemente irradiata.
Ahimè crediamo che tali anomalie siano dovute all'A.D.A.M.”-L'uomo fece una pausa.
Ioria rimase un po' sorpreso nel sapere che ci potessero essere tali anomalie in una zona così ampia.
-”Signore...”-disse il ragazzo, ma venne interrotto quasi subito.
-”La prego Ioria mi chiami Kalimshi...comunque so già cosa mi sta per chiedere.Le dico subito che anche noi ci troviamo per la prima volta di fronte a una cosa del genere su scala così ampia.
Ma veniamo al dunque.
Ecco la sua missione:
Recarsi sul posto immediatamente, prelevare campioni dalla fauna locale e indagare sulle suddette anomalie e accertarne la causa.
Sarà necessario inoltre addentrarsi nella struttura e accertarsi dello stato di salute del dottor Yaara e dei suoi 25 collaboratori.
Ha la più completa libertà di azione.
Una volta entrato nella zona dovrà tenere il più rigoroso silenzio radio.
Una volta acquisiti gli obiettivi, uscirà dalla zona interdetta e ci manderà un singolo impulso, poi potrà tornare qui a fare rapporto.
Questo è quanto, le ricordo la massima prudenza e di stare sempre all'erta...”-
Kalimshi si aggiustò di nuovo gli occhiali sul naso, poi facendo un gesto con la mano aggiunse: -”Ora mi segua di là: per questa missione ha l'autorizzazione a portare con se equipaggiamento di classe S!”-
Il ragazzo era sbigottito, l'equipaggiamento di classe S era quello migliore che si potesse avere.
Questo poteva voler dire solo una cosa: missione ad alto rischio.
Per un attimo pensò a Elisabeth, da sola nel lettone che piangeva; si chiedeva se avesse dovuto salutarla in modo migliore...Ma ormai non c'era più tempo per queste cose e se voleva tornare da lei doveva levarsela dalla mente e concentrarsi solo su quello che doveva fare.

Seguì l'anziano nell'armeria.
Fu dotato di un fucile a ripetizione “coil”, con cinque caricatori da centocinquanta proiettili ciascuno, una coil gun con quattro caricatori da quindici colpi, due granate a frammentazione, due granate di tipo chaff e due granate accecanti.Fu inoltre equipaggiato di una tuta reattiva tecnologicamente avanzata, compresa di placche antiproiettile.
Poi Kalimshi porse al ragazzo un particolare palmare da polso e disse:-”Questo è essenziale per la tua sopravvivenza.E' collegato al kit per il prelievo dei campioni, quindi ti darà una analisi sommaria sui prelievi, ha un sensore di movimento del raggio di quindici metri attorno a te e monitorizza continuamente il tuo stato di salute...se il tuo corpo presentasse i sintomi dell'A.D.A.M questo ti dovrebbe avvertire per tempo.
Inoltre quando sarai sul posto se necessario ti fornirà ulteriori spiegazioni, ma solo in caso estremo.
Dato che la zona è stata dichiarata “No Fly Zone” dal nostro dipartimento, sarai da solo e dovrai atterrare a circa tre chilometri dalla zona interessata.
Ora seguimi per prendere il kit per eseguire le analisi e per l'equipaggiamento di classe S.”-
I due entrarono in un'altra stanza, totalmente diversa dalle altre viste prima.
Poi l'anziano prese un contenitore e lo poggiò su un robusto tavolo di legno, lo aprì verso il ragazzo e disse:
-”Nel caso di incontro con ostili, queste armi non devono assolutamente cadere in mani sbagliate.Nel caso in cui tu debba abbandonarle devi prima distruggerle; questo ha la priorità su tutto, anche sulla tua stessa vita...”-
Il vecchio fece un lungo sospiro, prese le lenti tra le mani e lucidandole con un fazzoletto estratto dalle maniche larghe della tunica aggiunse:-Mi raccomando ragazzo fai attenzione quando le usi e cerca di tornare indietro tutto intero...è un ordine!

Ioria stava ormai volando da poco più di tre ore, a bordo di un velivolo militare monoposto: una specie di elicottero senza pale con due grandi reattori ai lati.
Tutto sommato quella forma poteva ricordare vagamente quella di un mammifero marino.
Era stato addestrato a pilotare quasi ogni tipo di veicolo se necessario, ma in quel caso, le cose erano rese molto più facili grazie al pilota automatico e all'intelligenza artificiale del mezzo militare, molto più avanzata della versione civile.
Atterrò in una piccola radura a circa tre chilometri dalla “No Fly Zone”, proprio come era previsto.
Tutto intorno c'era una fitta vegetazione e il bosco era brulicante di vita.
Si udivano cinguettii e frullii di elitre e si percepiva sulla pelle, la fresca umidità degli alberi, che dominavano la zona con le loro fronde rigogliose.
Estrasse da un vano, lo zaino, le armi e un telone mimetico per coprire il veicolo e renderlo potenzialmente invisibile ad eventuali occhi indiscreti.
Erano circa le 12.00 quando ebbe inizio la missione.
Per prima cosa raccolse campioni di terreno e alcuni piccoli insetti nella zona circostante.
Parte dei prelievi li conservò, un'altra parte venne usata subito per determinare i valori base e fare una taratura degli strumenti e in particolare del rivelatore da polso.
I diagrammi davano tutto nella norma.Si poteva procedere oltre.
Si incamminò dritto verso il maniero, tagliando per la boscaglia fitta, senza cercare eventuali sentieri.
Proseguiva tranquillamente col fucile in spalla, dando una occhiata di tanto in tanto al bracciale.
Il rilevatore di movimento dava saltuariamente qualche leggero “bip”, ma si trattava per lo più di animali selvatici di piccola taglia spaventati dal suo passaggio.
L'andatura era lenta, il percorso era poco praticabile: ovunque c'erano grosse radici nodose di alberi, rocce lamellari lisce, muschi e licheni.
Doveva prestare parecchia attenzione a dove mettesse i piedi e aiutarsi spesso con entrambe le mani per cercare un appiglio sicuro.
Ormai era dentro la zona delle anomalie da circa un chilometro: era venuto il momento di campionare la zona.
Ancora una volta prese qualche particella di terreno, ma non bastava da solo, servivano ulteriori esemplari.
Si mise accanto ad un albero in silenzio, aspettando un verso o un rumore che tradisse la presenza di qualche animale.
Poco dopo fece capolino tra il fogliame un piccolo roditore; la sorte non gli era stata amica.
Ioria estrasse velocemente la coil gun, levò la sicura in un attimo e sparò un colpo che prese il mammifero in pieno, facendolo capitombolare più in la di qualche metro per l'impatto.
-”Mi spiace piccolo amico.”- Bofonchiò rammaricato il ragazzo a bassa voce, quasi bisbigliando.
Raccolse la carcassa e aprì di nuovo il kit per le analisi.
Prese un campione di tessuto, uno di sangue e poi con un particolare aggeggio, doveva prelevare anche del tessuto celebrale.
Si trattava sostanzialmente di un timbro circolare da premere con forza sul cranio della cavia da campionare: un ago perforava la calotta cranica e ne prelevava il poco necessario per le analisi.
Si sedette su una roccia e studiò i nuovi diagrammi.
Il terreno non era contaminato, ma il sangue e i tessuti connettivi del piccolo essere contenevano traccie di anomalie.
Il computer dava un'alta probabilità che si trattasse di A.D.A.M.
-”Dannazione!”-Esclamò il ragazzo.
Non era buon segno.
Era nella zona da poco più di un chilometro e già c'erano i primi probabili sintomi di contaminazione.
Iniziava a chiedersi cosa avrebbe trovato verso l'interno.
Catalogò i campioni e proseguì prestando maggiore attenzione a ciò che lo circondava.
Il verde lussureggiante della zona era uno spettacolo meraviglioso e se non fosse stato per le analisi fatte, non si sarebbe mai accorto che qualcosa in quel luogo non andava per il verso giusto.
“Bip!”.
Poi ancora.
“Bip,Bip,Bip”.
Qualcosa in lento avvicinamento aveva attivato il sensore.
Ioria si fermò e aspettò guardando il bracciale, per vedere da che direzione provenisse.
Ancora un singolo impulso.
Un essere di media taglia si trovava dietro le sue spalle.
Rimase fermo ancora qualche minuto, ma non ricevette più nessun segnale.
Proseguì la marcia, ma si sentiva seguito, come se qualcuno lo stesse osservando a debita distanza.
Di tanto in tanto qualche breve impulso ma poi più nulla.
Questa storia non piaceva troppo al ragazzo.
La marcia rallentò ulteriormente, la vegetazione in quel punto si era fatta più fitta e il terreno era ancora più dissestato.
All'improvviso mise un piede in fallo, scivolò su del viscidume verde cresciuto sopra un sasso e perse l'equilibrio trovandosi carponi per terra.
Non fece in tempo a bestemmiare che il sensore impazzì.
Qualcosa si avvicinava alle sue spalle, ma non riuscì nemmeno a girarsi che fu colpito da qualcosa e finì col ruzzolare giù da un lieve pendio assieme a quell'entità che ancora non distingueva bene.
Lottò senza avere la meglio per qualche minuto con la bestia, vedendone solo artigli e zanne, poi un dolore lancinante al braccio fece reagire il ragazzo che afferrò la pistola dalla fondina legata alla coscia destra e sparò due colpi .L'essere guaii dolorante e si rifugiò sotto le radici esposte di un albero.
Ioria lo teneva sotto tiro con la coil gun, con entrambe le braccia tese in avanti.
Si guardò, per un istante soltanto, il braccio sinistro.
Era tutto a posto, avvertiva solo un po' di dolore causato dall'eccessiva pressione del morso, ma non c'erano ferite di alcun genere: l'armatura aveva svolto egregiamente il suo dovere senza neppure riportare danni.
Si avvicinò piano piano abbassandosi.
Due occhi verdi lo osservavano adirati.
Poi sentì un soffio e vide le zanne bianche contrastare nel buio della cavità dell'arbusto.
La bestia respirava affannata, ma non sembrava darsi per vinta.
All'improvviso balzò in avanti puntando alla gola e tentando di morderlo, ma Ioria lo freddò al volo con tre colpi in piena testa.
L'animale cadde al suolo con un tonfo.
Il ragazzo tirò il fiato, poi gli si avvicinò e si assicurò che fosse deceduto e si apprestò ad osservarla meglio.
Era un felino, molto simile ad una lince, ma con il manto rossiccio simile al colore del terreno circostante.
La sua taglia però era circa tre volte quella naturale ed era inspiegabilmente molto più aggressivo: animali di quel genere raramente attaccano l'uomo.
La analizzò e risultò che non solo il sangue, ma anche la pelle e il tessuto celebrale erano contaminati pesantemente.
Molto probabilmente questo esemplare non era venuto a contatto con le radiazioni ma bensì vi era cresciuto in mezzo, avendo come conseguenza una profonda mutazione genetica.
Ormai erano le 17.45, restavano ancora molte ore di luce, ma facendo un rapido calcolo, pensò che fosse meglio non addentrarsi ulteriormente nella boscaglia e stabilire in quel luogo il campo base per la notte.
Rastrellò la zona per circa 100 metri in ogni direzione, poi si apprestò a montare una tenda sospesa a circa quattro metri da terra, sul grosso ramo di un robusto albero.
Si trattava fondamentalmente di un sacco di tessuto resistente e impermeabile con dei ganci e delle corde.
Montata, assomigliava molto a uno di quei nidi sospesi che alcuni piccoli uccelli fanno durante la stagione degli amori.
Questo lo teneva a riparo dalla maggior parte degli animali che si aggiravano al suolo durante le ore notturne.
Finito di allestire il rifugio, decise di mangiare una razione di cibo.
Preferì non accendere fuochi ne' cucinare nulla; anzi consumò un pasto veloce solo a tenda chiusa, per evitare che l'odore del cibo si diffondesse nell'aria e che potesse destare l'attenzione di chissà quale altra creatura nei paraggi.
Poi controllò l'attrezzatura, revisionò le armi e si dedicò alle analisi dei campioni, per cercare qualche informazione che potrebbe essergli utile a garantirgli la sopravvivenza.
E scese la sera.
Stava ancora piegato sul piccolo monitor, quando buttando uno sguardo fuori dall'apertura e si accorse che qualcosa si muoveva nell'oscurità attorno a lui.
Mise una mano sul polso per coprire la luce emessa dal bracciale e riguardò all'esterno.
Non riuscì a trattenere un verso di stupore nel vedere quel magnifico spettacolo.
Nel buio quasi totale della notte centinaia di migliaia di lucciole danzavano pulsando nell'aria.
Ma non erano comuni insetti.
Le pulsazioni avevano dei colori stupendi, che variavano dal classico verde, al viola; dal rosa, all'arancio e persino delle tonalità di blu: si trovava di fronte a una nube intermittente di colori.
Avrebbe dovuto campionare anche quegli esemplari; era ovvio che fossero contaminati da A.D.A.M.
Ma pensò che comunque il giorno dopo avrebbe potuto estrarre da altri animali il necessario per le analisi e non voleva rovinare quella meraviglia.
Si accucciò e guardando fuori si addormentò, nonostante non fosse ancora stanco.
Prima di chiudere gli occhi pensò ancora una volta a quello che avrebbe dovuto fare l'indomani mattina, una sorta di scaletta mentale delle mansioni da svolgere, poi via via che il sonno arrivava si fece strada il pensiero della sua ragazza.
-”Chissà come le sarebbe piaciuto questo spettacolo a Elisabeth...”-E gli occhi gli si chiusero.

Ore 04.00 del secondo giorno.
Una vibrazione del polso di Ioria lo avvertiva che era giunto il momento di muoversi.
Aprì gli occhi, si prese un minuto per raccogliere le idee e poi scese dal rifugio.
Si scaldò i muscoli e fece dello stretching per circa cinque minuti.
Poi risalì, chiuse di nuovo tutta la tenda e mangiò un'altra razione.
Non che sentisse davvero fame, ma sapeva che era in territorio ostile e che forse non avrebbe avuto altre occasioni per nutrirsi.
Quindi, meglio farlo finché era in tempo.
Masticò una specie di galletta di pasta, che somigliava a una tavoletta di legno compensato e, a dirla tutta, non ne aveva solo l'aspetto ma anche il sapore.Ma faceva funzionare i muscoli, nutriva il corpo e non richiedeva di essere cucinato; quindi andava più che bene.
Poi iniziò a togliere le tende, nel vero senso della parola.
Un paio di bestemmie al momento giusto aiutarono a sbloccare i ganci in acciaio, che si erano incastrati nella corteccia del ramo a cui erano fissate poco prima e poi fu di nuovo pronto per proseguire la missione.
Il sole sarebbe sorto di lì a poco.
Aspettò le prime luci dell'alba, intorno alle cinque e venti del mattino, poi estrasse la pistola e proseguì tenendola in mano.
Questo lo impacciava ulteriormente, ma era meglio essere prudenti visto l'incontro del giorno precedente.

L'aria si era fatta più densa e pesante e dalla terra si levavano sottili banchi di nebbia.
Nonostante il sole fosse ormai già alto non si riusciva ad intravvederlo tra le alte e fitte fronde.
La foschia bassa che lo circondava rendeva il paesaggio un po' spettrale.
Non si rese conto quando l'atmosfera attorno a lui fosse cambiata.
Prese delle particelle di terreno e le studiò per qualche minuto.
Anche lì le radiazioni si erano fatte pesanti e non lasciavano scampo al dubbio.
Ma notò che in giro mancavano animali per prendere altri campioni.
Anzi, non si sentivano più gli uccelli e nemmeno si vedevano insetti.
Tutto taceva.
Per sicurezza fece analizzare la composizione dell'aria dal sensore, onde evitare che eventuali esalazioni tossiche inodore potessero aver sterminato la fauna locale.
Ma lo scanner dava solo un'alta percentuale di umidità e nulla più.
Decise, pertanto, di andare avanti.
Camminava in quella zona morta da circa un chilometro; era passato mezzogiorno e decise di fare una sosta, sedendosi su di un masso, accanto ad un albero.
Ioria stava mentalmente formulando alcune ipotesi su come mai non ci fosse nulla di vivo attorno a lui a parte le piante, ma non veniva a capo della cosa.
Poi mentre stava per rimettersi in viaggio, un odore gli saltò al naso.
Sentiva puzza di marcio.
Ma non vedeva nulla fuori dal comune.
Così ebbe l'idea di far analizzare di nuovo l'aria al sensore e di avvertirlo qualora le particelle di carne morta aumentassero di intensità.
In pratica faceva annusare l'aria allo scanner per trovare l'eventuale carcassa; proprio come se fosse un segugio, ma in versione tecnologica.
Girovagò per la zona senza seguire più una linea retta.
Sembrò trovare una concentrazione più elevata di particelle vicino a una piccola grotta accanto a un grosso albero ritorto.
Il bracciale non serviva più; lì la puzza era dannatamente forte.
Il ragazzo ringraziò il cielo di aver mangiato molte ore prima e pensò che a quel maledetto odore di morto non ci avrebbe mai potuto fare l'abitudine: gli avrebbe sempre provocato un gran senso di nausea.
Sentiva chiaramente che il cadavere era li vicino, ma non lo vedeva.
Tutto faceva pensare che la carcassa di qualche animale stesse marcendo in fondo alla piccola grotta.
Fece per entrare quando qualcosa catturò la sua attenzione.
Da un alto ramo del grosso albero accanto a lui pendeva quello che sembrava un lembo di stoffa bianco.
Prese dallo zaino la corda con rampino e dopo due tentativi riuscì ad agganciare il tronco abbastanza in alto da poter andare su ad investigare.
Puntava i piedi sul grande albero mentre saliva, quando fece caso ad un altro particolare che non aveva notato prima.
Pensò ironicamente: -”Questo posto è pieno di sorprese!”-Sorridendo sommessamente.
Ma c'era davvero poco di cui stare allegri.
Sul tronco c'erano le traccie di artigli di grosse proporzioni: a spanne si direbbero persino maggiori di quelle di una tigre.
Arrivò in cima al ramo e vi si sedette a cavalcioni, poi piano piano si avvicinò a quello che rimaneva dei resti di una carcassa.
Osservò il cadavere di quello che doveva essere uno dei ricercatori del maniero.
Il poverino era stato completamente dilaniato nelle carni e successivamente doveva anche essere stato mangiato in parte.
Non c'era l'ombra di un insetto e le spoglie, stavano macerando all'aria aperta da chissà quanto tempo.
Su quello che rimaneva del camice da laboratorio trovò un badge, con la foto di un uomo magrolino, con gli occhiali e i capelli corti: il nome era illeggibile, si poteva solo vedere il numero di codice.
Prese nota e lasciò tutto li.
Scese dall'albero e dopo aver riposto il rampino nello zaino levò la sicura dal fucile e lo imbracciò.
Non era sicuro andare a ispezionare la grotta: in uno spazio così stretto se un animale lo avesse attaccato non avrebbe avuto scampo e sarebbe stato in trappola.
Era meglio lasciare la zona.
“Bip!”.
-”Merda!”-Esclamò il ragazzo che si mise in posizione di fuoco, con le spalle attaccate ad un albero, cercando tra il fogliame un nemico da colpire.
“Bip!”.
Ma non si vedeva nulla ancora.
L'adrenalina iniziava a salire e Ioria iniziò ad ansimare vistosamente, continuando a girarsi di scatto in ogni direzione.
Il sensore dava movimento ma in zone continuamente differenti.
Qualcosa si stava muovendo velocemente attorno a lui.
Doveva cercare una posizione favorevole da cui poter vedere cosa lo stava seguendo.
Si spostò a zig zag tra gli alberi correndo per brevi distanze e poggiando sempre le spalle contro i tronchi degli alberi.
Ma qualcosa continuava a seguirlo.
Finalmente dopo qualche minuto, riuscì a intravedere una piccola radura, uno piccolo spiazzo privo di arbusti.
Lì sarebbe riuscito a vedere se qualcosa lo avesse attaccato, ma non c'era nulla dietro cui ripararsi.
Corse comunque il rischio e si avviò verso lo spiazzo.
Ma quel qualcosa evidentemente si accorse dell'intenzione del ragazzo e strinse il cerchio attorno a lui cercando di tenerlo fermo.
Il fogliame ora si muoveva qua e là e una grossa ombra nera spariva fulminea dietro di esso.
-”Bastardo...”-Uscì dai denti stretti dell'agente speciale.
-”Mi sta braccando, aspetta solo un mio momento di distrazione...”-Pensò.
Si piegò leggermente sulle ginocchia afferrò un sasso e aspettò che si muovesse qualche altro cespuglio.
Un fruscio alla sua destra.
Ioria scagliò il sasso alla sua sinistra, questo sembrò, per un attimo,cogliere di sorpresa l'inseguitore, giusto il tempo per lui, di guadagnare con uno scatto fulmineo la radura.
Ora stava in ginocchio col fucile puntato, nel mezzo dello spiazzo.
-”Avanti bastardo fatti vedere...esci fuori...”-disse a bassa voce.
Un lungo e grave ringhio uscì da dietro un albero sulla destra, sul margine della radura.
Con passo fiero e pesante l'essere si mostrò a lui, in segno di sfida.
Uscì dalla vegetazione un enorme felino.
Sembrava una tigre ma era molto più massiccio.
Il manto fulvo con grandi striature nere.
Procedeva lentamente verso il ragazzo in tutta la sua possanza.
Guardava fisso con i suoi profondi occhi color arancio.
Il ragazzo rimase basito, quella belva era indescrivibilmente grossa e incuteva timore.
Ora capiva perché nella zona non volava più nemmeno una mosca.
Lo sguardo era intelligente, era una cosa fuori dal comune; sembrava che potesse sentire i suoi pensieri.
I due si studiarono.
La tigre prese a girargli attorno senza mai perderlo di vista.
Era una lotta: i due gladiatori aspettavano solo il momento in cui qualcosa avrebbe dato il via alla battaglia.
Ioria lentamente fece scivolare la levetta del fucile da colpo singolo, su raffica di tre colpi; poi ancora su raffica continua, anche lui senza mai perdere di vista l'animale.
Poi la belva si fermò.
Ruggì.
Un fragore assordante tuonò nella radura.
Stordì il ragazzo che fu preso dal panico e dallo sgomento per alcuni lunghissimi istanti.
Non ebbe il tempo di reagire che gli fu addosso.
Partì una raffica a vuoto.
Ora stava alle sue spalle.
Il braccio del ragazzo sanguinava copiosamente, ma l'adrenalina non gli faceva percepire alcun dolore.Se non avesse avuto le protezioni avrebbe perso il braccio con una sola zampata.
Si alzò in piedi e si tolse lo zaino dalla spalla.
Si girò e guardò fisso la fiera negli occhi.
Poi puntò il fucile.
L'animale ruggì ancora e balzò verso il ragazzo, che in pochi attimi gli scaricò l'intero caricatore nel ventre.
La tigre atterrò sulle zampe, si girò verso la preda e vomitò del sangue: ma non era ancora finita.
Nei suoi occhi vedeva ancora bruciare lo spirito.
Molto lentamente prese un caricatore dalla cintura dietro la schiena, ma aspettò a rilasciare quello vuoto e sostituirlo.
Dall'addome dell'animale colava copioso il plasma rosso scuro: sembrava non finire mai.
La tigre si lanciò di nuovo all'attacco, il ragazzo fece slittare a terra il caricatore vuoto, si lanciò a lato e mentre rotolava a terra lo sostituì con quello nuovo.Scaricò di nuovo l'arma verso il fianco della belva che cadde a terra lanciando un verso di dolore.
Il ragazzo sostituì ancora le munizioni e si avvicinò all'esemplare.
Era piena di sangue e ansimava affannosamente, producendo rantoli e gorgolii.Stava soffrendo.
Ioria gli puntò sulla testa la canna per porre fine a quel travaglio.
Ma la bestia scattò di nuovo lo urtò violentemente e lo buttò a terra.
Le enormi fauci erano tenute a distanza di pochi centimetri dal volto del ragazzo, dal fucile messo di traverso, che veniva masticato dagli enormi canini affilati come rasoi.
Il peso dell'animale bloccava il respiro di Ioria, che ormai temeva il peggio: era troppo debole e i suoi muscoli stavano per cedere alla fatica.
Ma gli occhi della tigre andavano via via spegnendosi e con essa la sua combattività.
Poco dopo la sua vita si spense serrando le potenti mascelle dentro il fucile.
Ioria svenne per qualche minuto.
Quando si riprese stava ancora sotto la pesante carcassa.
Raccolse le forze, si trascinò fuori dalla pozza di sangue e si sedette a medicarsi.
Aveva bisogno di un dottore, il kit di pronto soccorso non bastava a fermare l'emorragia e a curare le costole che si era rotto nell'impatto.
Si medicò come poté, poi prese di nuovo il kit e analizzò l'animale.
I diagrammi erano impazziti, le anomalie nel sangue e nel tessuto celebrale erano ormai fuori scala, e mancavano ancora cinque chilometri al maniero.
Una vibrazione del bracciale avvertiva che le sue funzioni vitali stavano calando sotto la norma e che era necessario l'intervento di un dottore.
Trasferì i dati del kit al palmare da polso e si avviò in automatico la procedura di emergenza.
Una calda voce di donna chiedeva una conferma dell'impronta vocale del soldato, nome e grado.
-”Agente Speciale Ioria, numero di identificazione 326”-Disse il ragazzo con notevole affanno.
Si sentì un suono di conferma e poi la voce continuò:-”Codice e impronta vocale confermati: registrazione in fase di avvio.”-Poi un'altra voce maschile continuò:-”E' stato riscontrato un valore delle anomalie oltre la soglia di guardia.Pertanto è ufficialmente autorizzato a usare l'equipaggiamento di classe S onde evitare il fallimento della missione.
Nuovi dati sono ora disponibili:quando lo riterrà necessario potrà consultarli.Le ricordiamo che usando tale equipaggiamento sarà soggetto all'Assuefazione Da Artefatto Magico, più comunemente chiamato A.D.A.M.
La preghiamo di non abusarne e non superare la soglia temporale di utilizzo consigliata.
Fine messaggio.”-
Un altro suono fece capire che era terminata la registrazione.
Ioria prese dallo zaino la confezione che l'anziano con gli occhiali gli aveva dato dopo essere stato nell'armeria e rimosse il sigillo di ferro che la teneva chiusa.
Al suo interno vi erano due pugnali, una maschera, un corpetto e delle boccette.
Il sensore segnalava l'incombere di uno stato critico nel fisico del ragazzo e che erano necessarie cure immediate.
Prese la boccettina dal contenitore e la osservò.
Era una piccola fiala di cristallo finemente lavorata piena di un fluido di colore rosso intenso, quasi rubino; al suo interno ci sarà stato tanto liquido quanto un bicchiere da tavola.
Ne bevve un sorso e versò il resto sulla ferita, poi perse di nuovo i sensi.
Quando si svegliò erano passate diverse ore.
Si tirò su e guardò la ferita: era quasi completamente guarita.
Non sentiva più nemmeno dolore al petto e sembrava aver riacquistato le energie.
Avvertiva però insensibilità al braccio: gli esperti del settore dicevano che era un disturbo psicosomatico e che in realtà il danno veniva riparato totalmente entro poche ore dalla somministrazione della pozione.
In pratica il trauma del dolore procurato dalla ferita permaneva più della ferita stessa.
Ogni volta si meravigliava delle prodezze di quella sapienza perduta.
Il liquido era una specie di catalizzatore cellulare: stimolava oltre misura la rigenerazione dei tessuti e le cicatrizzazioni.
Funzionava soprattutto per le ferite da taglio e le fratture ossee.
Ora poteva prestare maggiore attenzione al nuovo armamentario disponibile.
C'erano due pugnali, identici; l'impugnatura era ergonomica, rivestita di cordura antiscivolo, poi proseguiva nella lama senza interruzioni, in un pezzo unico.
Il metallo correva sinuoso descrivendo una specie di esse allungata con la punta più spessa.
Su tutta la lama c'erano incisioni e simboli non traducibili, ed era affilatissima.
Dall'impugnatura pendeva una cordicella con un piccolo glifo in metallo, anche questo inscritto in qualche lingua strana.
La maschera era composta da tre parti: la parte anteriore era sostanzialmente un guscio di metallo duro, ma tuttavia abbastanza leggero, di uno strano colore violaceo, con sei fori circolari. attaccati con delle borchie c'erano due lembi di pelle che partivano larghi e terminavano più sottili per poter essere legati saldamente alla testa.
Anche da questo oggetto pendeva un glifo identico a quelli dei pugnali e dell'armatura.
Il corpetto era fatto di tessuto e pelle molto flessibili: anche questo finemente lavorato, con sulle spalle due piccole placche con delle rune incise sopra.
-”Fantastico!”-Esclamò entusiasta Ioria.-”Ora si che iniziamo a ragionare!”-
Effettivamente l'equipaggiamento di classe A ormai era andato perduto, gli era rimasta solo la pistola: la tuta era stata trifolata per metà e il fucile masticato come una gomma e reso inservibile.
Raccolse i brandelli di tessuto della tuta da terra e recuperò il fucile dalla bocca della tigre.
Questo richiese uno sforzo maggiore di quello che pensasse.
Dovette addirittura recidere la gengiva dell'animale ed estrarre tutto il canino dalla bocca dell'animale, talmente era incastrato nel metallo dell'arma.
Pensò che non avrebbe avuto scampo se fosse stato al suo posto.
Dopo aver recuperato tutto si allontanò il più possibile da quel luogo e cercò di nuovo un altro albero su cui montare il rifugio.

Diede uno sguardo veloce alla zona circostante e quando fu sicuro che non ci fossero entità ostili, si sedette comodo nella tenda e avviò l'approfondimento della missione sul palmare.
I primi erano dati tecnici sulla struttura del maniero.
Tutto alquanto noioso, se non fosse che visto l'elevato standard delle ricerche che si svolgevano, si aspettava almeno che ci fossero dei piani nascosti sotto la struttura, cosa che invece sembrava non essere.
Era un grosso casolare che come unica stranezza aveva la dislocazione: nel bel mezzo di una fitta boscaglia.
Fece scorrere le pagine fino ad arrivare alla descrizione degli armamenti supplementari.
Più leggeva le particolarità dell'equipaggiamento, più il suo viso sembrava assumere un'espressione sorpresa e compiaciuta, fino poi a sbottare in un spontaneo:-”Cazzo che roba!Certo che questa gente sa proprio come divertirsi!”-
Sfogliò ancora il testo multimediale del rapporto, fino ad arrivare al file sul dottore che dirigeva le ricerche.
Pare che più della metà della vita di quest'uomo fosse protetto dalla massima riservatezza.
Quello che rimaneva da leggere su questa persona avvolta dal mistero erano solo i brandelli di una triste storia.
La moglie a cui era molto affezionato morì diciassette anni fa per una grave e rara malattia genetica.
Lasciò al marito un figlio di nome Elil.
Fin da piccolo Elil seguì la strada del padre nelle proprie “ricerche”, dimostrando un elevato talento per le arti comunemente chiamate “magiche” dai profani del genere.
Purtroppo con l'arrivo dei suoi dodici anni, anche il giovane sviluppò la stessa malattia genetica della madre e iniziò un lento ma inesorabile declino.
Il file conclude dicendo che il dottor Albert Yaara si rifugiò poi in questo maniero per continuare le sue ricerche e trovare una cura “alternativa” ed efficace per la malattia del figlio.
Fece enormi progressi grazie anche al preparatissimo staff che si portò con se.
Poi però si sono persi i contatti.
L'ultima comunicazione risale a cinque anni fa: si faceva espressamente richiesta di non spedire ulteriori rifornimenti fino a che non fossero stati terminati gli esperimenti che si stavano apprestando a compiere.
Da quel giorno non si seppe più nulla.
Quali ricerche stessero compiendo rimane sotto segreto.
-”Accidenti...Dottor Albert...quale vaso di Pandora ha tentato di aprire?”-Pensò Ioria tra sé e sé.
Riportò il palmare alla sua funzione ordinaria, poi si mise a guardare l'enorme canino che spuntava ancora da ciò che rimaneva del fucile.
Era davvero enorme, racchiudeva in sé l'essenza di quella possente creatura.Gli sarebbe piaciuto poterlo tenere come ricordo, in segno di rispetto, da guerriero a guerriero
Forse era una visione molto romantica della cosa ma per lui era come se quell'animale avesse voluto fargli un dono.
Tentò in tutti i modi, ma proprio non riuscì a estrarlo dalla lamiera del fucile: ci sarebbero voluti diversi attrezzi e una morsa e non aveva con sé nulla di tutto questo.
Lo ripose nello zaino sconsolato, era davvero un peccato.

Ore 04.00 del terzo giorno.
Il ragazzo era già sveglio e aveva già consumato la prima razione della giornata.
Smontò la tenda e fece stretching come di consueto.
Espletò alcuni bisogni fisiologici accanto ad un albero e poi si prese qualche momento di pausa.
Si sedette nell'erba umida con davanti il nuovo equipaggiamento.
Ora aveva le ore contate per finire la missione.
Una volta indossate le nuove protezioni sarebbe stato costantemente sotto un influsso magico e questo lo avrebbe esposto alla sindrome da assuefazione.
Era un termine un po' vago a dire il vero.
Persino gli esperti non sapevano cosa comportasse un'elevata esposizione a tale influsso.
Dipendeva da soggetto a soggetto.
Ad alcuni i primi sintomi si manifestavano dopo poche ore ad altri dopo giorni o mesi.
E poi anche i suddetti sintomi erano molto differenti tra loro.
Nel caso degli animali di norma ne aumentava le caratteristiche fisiche peculiari e l'aggressività; negli uomini col tempo poteva persino portare alla pazzia o a deformazioni del genoma.
Pare che utilizzare tali risorse esercitando una costante concentrazione, aiutasse a controllare tali disfunzioni.
Ed era quello che Ioria si prestava a fare: concentrarsi.
Incrociò le gambe e iniziò a inspirare lentamente dal naso, poi faceva una pausa e senza fretta espirava dalla bocca.
Sgombrò la testa dai pensieri, continuando la respirazione.
La sua mente ora era calma, i muscoli rilassati.
Era pronto.
Prese la mascherina e ne strappò via il sigillo.
Le incisioni si illuminarono per qualche istante di una luce violacea non molto intensa, poi tornarono normali.
Era il segno che l'oggetto era stato attivato e che ora le sue proprietà paranormali erano in piena funzione.
Lo indossò e lo legò ben saldo.
Era molto comodo e l'aria attraverso i fori scorreva fresca e pulita; avvertiva molti odori che prima non percepiva.
Poi passò al corpetto.
Mentre lo stava per mettere, cadde a terra un pezzo di stoffa piegato su se stesso diverse volte.
Lo aprì e capì subito di che si trattava.
Nel mezzo del tessuto vi era un sigillo composto sostanzialmente da dei simboli runici tracciati dentro vari cerchi concentrici.
Quello sarebbe servito nel caso in cui avesse dovuto abbandonare gli artefatti sul campo e distruggerli.
Senza quel cerchio non sarebbe stato possibile.
Quel glifo avrebbe neutralizzato la magia di cui l'armatura e le armi erano imbevute, rendendole vulnerabili al danno e quindi distruttibili.
Lo richiuse su se stesso, lo legò con un laccetto e lo mise in una tasca del pantalone nero.
Rimosse il piccolo sigillo della maglia e anche qui un effetto luminoso fece risaltare le scritte per qualche momento.
Una volta indossato avvertì una lieve scossa.
Poi fu pervaso da una sensazione di benessere e tonicità.
I suoi movimenti risultavano più rapidi e i muscoli più forti e scattanti.
Poi venne il turno dei pugnali.
Nel file del palmare c'era scritto di non lasciarli uno accanto all'altro durante l'attivazione.
Una volta che ebbe rimosso i sigilli, la lama di uno si splendette di bianco, divenne fredda al tatto e una sottile condensa cominciò a formarsi e a scendere verso il basso, come i ghiaccioli appena tolti dal freezer.
L'altro invece assunse un colore rosso aranciato e iniziò a diventare molto caldo.
Li agganciò ai lati della cintura, mise lo zaino in spalla e partì con nuovo vigore, verso il maniero.

Ora poteva muoversi agilmente tra gli alberi e correre a velocità sostenuta.
Questo faceva provare al ragazzo uno strano senso di libertà che lo portava a sorridere da sotto la maschera.
In pochi minuti percorse l'equivalente di una giornata di cammino in condizioni normali.
Arrivò a un chilometro dal maniero.
La fitta boscaglia gli precludeva ancora la vista, così decise di sfruttare le nuove capacità per salire agilmente su un albero e osservare la zona dall'alto.
Scelse quello più grande che vedeva in zona.
Con la destrezza di un felino, saltò da un ramo all'altro con dei balzi e in poco tempo fu in cima alla pianta.
Finalmente poteva osservare l'obiettivo della missione.
Vedeva le pareti di pietra grigia sfiorare le cime degli alberi non molto distante da lui oramai.
Scese esibendosi in capriole e giravolte e quando fu a pochi metri da terra, perse la presa e cadde al suolo sbattendo il fondo schiena.
Solo grazie al supporto magico non si ruppe il coccige.
Dal dolore non riuscì nemmeno a pensare a una parolaccia abbastanza grande da poter dire, per sfogare la rabbia del momento.
Si diede da solo del coglione e appena il dolore fu passato riprese la marcia, facendo meno lo spavaldo.
Attraversò una zona in cui anche le forme di vita vegetali presentavano anomalie.
Di norma gli arbusti tendono ad avere una elevata soglia di resistenza; ovvero riescono a contenere grandi riserve di magia, prima di mutare la loro forma.
Gli alberi in quella zona presentavano nodosità accentuate, erano ritorti su se stessi, oppure intrecciati come ornamenti.
Altri presentavano fiori dai colori sgargianti o frutti polposi, nonostante non fossero nella stagione giusta.
Raccolse degli esemplari qua e la, ma non li analizzò, ormai era inutile visto che già molti chilometri prima i valori erano risultati fuori scala.


[Modificato da ninmah62 04/11/2008 15:47]
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