Tra Sogno e Realta'

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Rapporto Pellican

Ultimo Aggiornamento: 24/07/2008 22:40
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Città: MILANO
Età: 42
Sesso: Maschile
25/09/2007 16:35

Racconto fantasy
Ciao ragazzi ho appena finito di partorire questo racconto in stile tecno fantasy.
Spero vi piaccia e che vi tenga incollato il culetto alla sedia per qualche minuto.
Personalmente mi sono divertito molto a farlo, ora ve lo faccio leggere.
Gradirei dei vostri commenti, sono aperto a tutte le critiche.
Buona lettura.
P.S.
I popcorn ve li offro io per questa volta ^^

La Gabbia


“Cazzo!Anche questa sera ho alzato troppo il gomito!”
Disse l’uomo tentando di rimanere in equilibrio, appoggiandosi con la mano e costeggiando il muro di cemento liscio e grigio, al di fuori del solito bar di periferia.
Ormai era avvezzo a quello stato, non c’era fine settimana in cui saltasse questo suo rito insulso.
Non ricordava nemmeno più perché ogni sabato sera soleva ridursi in quello stato pietoso.
Barcollava vistosamente, e a ogni passo sembrava dovesse cadere rovinosamente al suolo, ma qualcosa all’ultimo continuava a tenerlo su, esibendosi in sgraziati movimenti in cerca di un equilibrio che pur sempre rimaneva precario.
Camminava per le strade deserte a notte fonda.
Camminava e pensava aperché lo facesse: all’inizio ci sono gli amici, le ragazze, le stupidaggini che si dicono,i brindisi assurdi che si fanno…poi le ragazze spariscono, gli amici vanno via, e ti ritrovi a bere da solo, senza sapere dove è incominciata e dove è finita una cosa o l’altra.
Per un attimo pensò che fosse tutta colpa del suo lavoro da impiegato per un’ agenzia assicurativa… il lavoro più monotono che possa esistere al mondo.
Ma in fondo non gliene importava nulla neanche di quello,campava e questo era tutto.
Stava ancora camminando per le strade umide, quando si ricordò che la macchina era parcheggiata poco distante da quello stramaledetto locale.
“Dannazione!”Pensò.” Ora indietro non ce la faccio a tornare, e poi sono comunque troppo ubriaco per guidare!”
Il suo pensiero volò alla sua nuova vettura appena acquistata facendo tanti sacrifici: Era l’ultimo modello di utilitaria con motore a induzione che era uscita sul mercato.
Non era nulla di eccezionale, era come tutte le auto a induzione uscite negli ultimi cinquant’anni, ma la sua forma affusolata si distingueva dalle altre,un po’ più vecchie…questo lo rendeva in un certo senso felice.
Camminava senza guardare dove mettesse i piedi, poi si rese conto di aver percorso un bel pezzo di strada e che i suoi passi lo avevano condotto in maniera automatica verso il molo, dove il nonno, quando lui era ragazzo, soleva portarlo a pescare la domenica mattina.
Il nonno gli diceva sempre che quando era piccolo lui, le auto andavano a combustibile fossile, e inquinavano molto l’atmosfera; così decisero di sostituirle con delle auto a energia pulita.
A lui quei discorsi ripetitivi non interessavano minimamente, andava li per pescare e stare un po’ tranquillo.
Il nonno era una cara persona,anche se come tutti i vecchi non faceva altro che parlare del passato.
La lunga passeggiata gli aveva alleggerito la sbronza, ma non era abbastanza per fargliela passare, così mentre girovagava per il porto l’impiegato ebbe l’idea di accucciarsi accanto ad un container che dava proprio sul molo e farsi un pisolino, giusto per riprendersi un po’ e poi tornare a recuperare la sua preziosa auto.
Si sedette e chiuse gli occhi non pensando più a nulla.

Lo stridio di pneumatici sull’asfalto bagnato del porto interruppe il sonno dell’uomo.
Aprì gli occhi, e con sommo disgusto si accorse di essersi sbavato la camicia a quadri.
Poi riflettendoci, pensò che era poco male, tanto era tutto da lavare vista la breve pausa sul molo.
L’aria salmastra si alternava alle zaffate dall’odore acre e pungente degli scarichi portuali, che di certo non giovava alla sua nausea.
Si stropicciò gli occhi appannati e si sporse leggermente di lato, stando sempre immobile seduto, come se pesasse svariate tonnellate.
Si affacciò e intravide l’auto che poco prima lo aveva svegliato.
Un veicolo assolutamente anonimo, tutto nero, finestrini oscurati, senza targa e a luci spente.Se ne stava immobile ad una cinquantina di metri da lui.
Pensò a qualche coppia in vena di follie erotiche in un primo momento, poi riflettendoci meglio qualcosa non gli tornava.
Non è mai stato una persona curiosa,ma dato che era li e che sollevarsi costava fatica, tanto valeva stare a vedere se succedeva qualcosa.
Un altra auto arrivò in lontananza, e in prossimità del veicolo scuro spense anche questa le luci.
Questa volta la macchina sembrava normale, color grigio metallizzato,c’era anche la targa, ma non ci prestò molta attenzione.
L’auto si fermò a una quindicina di metri di fronte a quella nera.
Per almeno cinque minuti non si mosse nulla.
L’impiegato si incuriosì, sembrava una di quelle scene da vecchi film, in cui il contrabbandiere vende la droga allo spacciatore.
Era emozionato, tanto che la mente gli si schiarì e la sbornia parve passargli.Rimase ad osservare immobile.
All’improvviso gli sportelli delle auto si aprirono quasi contemporaneamente e scesero da ciascuna quattro uomini di stazza media,con facce scure e serie; avevano tutti le mani sotto le giacche o sotto gli impermeabili, come pronti per estrarre qualche tipo di pistola.Si scrutarono attorno con attenzione.
L’uomo smise di respirare automaticamente, pure il suo cuore gli sembrò fermarsi.Si irrigidì e sbarrò gli occhi, ma non distolse lo sguardo neanche un istante.
Persino la sua mente risultò immobile e zitta come per timore di far sentire il rumore dei proprio pensieri.

Gli uomini fecero cenno che l’area era sgombra e sicura, e i guidatori tornarono al volante dei propri mezzi.
Poco dopo dal veicolo scuro ne uscì un uomo di corporatura massiccia, volto squadrato; nonostante fosse notte fonda portava degli occhiali da sole.
Scese, si stirò la giacca del completo scuro che indossava e con passo sicuro e calmo si avvicinò alla macchina opposta, seguito da due scagnozzi.
I passi dei suoi mocassini scuri riecheggiavano nel silenzio surreale che era calato.
A ogni passo le palpebre dell’uomo avevano come un sussulto, come se il suono delle scarpe fosse un frastuono insopportabile, e che tale suono potesse tradire la sua presenza.
Dall’altra auto ne scese un uomo, basso, magro con la faccia smunta, come di chi ha passato le pene dell’inferno.
Sul naso portava degli occhiali da vista squadrati, molto fuori moda.
Era vestito normale,un po’ trasandato a dire il vero, e stringeva una valigetta nera:la teneva stretta al petto con tutt’eddue le mani, come se fosse la cosa più importante del mondo.
Proseguiva frettolosamente, si guardava attorno a scatti e in continuazione; i suoi movimenti davano il nervoso, facevano trasparire ansia e paura.
I due uomini si guardarono ed iniziarono a parlare tra loro.
L’impiegato sentì la gola arsa, il corpo si irrigidì ulteriormente, non essendosi ancora mosso da quella posizione…avrebbe voluto poter sentire cosa si stessero dicendo, ma i due sospetti parlavano a voce bassa e non si distinguevano bene le parole.
“Ehi tu!”.Uno dei gorilla gridò rompendo il silenzio.”Non è posto per te questo, vattene finchè sei in tempo!”
L’uomo ebbe un sussulto, gli occhi gli sembrarono schizzare fuori dalle orbite, il cuore era impazzito: non lo sentiva più pompare accelerato, ora sembrava sbattere in maniera convulsa nel petto, gli sembrò che stesse toccando la cassa toracica ed il polmone ad ogni contrazione.
Non si mosse.
Non ci riuscì.
Il panico lo aveva pietrificato, chiuse gli occhi e maledisse tutto.La sua curiosità, la sua macchina dimenticata nel parcheggio, l’alcool nelle vene, persino il nonno che lo portava in quel luogo quando era bambino…
Chiuse gli occhi e sperò di sparire nel buio e di risvegliarsi nel suo letto.
Ma la voce sempre più nervosa del gorilla lo riportò alla realtà del momento:”Ehi amico cerchi guai?Ti do l’ultimo avvertimento!Alza i tacchi e vattene!”.
“Magari potessi farlo!”disse l’uomo fra se e se, ma nessuna parola uscì dalla gola.
L’uomo smunto con la valigetta ancora chiusa sbottò all’improvviso:”Presto!Che Aspettate!Uccidetelo!!!Uccidetelo!!!”Tutti estrassero le coil gun e iniziarono a fare fuoco.
L’uomo strizzò gli occhi come a ricacciarseli nel cranio e pensò che per lui fosse finita.
Ma alle sue spalle delle grida di dolore e di spari riecheggiavano in tutto il posto.
Sentii bestemmiare pesantemente poi delle grida agghiaccianti, mentre i proiettili sfrecciavano e sibilavano.
L’impiegato aprì gli occhi di botto, era ancora vivo.
Guardò la scena orripilante che gli si presentò davanti.
Un uomo venuto fuori dal nulla era comparso sulla scena.
Magro alto, con una stranissima giacca verdognola, brandiva una strana lama.Ai suoi piedi giacevano l’uomo smunto, il signore con i mocassini e gli altri scagnozzi, alcuni morti, altri agonizzanti in un lago di sangue.
I gorgoglii del sangue che schizzava dalle arterie recise, faceva da sottofondo alle preghiere dell’ultimo uomo rimasto in vita.
Era al suolo atterrito dalla paura, mentre la sagoma dell’assassino si avvicinava piano,quasi ad assaporare il momento.
Aveva ancora al coil gun in mano e, nonostante tremasse, la teneva ancora puntata verso il nemico.”Ti abbiamo sparato cazzo!Tu sei morto!come fai a non essere morto?!Per Dio che diavoleria è mai questa??”.
L’impiegato ora si trovava in piedi in bella vista.Non sa quando si fosse alzato ne il perché, ma non ebbe il tempo di rifletterci poichè il suo conato di vomito schiantandosi pesantemente al suolo, interruppe la scena,rivelando la sua posizione.
L’assassino e il gorilla lo guardarono.
L’uomo accortosi di aver attirato la loro attenzione iniziò a tremare tutto in preda alle convulsioni e perse il controllo della vescica.
Lo scagnozzo approfittò del momento di distrazione e saltando nell’auto svuotò l’intero caricatore verso la sagoma dell’assassino.
Ma i proiettili non lo colpirono.Sembravano rallentare a pochi centimetri dal corpo e cadere a terra, o in alcuni casi rimbalzare lasciando la scia.
Mise in moto e tentò di fuggire.
L’assassino balzò sul cofano e con fare preciso e veloce, infilando il braccio nel finestrino, con un gesto agile, recise la carotide dello sfortunato.
La macchina sbandò e si fermò pochi secondi dopo; il sicario ruzzolò per qualche metro, ma poi si rialzò subito, indenne.
Andò con calma vicino ai cadaveri e raccolse dal sangue la valigetta.
Poi cercò il civile ma non lo vide più.
L’uomo era scappato poco dopo aver visto quella scena incredibile.
Aveva qualche minuto di vantaggio.
Ora stava correndo, come mai prima di allora, la sbornia era passata di botto e quell’alcool che prima lo rendeva impacciato ora lo stava aiutando a salvarsi la vita.
Attraversò incroci e strade senza voltarsi mai indietro, senza preoccuparsi delle auto.
Si diresse verso il posto dove aveva parcheggiato la macchina, sapeva di aver visto troppo e che quell’essere, quell’uomo, sarebbe venuto a finire pure lui.
Si ritrovò nei pressi del bar, e pensò che sarebbe morto comunque con il cuore scoppiato.
Davanti al bar, dei balordi inveivano contro il padrone del locale da cui erano appena stati cacciati.
L’uomo non si preoccupò e vi passò in mezzo urtandone uno e rovinando al suolo.
Subito fu circondato: iniziarono a prendersela con lui, lo coprirono di insulti e parole pesanti; l’uomo terrorizzato non riuscì a dire nulla e così iniziò il pestaggio di massa.
Volarono pugni e quando fu a terra venne preso a calci.
Le sirene della vigilanza cittadina chiamate da qualche anima pia, mise fine al pestaggio, e gli aggressori si dileguarono come gli scarafaggi dalla luce.
Delle persone fermatesi sul posto si preoccuparono per l’uomo che giaceva atterra accucciato, pieno di sangue e vomito e che emanava un pessimo odore di alcool e urina.
L’impiegato si guardò attorno e gli parve di scorgere una valigetta insanguinata che gocciolava, attaccata alla mano di un ombra nel buio del vicolo accanto al bar.
Le autorità erano a pochi isolati e sarebbero state li a breve.
Ebbe un ultimo scatto, si rialzò all’improvviso e sorprendendo tutti sparì dietro l’angolo.
Prese le chiavi e mise in moto l’auto, guidando a tutta velocità verso casa.

Parchèggiò nel suo solito posto auto dell’immenso parcheggio sotterraneo che si estendeva per diversi chilometri, sotto i grattacieli della megalopoli, in cui aveva sempre abitato.
Prese il turbo ascensore,come di routine, salì al trentottesimo piano dello stabile e si trascinò davanti all’entrata dell’interno diciotto.
“Sono a casa!”.Sospirò.
Furono le prime parole dette in quella interminabile notte.
Apriì la serratura magnetica, e richiuse subito la porta dietro di se.
Con un comando vocale accese la luce nel corridoio, ma solo li.
Si spogliò interamente sul posto e abbandonò i vestiti per terra, li dove erano caduti.
Si recò al bagno completamente nudo,vomitò quello che era rimasto nel suo stomaco e ormai stremato si gettò sul lettone matrimoniale della sua stanza, perdendo i sensi.

Una bella voce di donna, calda e suadente lo avvertiva che era la dodicesima ora del giorno, mentre le tende del larghissimo finestrone che prendeva tutto il lato dell’appartamento. si aprivano dolcemente, portando un’ondata di luce che si irradiava per tutta la stanza:era la voce della sveglia automatica.
L’uomo aprì gli occhi.Lo fece piano, mise a fuoco l’intera casa, muovendo solo gli occhi.I muri candidi riflettevano delicatamente i raggi del sole, illuminando piacevolmente l’intero ambiente unico, senza muri, a parte quelli che dividevano la cucina e il bagno.
Pensò che fosse stato tutto un brutto incubo, e che avrebbe dovuto smettere di bere, e magari aggregarsi a uno di quei gruppi di sfigati che cercano di disintossicarsi, tipo gli alcolisti anonimi.
Tentò di alzarsi, ma una fitta alle costole lo fece ricadere nel letto.
Si guardò e vide un livido violaceo che faceva bella mostra di se su gran parte del costato.Ma non era solo: il suo corpo era pieno di lividi qua e la e facevano tutti un male della miseria.
Come se non bastasse la testa gli scoppiava da morire.
Si sedette nel letto, come per pensare e riprendere coscienza dell’accaduto.
“Ah già, quei bastardi mi hanno pestato…”.Biascicò.
E subito iniziò il viaggio mentale, a ritroso, per ricostruire gli avvenimenti della notte passata.
Ma qualcosa nella sua mente autocensurava i ricordi avvenuti prima del pestaggio davanti al bar.
Come quando si tenta di ricordare un sogno appena fatto: si ha la sensazione di aver visto qualcosa,ma tutto risulta appannato e confuso.
Il suo sguardo cadde sul cuscino su cui aveva dormito.
Era ricoperto di sangue, ormai rappreso.
Come un flash ritornò tutto alla mente chiaro come il sole.
Doveva fare qualcosa, il tipo poteva averlo seguito fino a casa e avrebbe potuto ucciderlo in qualsiasi momento.
Avrebbe voluto chiamare la vigilanza…ma cosa gli avrebbe dovuto raccontare?
“Pronto vigilanza?!Sono un impiegato da quattro soldi che la scorsa notte da sbronzo ha assistito a un pluriomicidio di dieci persone ambigue,commesso da un assassino invulnerabile alle pallottole, giù al porto.Non è che potreste proteggermi?”.
L’uomo si mise a ridere a squarcia gola, poi la risata piano piano si tramutò in un ghigno isterico, fino a spegnersi del tutto, con il capo chino a guardarsi i genitali, ancora nudo, seduto nel letto sporco del suo sangue.
“Iniziamo col fare una bella doccia, mi schiarirà le idee, e soprattutto toglierà il puzzo di latrina che porto appresso.”.Prese le lenzuola che una volta erano bianche, fece fagotto assieme al copriletto e i cuscini e schiaffò tutto nella cesta assieme ai vestiti ormai irrecuperabili, che aveva indossato qualche ora prima.
Fece la doccia con calma, miscelando getti di acqua calda e acqua fredda, quasi come per testare la sua sensibilità, per vedere se sentiva ancora qualcosa,forse per togliersi il dubbio se fosse ancora vivo oppure morto.

Aprì l’armadietto dove teneva la scorta di medicinali, per lo più antidepressivi, roba per far passare i postumi di una sbronza, per il mal di testa, per lo stomaco, e poi infine quello che cercava;antidolorifici.
Prese una pastiglia per la testa, una per lo stomaco e due di antidolorifici.
Li masticò assieme senza nemmeno bere un sorso d’acqua.
Non la reputò una ottima idea, gli si impastò tutto in bocca, così fu costretto a bersi mezzo litro d’acqua per riacquisire la mobilità della lingua.
Si incerottò la tempia sinistra, con una smorfia di dolore si accorse che il taglio era abbastanza profondo e che sarebbe servito qualche punto di sutura laser, per evitare che si riaprisse.Ma non c’era tempo di andare dal medico.
Decise che era il caso di cercare un modo di difendersi da solo: gli serviva un’arma.
Scese col turbo ascensore fino al secondo piano sotto terra, dove si trovava la sua auto.
Estrasse le chiavi magnetiche, ma mentre le stava per passare davanti alla cellula per aprire la serratura della portiera, si accorse che la maniglia era coperta di sangue.Il colore marrone scuro del plasma secco, spiccava incredibilmente sulla pulita carrozzeria bianco perla.
“Speriamo non l’abbia notata nessuno!”.Disse frase e sè.
Ma dentro l’abitacolo il veicolo non era messo in condizioni migliori.
C’era un po’ di sangue ovunque, sul volante,sui i sedili e su alcuni tasti del navigatore satellitare.
Pensò che oltretutto, l’assassino poteva aver visto l’auto mentre fuggiva e che avrebbe potuto riconoscerla.
Scese dalla vettura pulì sommariamente con un fazzoletto usa e getta il volante e la maniglia, chiuse l’auto e si avviò verso l’ascensore, voltandosi di tanto in tanto per vedere se qualcuno lo avesse notato.
Così ora era ai piedi di uno dei tanti mega grattacieli da centinaia di piani che dominavano la megalopoli.Il sole era alto e la temperatura mite, una bella giornata sotto molti aspetti.
La gente camminava frettolosamente, evitandolo come fosse un ostacolo fisso, quasi girandoci attorno.
Si guardò attorno e guardò la sommità di quelle incredibili strutture.
Abitava li da sempre e non ci aveva mai fatto caso.Grattacieli fatti di cemento bianco e vetro, disposti in maniera armonica con, qua e la, macchie di vegetazione e piccoli parchi verdeggianti, come oasi in un deserto di metallo candido.La monorotaia serpeggiava sinuosa tra un titano e l’altro a una cinquantina di metri dal suolo, disegnando spirali che sparivano,a volte,dentro ai palazzi, in un costante andirivieni di persone.
Tutto sommato non era un brutto spettacolo.
La domenica nelle megalopoli è un giorno come un altro, ovvero un giorno lavorativo.
Si accorse di non aver la più pallida idea di dove poter andare per procurarsi un arma.
Così dalla giacca, pulita, estrasse il palmare, attrezzo di uso comune, ma che lui utilizzava pochissimo,dato le scarse conoscenze e gli impegni lavorativi.
Fece una ricerca veloce sulla rete globale,come risultato vennero fuori due o tre nomi di negozi di armi vicino a dove si trovava lui.
Si stava per dirigere verso il più vicino, poi ci ripensò, estrasse di nuovo l’utile strumento e ripetè la ricerca andando molto al di fuori del suo quartiere.Pensò che fosse più sicuro andare in una zona diversa, più che bazzicare intorno a casa sua.Tracciò la rotta più breve e si incamminò verso la monorotaia.
La gente benvestita attorno a lui sembrava distratta, assorta in mille pensieri, il vagone su cui si trovava diffondeva un leggero aroma di lavanda, per combattere i cattivi odori che di solito si formano sui mezzi pubblici.
Era in piedi in un angolo e guardava per il lungo tutto il treno.
Non era molto affollato.
Ripensò al da farsi; era ancora molto confuso, non sapeva cosa stesse facendo esattamente, forse cercava solo un modo per assicurarsi la sopravvivenza.Istinto di sopravvivenza, ecco cosa era.
Guardò fuori e si accorse di essere uscito dalla zona in cui abitava: si stava dirigendo verso il centro della città, dove vivono le persone più facoltose, di solito quelli con una certa discendenza, di un certo ceto sociale.
I grattacieli di quei quartieri erano persino più alti di quelli che vedeva lui nella sua zona di semi periferia, non molto distante dal porto.
La città sembrava molto più bella in quella parte.Si vedevano addirittura dei veicoli volanti, alcuni della vigilanza cittadina, altri magari, di facoltosi signori.
Da piccolo aveva sempre sognato di pilotarne uno.
Tant’evvero che da ragazzo, appena finita al scuola, fece la richiesta per entrare nella vigilanza; ma fu respinta, dopo aver effettuato i test d’ammissione.
Era risultato troppo “nella media” per poter pilotare un veicolo del genere.
Forse fu proprio quella delusione a farlo diventare impiegato per tutta la vita.
Si comprò anche qualche rivista per documentarsi meglio, ma per un uomo comune, un mezzo del genere non era minimamente accessibile.Solo il brevetto di pilota e la patente per il volo in città avevano cifre con svariati zeri, senza contare il costo del mezzo e la sua manutenzione.
Quei numeri, sommati, davano come risultato dieci anni di stipendio.
Col tempo digerì la cosa, e si buttò sulle macchine della propria “classe sociale”,comprando dopo qualche anno di continui risparmi, la sua bella utilitaria.
Forse è per quello che ci teneva molto, una specie di surrogato del suo sogno.

Nella tasca il palmare emetteva un curioso e blando suono di allerta.
Lo avvisava di aver mancato la fermata e che stava ricalcolando il tragitto .
L’impiegato non se ne accorse, era troppo assorto dai suoi pensieri.
Scese alla fermata successivae tornò indietro a piedi, percorrendo le pulite strade del centro.
Finalmente arrivò all’armeria.
Entrò e un suono di voce maschile gli diede il benvenuto, dandogli indicazioni sommarie sulla mappa del negozio.
Effettivamente era abbastanza grande.
Non aveva mai visto tante armi in vita sua, tutte protette da un vetro infrangibile, chiuso ermeticamente, con su la scritta:”Per informazioni sull’articolo, premere il tasto qui in basso e aspettare l’arrivo del commesso”.
Passò un po’ in rassegna i vari scaffali: tra una cosa e l’altra c’erano i classici indumenti mimetici, oppure armi elettriche a basso voltaggio per la difesa personale.
Tra le varie protezioni che vedeva esposte, non riuscì a distinguere nessun corpetto,giacca, o mimetica che potesse minimamente somigliare allo strano indumento che portava l’assassino.
L’uomo non si sapeva destreggiare tra le pistole e i fucili e lo stesso funzionamento di una semplice coil gun gli era del tutto sconosciuto.
Il suo girovagare comunque non passò inosservato.
“Le serve qualcosa?”.Esclamò un commesso facendo capolino da uno scaffale.
Colto alla sprovvista l’uomo sussultò.
“Mi scusi, non volevo spaventarla!”.Disse il dipendente.”La prego mi segua, le mostro qualcosa che può interessarle!”.
L’impiegato lo seguì senza dire nulla.
Percorsero mezzo negozio, fino ad arrivare alla cassa principale.
A quel punto il commesso, si mise dietro al bancone, e iniziò a cercare qualcosa nelle cassettiere dietro la sua postazione.
“Mi scusi!”.Disse l’uomo.”Ma non vedo come possa sapere cosa stessi cercando…”.
“Oh!Ma lei non sa cosa sta cercando!E’ per questo che mi pagano, io so cosa le serve…”.Ribattè il commesso girandosi e sorridendo.”Vede faccio questo lavoro da molti anni,anche se non li dimostro, e dopo un po’ ti basta uno sguardo,per capire cosa le persone cercano qui.”
“Vede signore..”. Continuò.”Genericamente qui vengono tre tipi di persone: i fissati, i pazzi e poi quelli come lei!”.
L’uomo lo guardò perplesso e un po’ spaventato.
“In che senso come me?Che cosa ho che non va?”.
“Oh no nulla, non volevo offenderla!Mi scusi…però…bhè però non so se si è visto allo specchio stamattina…è evidente che è stato vittima di una aggressione di recente, e visto che era molto spaesato nell’entrare qui, lei è una persona che ricade nel terzo tipo di clientela, abituale, ovvero quella che cerca qualcosa per potersi difendere… ho forse sbagliato?Se così mi perdoni, cerco solo di fare bene il mio lavoro.”
“No no, lei ha perfettamente ragione”.Disse l’uomo,tirando un sospiro di sollievo.
Il commesso finalmente trovò l’oggetto che stava cercando.
Posò sul bancone una scatoletta anonima color verde caco, la aprì e mostrò al cliente una coil gun.
L’impiegato la guardò senza toccare e senza dire nulla: non voleva fare una pessima figura, di fronte ad un signore tanto gentile.Comunque il suo volto lasciava trasparire perplessità.
“Capisco!”.Aggiunse il commesso “Lascia che le spieghi brevemente che cosa le sto mostrando, ed il suo funzionamento.”
“Questa è una coil gun di tipo standard, si tratta di una arma da fuoco di livello base, caricata con 15 proiettili di allumino calibro 9mm.
In pratica è un arma ad induzione elettromagnetica, come quella dei motori delle nostre auto, che sfrutta la potenza elettromagnetica di una spirale di materiale composito speciale, per far accelerare il proiettile e spararlo fuori dalla canna rigata.
Questo tipo di arma è molto leggera, sui trecento grammi circa, e la batteria dura settimane, visto il basso consumo energetico: è la più adatta per i principianti.Ha una gittata di circa trenta metri di precisione e oltre cinquanta a parabola. È una pistola molto maneggevole e compatta, facile da usare e rapida da ricaricare.Me lo lasci dire, un vero gioiellino!Questo mese ne ho vendute parecchie, e questo è l’ultimo pezzo disponibile, in regalo le diamo due caricatori, una batteria di supporto in più e trenta proiettili, per la modica cifra di millecinquecento crediti, un vero affare!”.
“Comeeee?Millecinquecento crediti?Ma è tutto il mio stipendio di un mese!?”Sbottò l’uomo.
“Ah mi spiace, signore, ma vede nel prezzo sono comprese le tasse per i moduli di registrazione e il porto d’armi per difesa personale, mi lasci dire che non sono davvero molti, in questo settore della città non troverà prezzo migliore, glie lo assicuro!”
“E va bene, dannazione, mi ha convinto, la prendo!”.Disse l’uomo sconsolato, pensando che se fosse morto i soldi non gli sarebbero più serviti granché.
“Oh!Lo sapevo che lei era un uomo ragionevole, arrivo subito, vado a prenderle i moduli per la registrazione dell’arma e per il porto d’armi.Sa' lei è fortunato, domani invio tutti i moduli di registrazione degli ultimi trenta giorni, così tra meno di due mesi potrà venire a ritirare la sua arma!”
“Due mesi???”.Esclamò l’impiegato, come risvegliatosi dallo shock per la somma che si accingeva a spendere.
”Accidenti io non ho tutto questo tempo, non si può abbreviare la cosa?E’ necessario registrarla per forza?Io ne ho bisogno immediatamente!”.L’uomo appariva visibilmente agitato.
“Signore la prego si calmi!Capisco che lei ora abbia molta paura, ma la legge è legge!Davvero non posso vendere armi non registrate, se lo facessi sarei un criminale!”.
L’impiegato uscì dal negozio mentre il commesso deluso continuava a ripetergli che in nessun negozio che si rispetti avrebbe potuto ottenere un’arma senza prima registrarla.
Preoccupato riprese in mano il palmare e selezionò una nuova ricerca, questa volta cercò dei banchi di pegno, forse in quei luoghi qualcosa la si poteva ancora trovare senza troppe moine burocratiche.
Sul video comparvero poche soluzioni e tutte nella periferia nord della megalopoli, a parecchi chilometri da li, oltretutto in una zona rinominata per la sua pericolosità.
“Accidenti!Pensò, per andare in quel posto e uscirne incolume dovrei andarci già armato!Merda!Ma cosa cazzo ho fatto di male!”Pensò mentre comunque i suoi passi lo portavano alla fermata della monorotaia più vicina, per recarsi a nord della città.

Come se non bastasse il mezzo pubblico non lo avrebbe portato alla meta prefissata; avrebbe dovuto effettuare il resto del viaggio in maniera alternativa. Fortunatamente trovò un taxi, ma per condurlo a destinazione volle farsi pagare un supplemento: per una cinquantina di chilometri spese l’esorbitante cifra di centocinquanta crediti.
In quella zona i palazzoni erano molto più bassi:al massimo arrivavano a un cinquantina di piani.Erano logori e sporchi, come lo erano le persone e le strade del resto.In giro si vedeva poca gente, qualche accattone, e qualche auto che sporadicamente passava di li.
Arrivò al banco dei pegni, chiese al tassista di aspettare, ma appena fu lontano qualche metro, ripartì.
Sconsolato, entrò nel negozio.
Nessuna voce elettronica lo accolse.
Le cose erano accatastate a caso, in pile dall’aria instabile, piene di polvere.C’erano chincaglierie e cianfrusaglie di ogni genere; apparentemente nulla di quello che lo circondava sembrava ricordargli nemmeno lontanamente, un qualsiasi oggetto da lui conosciuto.
Dietro a un bancone, un uomo anziano faceva finta di leggere il giornale, mentre in realtà scrutava il suo nuovo possibile cliente.
Dopo un po’ il vecchio chiese con tono spazientito.”Allora si può sapere che vuoi?”.
L’uomo farfugliò qualcosa di incomprensibile anche a se stesso, poi deglutì, si schiarì la voce e disse:”Vorrei una pistola!Ne ha una?”.
“Ma per chi cazzo mi hai preso eh?”.Gridò il vecchio agitandosi.”Io non la vendo quella merda!Chi cazzo sei?Sei uno della vigilanza?Non rompere, vattene!Io non ne ho di quella roba!Sparisci,coglione!”.Continuò a sbraitare agitando freneticamente il giornale avanti e indietro, come per scacciare le mosche.
Venne cacciato fuori dal negozio a parolaccie.In un primo momento si arrabbiò, ma poi la necessità di trovare un’ arma nel più breve tempo possibile, lo riportò ad uno stato di calma angosciosa.
Si incamminò a caso per riflettere un po’ e svoltò l’angolo.
Li un uomo ambiguo gli si parò davanti, scrutandolo.
Era alto e robusto con un cappello di lana, come quelli dei vecchi marinai del porto.Gli ostruiva il passaggio e non aveva intenzione di farlo proseguire.
L’uomo pensò che fosse nei guai fino al collo,di nuovo.
“Ehi bello...”. disse con voce grezza l’individuo.”Cerchi un ferro?...Se hai i soldi te lo procuro io.”
L’impiegato intuì che per “ferro” intendesse una pistola, o almeno lo sperava.Fece cenno di si con il capo, e seguì l’essere abbietto in un vicolo,sperando che non fosse l’ultima cosa che facesse in vita.
“Ce l’hai una coil gun?”.Chiese mentre camminava.
“Certo, e spero per il tuo bene, che tu invece abbia i soldi”. Ribattè l’individuo.
Arrivato alla fine dello stretto vicolo c’era una macchina visibilmente scassata.L’individuo aprì il bagagliaio e tirò fuori una borsa:dentro vi erano una decina di armi, tra cui alcune coil gun.
Tra tutte l’uomo scelse quella che gli era sembrata più simile alla pistola vista nel negozio del centro: era l’unica di cui conosceva il funzionamento.
“Quanto vuoi per questa?”.Domandò.
“Per te amico, questa viene duemila crediti”.Disse l’uomo ambiguo.
“Duemila!Ma cazzo, in negozio me la davano a millecinquecento!”Esclamò l’impiegato.
L’individuo assunse un’aria minacciosa, e aggiunse:”Ti sembro un fottuto negozio io??Se ti va bene è così, altrimenti potrei anche iniziare a incazzarmi sul serio!”.
Allora l’uomo impaurito e un po’sconcertato, tirò fuori il palmare e versò sul conto del tipo ambiguo la somma pattuita.
A fine transazione i due non si guardarono più in faccia e proseguirono ognuno per la propria strada, qualunque essa fosse.

Ci mise mezza giornata a tornare a casa, ma ormai mancavano pochi chilometri.
Aveva dovuto camminare per un bel po’, prima di riuscire a trovare un taxi, e successivamente aveva dovuto prendere di nuovo i mezzi pubblici.
Ma ormai mancava poco. Era stanco, certo, ma per lo meno aveva con sé ciò che cercava.
Quel pezzo di ferro e roba elettronica gli dava un po’ più di sicurezza.
Ma il pensiero dell’assassino invulnerabile lo tormentò per tutto il tempo. Molto probabilmente quell’arnese non gli sarebbe mai servito a nulla se si fosse trovato faccia a faccia con lui.
Un brivido gelido percorse la sua schiena.
Molto probabilmente le cose stavano davvero così,ma cosa altro avrebbe potuto fare?A chi avrebbe mai potuto chiedere aiuto?
Chissà il nonno cosa gli avrebbe consigliato di fare, se solo fosse stato ancora vivo per poterglielo chiedere.
Non che fosse poi così saggio, ma era un uomo che sapeva il fatto suo; sapeva arrangiarsi e sapeva ritagliarsi il proprio spazio, anche in una megalopoli come questa.
Si può dire che fu proprio lui a crescerlo, il padre e la madre erano troppo occupati a lavorare per poter allevare un figlio, e quando non lavoravano, cercavano di recuperare le forze,stremati dagli orari d’ufficio.
Forse era il caso di avvisare i proprio genitori.
Dopo la morte del nonno, ricevettero delle offerte di lavoro più remunerative, così si trasferirono nella zona est, esattamente dalla parte opposta a dove si trovavano, ovvero la zona sud ovest.
Da allora si sentivano a malapena una volta al mese e alle feste comandate.
No, era inutile avvisarli.
Erano stati due giorni d’inferno, così decise di pensare positivo.
Aveva letto su qualche rivista che questo poteva aiutarlo a superare i momenti difficili.Tanto valeva provare anche questa.
Allora si mise a pensare ad eventuali lieto fine del tipo che l’assassino non lo aveva seguito, o che magari era una specie di nuovo tipo di vigilante cittadino, che aveva ucciso gente della malavita.
Questo poteva spiegare il fatto che era immune ai proiettili:Forse aveva addosso qualche campo di forza, qualcosa di tecnologicamente avanzato.
Sì era sicuramente una cosa del genere.
Ormai si era fatto buio e con esso arrivò anche la fermata a cui scendere.

Salì in ascensore, gli occhi gli si chiudevano e la vista si appannava dalla stanchezza.
Ma il dolore al costato tornava a farsi risentire tenendolo sveglio.Era sintomo che gli antidolorifici avevano finito il loro magico effetto.
Giusto in tempo per un’altra dose.
Le porte dell’ascensore si aprirono e lui si diresse verso l’entrata del suo appartamento.

Proseguiva a rilento, come un fantasma, nel lungo corridoio di moquette blu.
Il sonno stava avendo la meglio persino sul pungente dolore che sentiva al petto.
Guardò verso la porta di casa, e per un attimo gli parve aperta.
L'attimo continuava a prolungarsi evidentemente, perchè dopo alcuni passi, l'entrata gli sembrava ancora aperta anche se di poco.
Fece uno sforzo e riacquistò lucidità.Si fermò.
L'uscio si chiuse lentamente, senza fare rumore.
Il cuore gli salì in gola e iniziò a pompare,ancora una volta a duecento pulsazioni al minuto.
Gli occhi gli si gonfiarono di lacrime, e le gambe tremolavano sotto l'effetto dell' adrenalina.
Impugnò la pistola fremendo.
Poi ritornò di nuovo lucido.
Aveva scoperto dove abitava, ormai era meglio fuggire il più lontano possibile.
Camminò a ritroso senza mai perdere di vista l'appartamento, fino ad arrivare al turbo ascensore, che fortunatamente era ancora al suo piano.
Andò giù nell'enorme garage, e si diresse correndo verso il proprio veicolo, ma appena fu a due file di auto di distanza, si fermò e si acquattò tra due macchine.
Si scrutò attorno.Sembrava tutto tranquillo.
Stava per proseguire, ma a mezza altezza ebbe un' incertezza.
Se fosse stato in combattiemento, gli sarebbe costata senza dubbio la vita.
Rimase li a fare avanti e indietro, in un movmento ritmico convulso e sgraziato.
"Oddio che sto facendo!Sarà risalito al luogo in cui abito usando la targa del veicolo come riferimento...".Pensò."...se uso la mia macchina mi troverà..mi troverà sicuro e sarò morto...".
"Non ho altra scelta, non ho nessun altro mezzo e non posso scappare a piedi per tutta la città, mi troverebbe comunque".
Si alzò e si diresse verso il suo parcheggio.
Ma di nuovo ebbe un'incertezza.
Si fermò al centro della carreggiata.
"E se l'auto fosse piena di esplosivo?".
Si abbassò sgraziato e guardò sotto la macchina rimanendo sul posto, cercando qualsiasi cosa potesse avere un'aria sospetta.
Pochi attimi dopo si accorse che anche se ci fosse stato un ordigno sotto l'auto, con le sue scarse competenze elettromeccaniche, non se ne sarebbe accorto comunque; oltretutto sotto l'auto non ci aveva mai guardato prima di allora.
Si alzò in piedi e si mise le mani nei capelli, si era persino dimenticato dell'arma che teneva ancora in mano, escoriandosi ulteriormente la testa, già malconcia.
Si teneva stretto la testa per i capelli corti e bruni, si girava in ogni direzione di scatto, iniziando a piangere come un bambino.
"Cosa faccio?Cosa faccio adesso?".Continuava a ripetere disperato, cercando l'aiuto di qualcuno, chiunque.

Una macchina svoltò l'angolo e si fermò.
Al volante, una donna guardava impaurita un pazzo che piangeva in mezzo al parcheggio, con una pistola in mano.
"Ti prego non spararmi!Ho una figlia!Non farmi del male ti lascio l'auto, prendila è tua!Non uccidermi!".
La signora, in preda al panico uscì dall'abitacolo senza levarsi la cintura e quasi strozzandosi, cadde la suolo, continuando a implorare pietà.
L'uomo rimase allibito di fronte a quella scena.
Si voltò di scatto pensando che l'assassino fosse dietro di lui, ma non c'era nessuno, a parte loro.
Non capiva cosa le stesse prendendo, e si diresse verso di lei per aiutarla.
Ma fece l'errore di allungare le braccia verso la sfortunata, puntandole involontariamente l'arma contro.
La donna gridò in preda all'isteria più totale, agitandosi e piangendo disperatamente.
Più si agitava, più si aggrovigliava nella cintura.
L'impiegato piangeva a sua volta; la signora, stava facendo un baccano infernale, e temeva che l'assassino potesse trovarlo sentendo le grida.
Le urlò contro:"Signora si calmi la prego!Non le faccio del male!Mi aiuti!Non gridi, lui la sentirà e mi ucciderà!Non gridi per favore!La prego!".
Ma la crisi continuava e l'uomo colto dal panico tentò ripetutamente di tapparle la bocca con la mano, senza però riuscirci.
Perse la ragione per un attimo, e la colpì alla testa con il calcio della pistola, facendo finalmente cessare le grida.

"Mio Dio...".Sospirò."L'ho uccisa...".
Si alzò, passeggiò nervosamente avanti e indietro per qualche secondo, grattandosi la testa con l'arma.
"Ora...ora anche la Vigilanza mi darà la caccia, sono fottuto!L'ho uccisa!L'ho uccisa!".
"Cosa ho fatto!Cosa ho fatto di male!Chi cazzo ti ha chiesto niente a te eh? Stronza!".
"Non potevi farti gli affari tuoi?Eh?".
Nell'impeto d'ira le sferrò un calcio.La donna ebbe un lieve sussulto.
"Oh!E' viva!E' viva, grazie a Dio!".
Le tastò la gola per sentire il battito:la donna era realmente viva anche se ancora del tutto priva di sensi.
Si sentì molto più leggero, e finalmente riuscì a connettere di nuovo il cervello in pensieri sensati.
Quei pochi minuti passati li nel parcheggio,gli sembrarono ore interminabili, e sentiva quasi il fiato del nemico sul collo.
Non c'era più tempo.
Sciolse la donna dalla cintura di sicurezza, e la adagiò con cautela tra un muro e una macchina, di modo che, nessuno potesse trovarla facilmente.
Poi salì nella vetturadella sfortunata, ancora in moto.
Strinse il volante tra le mani, strizzò gli occhi.
Disse a se stesso che tutto sarebbe filato liscio,tutto sarebbe tornato come prima, non sapeva ancora in che modo, ma sapeva che ce l'avrebbe fatta.
Non aveva aggredito la donna: si stava solo salvando la vita.
Non stava rubando un'auto: stava solo sopravvivendo.
Una nuova fitta al costato, lo risvegliò dai pensieri, ancora una volta.
Chiuse lo sportello, accellerò a tavoletta e pronunciò queste parole: "Speriamo di averla colpita abbastanza forte da darmi almeno un paio d'ore di vantaggio, prima che anche la Vigilanza mi inizi a dare la caccia".

[Modificato da ninmah62 04/11/2008 15:46]
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25/09/2007 16:37

Si sentiva male.Iniziava a fare fatica a respirare per il dolore troppo acuto.
Grazie al cielo l'auto frenava da sola in caso di impatto imminente con altri veicoli. Ogni volta che la frenata di emergenza automatica entrava in funzione emetteva un fastidiosissimo e acuto cicalio elettronico, che però, lo aiutava a non perdere i sensi.
Si trovava ancora nella zona sud ovest della città.
In un primo momento voleva dirigersi a nord, nella zona malfamata,li forse avrebbe potuto trovare un rifugio.Ma sarebbe dovuto passare per il centro, ed era troppo pericoloso, dato l'elevato numero di pattuglie che girano in quella zona.Non era possibile arrivarci passando dalle strade più esterne, poichè ci si impiegava troppo tempo.
Così decise di abbandonare la megalopoli definitivamente.
Era la prima volta in tutta la sua vita che lo faceva.
Non ne aveva mai sentito l'impulso.
In quella grande città si poteva trovare ogni tipo di comodità e svago, e soprattutto fuori c'era solo il deserto per diverse centinaia di chilometri.
Si ricordò dei giorni in cui a scuola si studiava la morfologia del territorio circostante.
Si diceva che in passato quella zona era interamente sommersa da svariati metri di mare, ma che poi un cataclisma di qualche tipo, aveva fatto ritirare l'acqua di migliaia di chilometri in pochi millenni.
Il risultato era una conca che dava sul mare, circondata da grandi canion naturali.
La sua idea, per ora, era di fuggire verso quelle profonde fenditure del terreno, famosa meta turistica della zona.
Poi di li avrebbe voluto far perdere le proprie traccie, eventualemente prendendo qualche volo a basso costo per qualche paese straniero.
Era ormai calata di nuovo la notte.
Stava guidando nel buio più completo, da diverse ore,su una strada statale dimenticata da Dio.
Quando la donna avrebbe denunciato il furto della macchina, le autostrade principali non sarebbero stare sicure per lui, sempre piene di telecamere, e da cui è impossibile scappare se venissero bloccate le uscite.
Ad un certo punto,scorse nel buio una stazione di servizio.
Si fermò.Chissà quanto sarebbe passato prima di poterne vedere un'altra.
Prima di scendere attivò la funzione "specchio" del dispay della plancia, per vedere in che stato era il suo volto.
La camera digitale, non mentiva, aveva veramente un aspetto di merda.
Cercò di darsi una sistemata, per non attrarre troppo l'attenzione dell'eventuale padrone della stazione.
Quando ebbe finito,riabilitò il monitor a specchietto retrovisore, come di consueto, e aprì lo sportello.
Ciò che vide lo fece rimanere stupefatto.
Nel cielo scuro, brillavano milioni di piccole stelle, luccicanti come diamanti.
Uno spettacolo meraviglioso.
Le porte del punto di ristoro si aprirono automaticamente: al suo interno non c'era nessuno, era tutto automatizzato.
Tutto si risolveva in una fila di display spenti.
L'uomo perplesso si avvicino ad uno di essi, e questo si attivò.
Una voce lo invitava a inserire la sua carta dei crediti e a fare rifornimento di provviste, sottolineando il fatto che quella era l'unica stazione per circa mille chilometri.
Da quello schermo si poteva anche selezionare la pompa di energia per ricaricare le batterie dell'auto.
Scelse per prima cosa, gli antidolorifici, poi dei viveri di vario genere, uno zaino, della carta igienica, una cassa di acqua oligominerale, dei cerotti, dei fazzoletti usa e getta, una coperta termica, un coltellino multiuso e infine selezionò il rifornimento per la macchina.
Finito il trasferiemento di crediti, sospirò abbattuto: tutto costava tre o quattro volte quello che pagava normalmente in città.
Accanto al monitor si aprì una porta scorrevole, che permetteva di prendere la spesa appena pagata da un apposito vano,già insacchettata.
Uscì dal negozio e ingurgitò subito una tripla razione di antidolorifici forti.
Poi ricaricò le batterie del veicolo e ripartì subito.
Si accostò diversi chilometri dopo, quando l'ultima tappa effettuata non fu che un piccolo puntino a lato dell'asfalto.
Spense completamente le luci, e fu ingiottito dal buio.
Afferrò la coperta appena acquistata, la scartò dall'imballaggio e uscì dalla macchina.
Si poggiò con la schiena accanto alla gomma posteriore e si coprì fino alle orecchie.
Nel buio si sentiva protetto, nessuno avrebbe potuto vederlo li, nemmeno lui sapeva dove si trovasse esattamente.
Guardò le stelle: le fissò a lungo, bellissime.
Poi guardò la megalopoli.
Si riusciva a vedere perfettamente,anche da quella distanza,tenuamente illuminata. Di tanto in tanto si vedevano dei puntini luminosi volarci dentro o uscirne fuori:qualche mezzo aereo partiva o arrivava in un via vai continuo.
Sembrava un'oasi di candidi alberi bianchi,circondata da lucciole,in quel deserto piatto e rossastro.
Era bella.
Ma la grandiosità del cielo era di gran lunga superiore alla sua bellezza.
Finalmente aveva trovato un attimo di pace: chiuse gli occhi e si addormentò profondamente.

Una bassa musichetta ritmata interruppe il silenzio irreale del luogo.
L'uomo aprì gli occhi:si era fatto giorno già da un po'.
La musica si fece per un breve periodo più forte e poi si interruppe.
Si alzò in piedi, scosse la coperta e successivamente cercò di levare dai vestiti la polvere che si era depositata.
Quando a sua discrezione , fu abbastanza pulito, infilò la mano in macchina ed estrasse il palmare dalla tasca della giacca.
Era la chiamata automatica del suo ufficio, che lo avvisava di non essersi presentato in orario, nonostante fossero passate già due ore dall'inizio del suo turno lavorativo.Chiedevano cortesemente di elencare i motivi del ritardo compilando il semplice modulo allegato da rispedire al loro indirizzo telematico.
L'impiegato scorse il modulo, ma tra le varie opzioni non trovò la voce "perseguitato da un assassino"; quindi optò per una classica autocertificazione, in cui affermava di essere rimasto a casa, ammalato.
Inviò il breve messaggio, e si rese conto che effettivamente poi tanto bene non stava sul serio.
Il respiro s'era davvero fatto faticoso,sarebbe dovuto andare a farsi vedere da un dottore.
Ma a parte la sabbia e la lunga lingua di asfalto, non si vedevano medici da quelle parti.
Cinque pillole di antidolorifici avrebbero sicuramente risolto la faccenda, almeno per qualche altra ora.
La fuga proseguì.
L'assoluta monotonia del paesaggio rendeva il viaggio noioso, ma lasciava spazio alle riflessioni.
Stava calcolando mentalmente quanto sarebbero durate le batterie del veicolo; correva il rischio di non poter arrivare da nessuna parte.
D'altro canto era una macchina progettata per le strade di città, non era fatta per i lunghi viaggi.
Gli ritornò alla mente la sua auto.
Con quella avrebbe viaggiato più velocemente e l'energia sarebbe durata di più.
Oltretutto così avrebbe saputo a che velocità poteva raggiungere spingendola al massimo, visto che su quella strada non c'era nessun tipo di limitatori elettronici di velocità.
"Un vero peccato, chissà che brutta fine farà, abbandonata in un garage".Piagnucolò.
A dire il vero, tutta la sua roba avrebbe fatto una brutta fine.
Le cose avevano preso una piega assurda, e non vedeva come sarebbe mai potuto tornare indietro per chiarire la questione.
L'unica era scappare, lasciarsi tutto alle spalle.
"Tutto cosa?".Una voce nella sua mente gli chiese.
"I genitori?La casa?Uno splendido lavoro da assicuratore?".Continuò a domandare la voce nella sua testa.
"Bella vita del cazzo!".Gridò da solo nell'abitacolo.
Una nuova prospettiva gli si stava aprendo davanti agli occhi.
Iniziò a formarsi il pensiero che il Destino nella sua immensa magnanimità ed ironia, gli stesse dando una seconda opportunità:
poteva rincominciare da capo, poteva essere un'altra persona, un nome nuovo, una nuova vita, dei nuovi sogni,altrove.
Gli sembrò quasi di vederlo.
Poteva vedere il suo futuro di nuovo bianco, ancora da scrivere, come quando da ragazzino sognava di volare.
Sentì di nuovo una scintilla riaccendersi dentro, che gli donò nuovo vigore.
Di nuovo la tenue musichetta iniziò il suo buffo ritornello.
Senza fermarsi l'uomo prese di nuovo in mano il palmare.
Conteneva un nuovo messaggio ad alta priorità.
L'uomo corrucciato, si mise a leggere.
Era un avviso della azienda per cui lavorava.
Il testo diceva che il messaggio precedentemente spedito, non era stato inviato dal proprio appartamento, e nemmeno dalle sue immediate vicinanze, come aveva precedentemente dichiarato nel modulo.Ciò comportava una sanzione disciplinare nei suoi confronti, che consisteva nella momentanea detrazione di un quarto dello stipendio e che poteva essere aumentata fino alla sospensione totale del salario, se non si fosse presentato entro ventiquattro ore dall'arrivo dell'avviso.In oltre se non si sarebbe giustificato in maniera adeguata presso la direzione della propria sezione lavorativa, sarebbe potuto essere licenziato con disonore.
Questo comportava un danno ancora maggiore della decurtazione dello stipendio.
Chi veniva licenziato con disonore, veniva marchiato a fuoco per tutta la vita, e non avrebbe più potuto trovare un lavoro di livello pari o superiore, per tutto il resto della sua vita.C'erano delle eccezioni, in cui un nome veniva riabilitato, ma spesso si vociferava che non fosse altro che il pagamento sottobanco di forti tangenti passate alle persone giuste negli uffici giusti.
Nulla che fosse alla sua portata.
Sorrise.
L'impiegato non era più un impiegato di una azienda assicurativa.
Era libero;libero dalla schiavitù del lavoro, dagli orari impossibili, dalle nottate passate a vomitare nel water dopo le solite bevute da solo nel bar vicino al porto.
Era libero,certo, ma era ancora comunque, una persona che scappava: un fuggitivo.
Si convinse ancora di più ad andarsene da quel luogo.
Ora avrebbe fatto di tutto per sopravvivere e poter riniziare tutto da capo.
Una seconda occasione non si butta via così.
Guidò per qualche chilometro ancora, poi si fermò all'improvviso, mettendo duramente alla prova l'impianto frenante del veicolo.
La donna oramai si sarebbe dovuta essere ripresa, e avrebbe già dovuto avvisare la Vigilanza cittadina.
Questo lo sapeva tutto sommato.
Quello che non sapeva, o per meglio dire a cui non aveva mai pensato fino a quel momento, era che per tutto questo tempo lui era stato tenuto d'occhio, senza saperlo.
No, non era l'assassino, quello con tutta probabilità era rimasto ad aspettarlo nell'appartamento per tendergli un agguato.
L'occhio che lo spiava era invisibile da li, ma tutti sapevano che esisteva e tutti lo usavano ogni giorno.
Il satellite GPS.
Per tutto questo tempo lui si era portato appresso il palmare, che sempre collegato al sistema, sapeva in ogni momento dove potesse essere in questa zona del mondo.
Grazie alla sua ex compagnia assicurativa aveva qualche chance in più di scappare e di non essere arrestato.
Meglio di qualsiasi liquidazione potesse mai chiedere.
Con fare liberatorio, prese l'oggetto incriminato e lo scagliò violentemente verso il duro deserto rossastro, spaccandosi in mille pezzi.
Poi fu il turno del navigatore dell'automobile.
Ci mise un po' a scardinarlo dalla plancia: ma era stato previdente e il coltellino multiuso lo aiutò in maniera decisiva nell'estirpazione del dannato aggeggio.Poi anche quello volò fuori dal finestrino,lontano dalla macchina.

Ormai era pomeriggio inoltrato, guidava da molte ore.
Aveva mangiato senza mai fermarsi, ogni minuto era prezioso, anche se probabilmente aveva ancora qualche ora di vantaggio rispetto agli eventuali inseguitori.
La plancia era ricoperta da un sottile strato di polvere rossa, qualche cartaccia, avanzi di cibo e bottiglie d'acqua vuote.
A quell'ora il deserto era molto caldo.
Il climatizzatore faceva egregiamente il proprio dovere, nonostante i danni all'abitacolo.
Funzionava ancora tutto, tranne la fotocamera che proiettava l'immagine del posteriore dell'auto: generava un continuo fruscio,il video saltava, e tra le righe di interferenza ogni tanto si alternava impazzita, la visuale interna dell'abitacolo con quella esterna del retrotreno.

Completamente immerso in calcoli, tragitti e spostamenti da fare, il fuggitivo non si era accorto che già da qualche chilometro erano comparse all'orizzonte,le prime maestose fenditure dei canion.
Apparivano come una fitta muraglia di roccia rossa, con profonde spaccature verticali , come se un artista con un enorme scalpello, l'avesse appositamente incisa.
Tra quelle spaccature, avrebbe potuto abbandonare l'auto, facendo così perdere le proprie tracce definitivamente.
L'idea era poi di proseguire a piedi, fino a uno dei villaggi turistici della zona e da li partire per qualche altro stato.
D'altra parte aveva solo aggredito una donna e rubato un veicolo; per quanto fosse un criminale, non si sarebbe giustificato un dispendio di uomini e risosrse per dargli la caccia in un altro paese.Contava principalmente su questo.
Un cicalio avvertì il conducente che le batterie erano quasi del tutto scariche.Purtroppo il danno al cruscotto e il climatizzatore sempre acceso,avevano sballato i calcoli iniziali fatti dal fuggitivo, consumando molta più corrente del dovuto.
"Dannazione!".Disse."Mancava così poco!".
Poi come un miraggio, apparì in lontananza quella che sembrava un punto di ristoro.
"Evvai!La fortuna sta girando!".Esclamò euforico.
Finalmente fu abbastanza vicino da poter capire di che struttura si trattasse effettivamente.
Il volto che dapprima aveva una espressione felice, chilometro dopo chilometro andò via via spegnendosi sempre più, lasciando il posto ad una espressione basita e incredula.
Parcheggiò l'auto sotto la tettoia di quella che, dai racconti del nonno, aveva tutta l'aria di essere una di quelle antiche pompe di combustibile fossile.
Scese dal veicolo, senza perdersi d'animo.
Si guardò attorno.
Sembrava li da secoli.
Le insegne che prima dovevano essere verniciate, ora risultavano illegibili e la ruggine s'era mangiata il resto del rivestimento del tetto in lamiera ondulata, piegata e corrosa dal vento sabbioso del deserto circostante.
Un posto abbandonato li, da chissà quanti anni.
Non gli rimaneva che attendere che scendesse la notte per poter partire, così quando le batterie si sarebbero esaurite, avrebbe potuto proseguire a piedi, nella speranza di incontrare una stazione di servizio funzionante, prima che il sole ritornasse a scaldare la strada.
Nel frattempo si mise a curiosare in giro in cerca di qualcosa di utile.
Andò vicino a una grossa cisterna e stando attento a non prendere le lamelle di ruggine che la ricopriva, bussò, per vedere se all'interno ci fosse ancora qualcosa.Sembrava piena.
Pensò che forse anche i distributori sotto la tettoia potessero ancora contenere del combustibile.

Si fece via via sempre più curioso; il nonno gli aveva parlato così tante volte di tutte quelle cose, che decise di vedere come era fatto questo fantomatico "carburante".
Prese un secchio lercio che si trovava vicino alla cisterna e lo mise accanto a una pompa.
L'indicatore meccanico sui distributori diceva che i serbatoi della stazione erano ancora mezzi pieni.
Azzionò il meccanismo manuale a manovella, poichè l'erogatore era completamente inservibile.Da un manicotto che spuntava dal suolo uscì a fatica un fluido verdastro con dei pezzi semisolidi, simili a ad asfalto liquido.
L'odore fortissimo e mordace lo nauseò e gli fece girare la testa.
"Ci credo che questa merda inquinasse mezzo mondo!".Esclamò sorpreso.
Si mise seduto in auto aspettando di riprendersi dai vapori venefici di quel fluido maledetto, dopodichè ispezionò il negozietto, in cerca di un bagno, per espletare dei bisogni fisiologici.
Dentro era pieno di foto sbiancate e cornici impolverate; negli angoli facevano bella mostra ragnatele di proporzioni enormi,abbandonate da anni anch'esse dai loro costruttori.
Sul pavimento di piastrelle si erano depositati diversi centimetri di sabbia.
C'erano persino delle cartoline del posto, e anche delle cartine.
Non avendo più ne navigatore ne palmare, ne cercò qualcuna ancora utilizzabile,sperando che le strade e i paesi, negli ultimi cento anni non fossero cambiati troppo.
Di tutte le mappe che trovò se ne salvarono solo un paio:tutte le altre si sbriciolarono al solo contatto.
Lasciò tutto li sul bancone principale, e si mise di nuovo alla ricerca del bagno.
Quando lo trovò fu sorpreso di trovarlo intatto.La ceramica di quel cesso, aveva resistito al tempo, più di ogni altra cosa là dentro.
Anche se era stata evidentemente la tana di chissà quali animali, ora sembrava disabitato.
Non gli sembrò il caso comunque di sedercisi sopra, così si limitò a farcela dentro,piegato in una buffa posizione, molto simile a quella che assumono gli sciatori quando si accovacciano per prendere velocità.
Dopo che ebbe finito e dopo che la maniglia dello scarico gli rimase in mano nel tentativo di far scendere della improbabile acqua,ritornò nel salone principale a riprendere le cartine e
le poggiò sul sedile del passeggiero, sopra la pistola.
Voleva effettuare una seconda esplorazione del negozio, ma poi gli venne in mente che forse era il caso di provare a sparare qualche colpo, per impratichirsi almeno un po'.
Così prese il secchio usato in precedenza per raccogliere il combustibile e lo poggiò per terra, a una ventina di metri di distanza dalla stazione.
Si mise in posizione, prese la mira e tirò il grilletto.
Non accadde nulla.
Premette ancora, e ancora ripetutamente, ma continuava a fare un suono strano, come se il meccanismo andasse a vuoto.
La guardò perplesso.
Poi, poco sopra l'impugnatura vide una piccola levetta con due posizioni, con su incise a piccolissimi caratteri la dicitura:"blocco di sicurezza".
La fece così scattare su "attivo", e si rimise in posizione.
Questa volta premendo il grilletto il proiettile partì, colpendo il terreno molto prima del bersaglio.
Riprovò ancora per tre volte, poi iniziò a capire come si usava il mirino.
Il quarto colpo fu più vicino degli altri.
Il quinto fu decisivo.
Appena il proiettile perforò il secchio, il liquido infiammabile ancora al suo interno si incendiò all'improvviso esplodendo in una fiammata.
L'uomo, dopo un attimo di spavento, si esaltò come un bambino, agitando le braccia in segno di vittoria, ma poi il dolore alle costole lo riportò alla sua vera età e soprattutto alla sua precaria condizione fisica.
Iniziò ad avere il sospetto che qualche costola fosse fratturata o addirittura rotta.
Prima di partire per nuovi lidi si sarebbe fatto vedere da qualche dottore dalle poche pretese per accertarsi del suo stato di salute.
Ora era meglio riposarsi, la notte non sarebbe tardata ad arrivare e lui a quel punto avrebbe dovuto camminare per chissà quanti chilometri.
Così tornò nella macchina, che aveva conservato ancora un po' della sua freschezza e si sdraiò, ma senza addormentarsi.

Quasi un'ora dopo, si sentì nell'aria,come un sibilo, che via via si faceva più forte.
Il fuggitivo si guardò attorno e vide alle sue spalle in lontanza un velivolo in avvicinamento.
Rimase fermo e attonito a fissare l'oggetto.
Sembrava un monoposto bireattore, dalla linea a goccia e con la coda lunga, che terminava in due flap.
Non era una pattuglia.
Forse erano guai in arrivo.
Prese la pistola e la nascose dietro la schiena, dentro i pantaloni e scese dal veicolo.
Più si avvicinava, più l' adrenalina fluiva nelle vene, facendo pompare sempre più sangue dal cuore, oramai avvezzo a quel ritmo.
Il veicolo volante atterrò a pochi metri dalla stazione e lentamente si aprì.
Ne scese agilemente un uomo magro, alto, con uno strano giubbetto verdognolo.
Era l'assassino.
L'uomo non disse nulla, ne pensò nulla.
Il losco figuro estrasse il pugnale dalla lama ondulata, di un colore violaceo cangiante.
Si avvicinò lentamente e quando fu a una decina di metri si fermò.
"Per colpa tua,stavo quasi per fallire la missione...".Disse calmo lo smilzo."Ora da bravo non rendere le cose più difficili del normale, se stai tranquillo ti prometto che sarò veloce e indolore".
L'uomo lo ascoltò incredulo.
Non poteva mollare tutto proprio ora, si sarebbe difeso con le unghie e con i denti:estrasse la pistola.
"lo sapevo!Sei solo uno stupido sfigato!Provaci pure, tanto è inutile, non ricordi?".Disse l'assassino digrignando i denti e iniziando ad avanzare piano piano.
Il fuggitivo prese la mira:aveva pensato, che se fosse riuscito a colpirlo alla testa, il giubbetto non lo avrebbe protetto.
Sparò un colpo, ma non andò a segno.
Ne sparò un altro, anche questo senza successo.
Il terzo colpo partì diretto, preciso alla testa.
Ma l'aria davanti la faccia del nemico sembrò comprimersi creando un cuscino che prima rallentò e poi fece cadere atterra l'ogiva.
L'uomo rimase atterrito. Ormai era spacciato incominciò a indietreggiare lentamente.
le lacrime iniziarono a scorregli in volto, il sudore gli aveva reso trasparente la camicia.
Una smorfia di dolore si dipinse sulla sua faccia.
"Nooooo!!!".Gridò disperato.
Puntò di nuovo la coil gun e iniziò a sparare a raffica, ma i colpi cadevano al suolo senza ferirlo.
Un colpo però rimbalzò, colpendo un angolo del distributore, producendo un caratteristico suono di metallo.
Nello sguardo dell'uomo, balenò un'idea.
L'assassino ormai stufo si passò il pugnale da una mano all'altra,poi decise di sferrare il colpo finale e iniziò a correre.
L'uomo impugnò saldamente la pistola con la destra, si coprì il volto con il braccio sinistro e tuffandosi all'indietro con tutta la forza rimastagli, svuotò in pochi attimi l'intero caricatore rimasto, contro il distributore di benzina.
Ne segui una violenta deflagrazione che investì tutto e che avvolse dalle fiamme la sagoma dell'assassino.
Urla agghiaccianti venivano coperte dalle continue fiammate che stavano incendiando tutto quanto.
Quando riaprì gli occhi era tutto finito.
Le fiamme continuavano a bruciare basse,una colonna di fumo nero si levava in cielo.Il corpo del nemico giaceva a pochi metri da lui.
Un intenso odore di carne bruciata e benzina pervadeva l'aria.
L'uomo vomitò.
Poi si fece coraggio e si alzò andando verso il cadavere, per accertarsi della sua morte.
Pezzi di lamiera gli si erano conficcati nelle gambe, ma non sentiva alcun dolore, forse grazie all'adrenalina che ancora gli scorreva nel corpo.
Raccolse il pugnale che giaceva poco distante e lo osservò.
Era una cosa mai vista.
La lama era ondulata, affilatissima, con su delle incisioni di colore viola.Sembravano simboli e scritte in una lingua a lui del tutto sconosciuta, e come se non bastasse ogni tanto sembravano pulsare illuminandosi, dando una lieve scossa di energia che gli percorreva tutto il braccio, provocando una lieve sensazione di benessere.
Proseguì verso l'assassino.
Finalmente poteva osservare lo strano indumento.
Non era stato minimamente intaccato dall'esplosione, appariva solo annerito dal fumo.
Sembrava una di quelle armature di maglie di ferro che aveva visto addosso ai cavalieri nei libri di storia.
Qua e la placche di metallo con incisioni e simboli, molto simili a quelli incisi sul pugnale, ma di colore verde vivo.Non sembrava emanare alcuna energia:provò a toccarla.
Il corpo si mosse e l'uomo rimase immobile impietrito.
"Mi hai ammazzato!Stronzo!".Disse il corpo che si contorceva in quella che doveva essere una lenta e dolorosa agonia.
L'uomo chiese:"Ma cosa significa tutto questo?".
"Magia....".Disse con un filo di voce, esalando poi, l'ultimo respiro.

l'uomo non capì.
Era tutto troppo surreale.
Si sedette a terra a pochi metri dal morto.
Alternava la vista delle fiamme a quella del pugnale che ancora teneva in mano.
Il calore del fuoco e quello del sole,rendevano l'aria irrespirabile e gli bruciava la pelle.
Le gambe gli duolevano, le ferite continuavano a sanguinare; ma non si azzardò minimamente ad estrarre i pezzi di ferro che sporgevano.
Tossì e sputò sangue.
Il suo cervello proprio non razionalizzava la cosa, era in una specie di black-out mentale.

In lontananza sembravano arrivare altri due veicoli.
Non poteva ne voleva più fuggire.
Non aveva più i mezzi, ne la forza ne la voglia.
Voleva delle spiegazioni, voleva sapere perchè la sua vita era crollata per ben due volte nel giro di poche interminabili ore.
Aspettò senza muoversi che i nuovi visitatori arrivassero.

Erano due velivoli militari, adibiti al trasporto truppe speciali.
Atterrarono e ne uscirono una ventina di soldati tutti attrezzati con giubbetti antiproiettile, visori elettronici per la identificazione del nemico e armati di fucili coil a ripetizione.
Alcuni uomini si sparpagliarono nell'area per perlustrare la zona e renderla sicura, gli altri si disposero in semi-cerchio e tenevano sotto tiro l'uomo.
Dopo che gli esploratori fecero cenno agli altri che l'area era sicura, dal secondo cargo scesero tre figure.
Erano tre uomini incappucciati.
le due persone ai lati avevano una specie di tunica violacea,di ottima fattura, tutta ricamata e intarsiata, con il bordo finemente lavorato di un colore viola più acceso.
L'uomo nel mezzo sembrava il capo.
Anche lui incappucciato con una tunica nera che per finiture sembrava addirittura migliore delle due precedenti.
Il bordo era rosso, cesellato da lettere e simboli che ne percorrevano tutto il contorno.
Fece un cenno della mano e sia gli uomini che i soldati si aprirono per farlo passare.
Si avvicinò con passo lento, e quando fu davanti al fuggitivo fece scorrere all'indietro il grande cappuccio, mostrando il volto.
Era un signore sulla sessantina, dall'espressione allegra e giovanile.Sul naso portava degli occhialetti quadrati, fini, con una montatura dorata.
Gli occhi azzurro profondo, contrastavano con gli sparuti capelli bianchi della testa.
Guardò l'uomo a terra e gli sorrise.
"Mi scusi?"Disse l'uomo a terra."Non è che per favore mi spiegherebbe che cosa sta succedendo?Io non capisco, davvero..."
"Ah ah ah!Una spiegazione?".Rise divertito il vecchio."Si...non vedo perchè no...".
"Bene, la ascolto...".Aggiunse l'uomo.
"Vede signor...a proposito, signor?".Chiese l'anziano.
"Ah!Io sono...".
"No, non importa...".Lo interruppe il vecchio.
"Deve sapere che per la gente come voi, queste cose non contano.
Il vostro dovere è di nascere, crescere e morire sapendo solo quello che dovete sapere, quello che NOI vi diciamo che dovete sapere."
"Ora lei, mia piccola ape operaia, si è allontanata troppo da suo alveare e ora sono qui apposta per rimettere le cose apposto."
Poi si incamminò verso il cadavere abbrustolito e lo esaminò attentamente senza mai chinarsi.
Chiuse gli occhi e pronunciò parole incomprensibili tenendo la mano destra aperta messa di taglio, davanti al volto.
Sembrava pregasse.
Il giaco di maglia attaccato al corpo senza vita, iniziò a pulsare di una strana energia verdognola, molto flebile.
Poi sentì un sonoro "clak" e si aprì su entrambi i lati.
"Oh meno male!".Disse contento il simpatico vecchietto."Pensavo che con tutto questo trambusto, si potesse essere danneggiato."
Poi fece cenno a due soldati di portare via il corpo, e a uno degli incappucciati di requisire l'armatura.
Poi con calma tornò dall'uomo seduto nella polvere, che ancora sembrava non capire.
L'uomo guardò il vecchio e gli disse:"Prima di morire, mi ha detto che tutto questo è magia...ma come è possibile?".
L'anziano sospirò:"Mi porga gentilemente la lama che ha tra le mani e le prometto che avrà le risposte che cerca.".
Il fuggitivo non fece obiezione; allungò il braccio verso la persona porgendogli il manico dell'arma.
Subito l'altro incappucciato si recò a requisire il pugnale, nascondendolo nella larga manica della tunica.
"Ebbene mio caro signore...".Disse il vecchio aggiustandosi gli occhiali sul naso con due dita."Deve sapere che la mente umana è uno strumento molto potente.Quello che miseramente voi chiamate col riduttivo termine di "magia" è in realtà una faccenda complessa, legata all'uomo fin dall'antichità.
La chiamerei "la somma Arte di Legare il Pensiero".
Questo è in definitiva quello che facciamo.
L'arma che aveva in mano pochi attimi fa è imbevuta della Volontà e l'Energia di un "mago" , imbrigliata da formule alchemiche complesse, per conservarne gli effetti.
Questa in particolare potenzia la velocità di esecuzione dei movimenti del braccio e rimane sempre affilata.
L'armatura di maglia, invece, proteggeva dai proiettili."
L'uomo ascoltava incredulo, ma nessuno di quelle persone sembrava scherzare.
Tutta la tecnologia di cui si era circondato, i chip, i computer, le auto, i velivoli, erano sono giocattoli.
"Si da al bambino il giocattolo nuovo, così gli adulti possono fare i loro comodi in santa pace!".Pensò.
"Esatto!".Aggiunse il vecchio, come se gli avesse appena letto nella mente.
"Vedo che ha capito perfettamente la situazione,le faccio i miei complimenti!".Aggiunse.
L'uomo si alzò in piedi a fatica, aveva perso molto sangue.
"Ma perchè...perchè tutto questo, perchè?".
"Suvvia!Era partito così bene, e poi mi scivola in banalità del genere..ma è ovvio per il Potere!Ed il potere non è cosa che tutti possono, ne devono avere!".
Il fuggitivo guardò l'uomo negli occhi, che sembravano scrutarlo intimamente.Quell'essere dai modi così gentili non gli incuteva timore, anzi nonostante la gravità di ciò che affermava, lo faceva sentire meglio, più leggero, sollevato.
"E ora?".Chiese.
"Oh bhè, figliuolo, ora devo proprio andare,ho questioni urgenti da sbrigare, ma non si preoccupi, i miei uomini si occuperanno di lei; aggiusteranno tutto,e vedrà che tutte le cose torneranno a loro posto, dov'è giusto che siano.Le porgo i miei saluti e si rallegri, le sue sofferenze stanno per terminare, lei sta per diventare una persona famosa!".
Salutò con un lieve cenno della mano e sempre sorridente si voltò e ritornò dietro la fila di soldati, subito seguito a sua volta dagli uomini in tunica viola.
L'anziano prima di risalire sul cargo,si voltò e guardò l'uomo ancora una volta, poi tirò su il pesante cappuccio e fece un altro cenno ai soldati.
L'uomo sentì un brivido ghiacciato percorrergli tutta la schiena.

Quella sera il telegiornale andò in onda con, tra le altre notizie,il seguente servizio:
"Dopo un lungo inseguimento durato due giorni, l'uomo accusato di essere il responsabile dell'omicidio di otto civili non ancora identificati,nella zona portuale, è stato trovato a circa duemila chilometri da qui, lungo una statale non più molto trafficata.
L'uomo, dopo aver dato alle fiamme il posto, è stato raggiunto dalla vigilanza, ed ha opposto resistenza, aprendo il fuoco contro le forze dell'ordine.Lo scontro si è concluso con la morte del pregiudicato e senza, per fortuna, che i nostri militari abbiano subito perdite o feriti.
Un attento lavoro del reparto investigativo ha accertato che l'uomo fosse in preda a una psicosi depressiva; l'elevato numero di psicofarmaci trovati nel suo appartamento fanno pensare che l'uomo non fosse più mentalemente stabile già da molto tempo.
E' in oltre accusato di aver causato una rissa davanti ad un bar e di aver aggredito, violentato e derubato dell'auto, una signora del suo stesso quartiere.Tutte le accuse sono documentate dal servizio di video sorveglianza ad alta risoluzione della Vigilanza.
Fondamentale per la cattura, sono state anche le tracce dei movimenti bancari del malvivente.
Da anni ormai l'uomo viveva solo e il licenziamento per inadempienza, dell'azienda assicurativa per cui lavorava deve aver fatto scattare la molla della mania omicida nell'individuo,facendo concludere la vicenda nel sangue...ma ora passiamo al meteo...".












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24/07/2008 18:29

Racconto Fantasy
Ecco dopo quasi un anno un'altra storia che mi piacerebbe farvi leggere.
Diciamo che è il seguito di "La Gabbia" che sta qui sempre su questo sito^^.

Spero tanto che vi piaccia.
Buona lettura!

Rapporto Pellican


“...E così ho detto al responsabile: Provi a compilare un modulo 748 e poi mi faccia sapere!”-Disse Thomas alzando il boccale di birra scura e prendendone un gran sorso.Tutti i presenti al tavolo risero per quella battuta, anzi, non proprio tutti.
Isaac guardava l'amico con una espressione perplessa accennando un mezzo sorriso di circostanza, ma era palese che non ne avesse capito il senso.
-”Per l'amor del cielo Isaac!Non mi dire che dopo quattro anni che lavori con noi, non sai ancora che cosa sia un modulo 748!”-Esclamò Thomas con voce beffarda.
L'uomo abbassò lo sguardo, bevve e poi disse senza alzare gli occhi:-”Te l'ho detto mille volte Thomas, io di tutte queste pratiche non ci capisco nulla, faccio sempre e solo le solite due o tre cose in ufficio e mi va più che bene così!”-
-”E così sia!”-Aggiunse Thomas levando il boccale in aria e brindando rumorosamente con i colleghi.
Il sabato sera trascorreva tranquillo, tra fiumi di birra, brindisi e battute sconce, tra amici e colleghi, al solito bar vicino al molo.
-”Ragazzi è giunto per me il momento di ritirarmi nelle mie stanze, altrimenti Elisabeth si arrabbia sul serio sta volta!”-Disse Isaac alzandosi dalla sedia e barcollando leggermente.
-”Noo non ci puoi lasciare proprio ora, la mezzanotte è scoccata da pochissimo!Resta ancora un po' dai!”-Disse uno dei colleghi di lavoro.
-”No davvero non posso, non conoscete Elisabeth, se mi vede tornare a casa in questo stato è capace di rompermi qualche osso e di lasciarmi sul divano per tutta la notte!”-Rispose Isaac, senza però aver ben capito a chi del tavolo dovesse rivolgere lo sguardo.
-”Puoi dirlo forte!”-Aggiunse Thomas-”Quella donna si tiene sempre dannatamente in forma e ha davvero un bel caratterino!Senza offesa, ovviamente Isaac!2-
-”No no, nessuna offesa!L'unico a rischiare di rimanere seriamente offeso sono io, se non mi muovo a tornare all'ovile!Signori vi saluto!”-Fece un cenno con la mano a tutti i presenti e si avviò verso il bancone per andare a pagare.
Thomas si alzò e lo seguì.
-”Senti un po' Isaac ce la fai a tornare a casa tutto intero?”-Gli chiese l'amico.
-”Si si, sta tranquillo una bella boccata d'aria fresca e torno come nuovo!”-Ribbattè l'altro.
-”Ok, allora buona boccata d'aria....E ricordati che lunedì mattina il capo della tua sezione amministrativa alla Ediltech vuole parlarti in privato; mi raccomando cerca di non fare stupidaggini e fa vedere che quando vuoi sai essere professionale!”-
-”Tu ti preoccupi troppo Thomas!Non sono bravo come te nelle scartoffie ma il mio lavoro, amico mio, lo so fare bene!”-Disse Isaac poggiando una mano sulla spalla dell'amico.
Per un istante Thomas credette che il ragazzo stesse parlando di qualcos'altro, ma poi pensò che fosse l'alcool che gli scorreva nelle vene a fargli fare discorsi strani.
-”Allora buona notte amico mio, ci vediamo lunedì in ufficio!”-Disse Thomas ricambiando la pacca sulla spalla.
-”Ok, a lunedi, ora pago e vado via altrimenti il caposezione sarà l'ultimo dei miei problemi!”-Esclamò sorridente Isaac.
Si diresse poi un po' incerto verso il bancone, passò la carta dei crediti sul ricevitore e dopo aver ultimato la transazione salutò di nuovo tutti e se ne andò.

Era una bella serata di inizio estate, il caldo del giorno aveva lasciato il posto a una leggera brezza notturna che spirava dal molo; le strade umide e salmastre che riflettevano lievemente le luci degli altissimi palazzi sovrastanti e il silenzio circostante, davano all'ambiente un ché di surreale.
L'uomo fece un profondo respiro e si avviò verso il proprio veicolo parcheggiato dall'altra parte della strada.
Una volta salito lo avviò e prima di partire usò la microcamera interna dell'abitacolo per darsi un'aggiustata alla giacca e al vestito un po' sgualciti dai troppi brindisi.
I capelli corti e castani erano tutti spettinati e lo sguardo di solito sicuro e penetrante, ora sembrava languido e vago.
-”Accidenti!”-Pensò fra sé e sé.-”Così conciato mi scoprirà subito e si arrabbierà tantissimo!”-
Si diede due schiaffetti sul volto, poi impostò sul navigatore la via di casa, scegliendo però un percorso un po' più lungo, per potersi riprendere dalla sbornia.
Abbassò tutti i vetri della macchina e poi partì.

Il motore elettrico dell'utilitaria sibilava appena, mentre Isaac percorreva un lungo vialone sgombro, con il vento che lo spettinava leggermente.
Mi ci voleva proprio!-rimuginò.
Poi finalmente imboccò l'ampia entrata del parcheggio sotterraneo e dopo aver parcheggiato, prese il turbo ascensore fino al proprio appartamento.
Percorse silenzioso come un ladro, il corridoio che dall'ascensore portava all'entrata di casa e passò la chiave magnetica sulla serratura.
Entrò di soppiatto senza accendere le luci.
Si svestì e appese gli abiti dentro l'armadio, poi si diresse in bagno, espletò il frutto delle svariate birre bevute poco prima con gli amici e poi fu pronto per scivolare nel lettone accanto a Elisabeth che dormiva come un sasso.
O almeno così sembrava.
-”Era ora!”-Disse la donna,avendo aspettato qualche secondo prima di dire qualcosa, così che lui avesse il tempo di illudersi di averla fatta franca.
-“Quanto hai bevuto questa volta?”-Aggiunse irritata.
-”E dai Ely, lo sai che non bevo molto più di tanto e poi ero con gli amici, non ti arrabbiare!”-Disse l'uomo che poco prima aveva pensato sul serio di avercela fatta.
-”Ely un corno!Quando mi chiami così è perché sai di aver fatto qualcosa che non dovevi fare, quanto hai bevuto?Eh?Rispondi!”-
Ribattè la donna ancora più irritata di prima.
Ma Isaac era quasi in preda al sonno e rispose bofonchiando:-”Non so qualche birra...una .. due ...forse anche quattro o cinque...non di più ti giuro...almeno credo, la prossima volta le conto ok?Ora però lasciami riposare sono staaaaanco...”-
Elisabeth si rigirò nel letto e lo guardò in cagnesco, ma Isaac era già nel mondo dei sogni.
Voleva inveire su di lui, ma aveva una faccia tanto beata che sentì la sua rabbia sbollire all'istante.
Allungò una mano e accarezzò il viso del ragazzo e sorridendo disse:-”Te la cavi sempre così tu!Ti va bene che hai sto visino dolce quando dormi, ma la prossima volta ti spezzerò le costole se ti sbronzi di nuovo!”-
Poi la mano scivolò lentamente sul fisico tonico di lui e si fermò sul gluteo sodo a indugiare un po'.
Poi anche lei cedette al sonno e si addormentò.

Verso le tre di notte una musichetta melodica riecheggiava nell'appartamento, emettendo allo stesso tempo una vibrazione ritmica.
Isaac aprì gli occhi ma parve, in un primo momento non capire bene cosa fosse quel suono.
Poi, svegliandosi completamente, capii che era il proprio palmare, lasciato nella tasca della giacca, appeso nell'armadio a muro accanto al letto.
Scattò in piedi e prese l'aggeggio in mano.
-”Pronto?”-Disse con tono fermo.
-”Scusa sono Michelle sei Paul?”-Rispose una voce femminile molto graziosa dall'altro capo dell'apparecchio, diffondendosi in tutta la stanza ferma.
Il volto del ragazzo si fece scuro, serio e teso.
Con voce ancora più dura e impostata rispose: -”No mi spiace ha sbagliato numero”-.
La ragazza si scusò e chiuse la comunicazione senza aggiugere altro.
Elisabeth si era seduta nel letto e aveva sentito tutto.
Le gambe ben tornite e atletiche erano leggermente piegate, circondate dalle sue esili ma toniche braccia e le ginocchia sorreggevano il peso la testa.
Guardava nel vuoto della stanza con aria assente.
-”Chi era?”- Sospirò.
-”Una donna che aveva sbagliato numero”- Rispose pronto Isaac.
Ma l'aria nella stanza si era fatta tesa.
-”Isaac chi era al palmare?Non puoi raccontarmi sempre la solita bugia ogni volta...non sono stupida...”-Continuò la donna che ancora non riusciva a guardare negli occhi il ragazzo.
Lui non disse nulla e iniziò a preparare uno zaino da escursioni.
Poi si recò in cucina, sembrava quasi non essere più lo stesso, tutto a un tratto si era trasformato in una specie di automa, che con meticolosità e precisione si presta a compiere il proprio lavoro.
-”Ora te ne vai vero?”-Nessuna risposta.
-”Perché prepari lo zaino?”-Nessuna risposta.
-”Isaac per Dio sto parlando con te!Chi era quella donna?Perché ricevi chiamate strane ad ogni ora del giorno e della notte?Perché mi lasci sempre sola senza mai dirmi dove vai?”-
La voce si interruppe e delle lente lacrime iniziarono a scendere sulle guance di lei, che si mordeva il labbro e si malediceva da sola, perché avrebbe voluto spaccargli la faccia invece di mettersi a piangere.
Tirò su col naso, si mosse da quella posizione statica e si asciugò le lacrime.
Poi ondeggiando con la testa disse:-”Hai un altra vero?”-
-”Non dire stupidaggini!”- Rispose finalmente Isaac, che sembrava non aver dato minimamente peso ai discorsi di Elisabeth fino a quel momento.
La ragazza ebbe un sussulto, la sua voce era energica pur rimanendo con un tono normale.
Il ragazzo finì di preparare le ultime cose, prese dei viveri dal frigo che non mancavano mai e dopo aver riposto nello zaino anche due borracce piene d'acqua, lo chiuse con forza.
Poi aprì l'armadio e si vestì casual: scarpe da ginnastica alte, una camicia a maniche corte e un jeans.
Si mise lo zaino in spalla e si fermò qualche secondo in piedi, al centro della stanza, guardando la ragazza.
La donna non aveva ancora alzato il capo e i suoi riccioli castano ramato per quanto fossero abbastanza corti le coprivano il viso.
-”Elisabeth vado a farmi un giro.Non so quando torno, non mi aspettare.”- Disse lui.
Ma la ragazza non rispose, aveva di nuovo il capo poggiato sulle ginocchia senza nemmeno più piangere.
-”Elisabeth guardami!”-Tuonò il ragazzo.
Lei ebbe un sussulto ancora una volta, poi lentamente, quasi impaurita guardò Isaac.
Lo sguardo di lui sembrava penetrare i suoi più intimi pensieri, quasi emanavano una luce propria, spesso ci si era persa nei suoi occhi e lo sapeva; infatti evitava di fissarlo, soprattutto in quei momenti.
Poi tutto a un tratto si addolcì, si fece comprensivo e accennando un mezzo sorriso le disse:-”Tesoro non c'è nessuna donna, solo che mi hanno svegliato e ora non riesco a dormire, vado solo a farmi un giro, ti prometto che torno presto!”-
La donna non disse nulla, ma il ragazzo sapeva che aveva capito.
Poi si diresse con passo sicuro verso la porta, la aprì manualmente e fermatosi un istante sull'uscio disse:-”Ciao!Ci vediamo più tardi!”-
Elisabeth lo guardò ancora una volta e disse con voce rotta: -”Quando torni potresti non trovarmi più...”-
-“Capisco...”-Disse lui guardando a terra e se ne andò chiudendo la porta alle sue spalle.

Prese il palmare dalla giacca e mentre scendeva col turbo ascensore ne estrasse la batteria, poi lo ripose nella tasca posteriore del pantalone.
L'appartamento dei due si trovava nella zona sud della mega città, non tanto lontano dal centro.
Uscì dall'altissimo grattacielo e si diresse a piedi verso ovest.
Erano le quattro del mattino.
Camminava rapido tra le strade, sembrava entrato in uno stato di percezione alterato.
Si guardava costantemente attorno, attraversava gli ampi stradoni senza guardare, tutto come se stesse cercando qualcuno o qualcosa.
Dopo un'ora aveva già percorso più di cinque chilometri.
Riprese il palmare della tasca e con un gesto rapido e deciso della mano, lo spezzò in due.
Qualche frammento del cristallo che faceva da ampio schermo, cadde a terra, producendo un caratteristico tintinnio di piccoli vetri rotti, il resto lo buttò nel cestino più vicino.
Poi cambiò d'un tratto direzione, come fanno gli squali quando sono a caccia.
Salì in un palazzo lì vicino e prese la monorotaia che faceva una fermata al suo interno, a circa il trentesimo piano, dove c'era un centro commerciale aperto ventiquattro ore su ventiquattro.
Ora si dirigeva verso la zona nord, descrivendo un'ampia curva, cioè senza passare per il centro città.
Quando fu a nord evitò la zona malfamata e prese un taxi per raggiungere il servizio pubblico più vicino della zona nord est.
Ormai erano ore che camminava e si spostava da un luogo all'altro apparentemente senza meta.
Alle otto meno dieci si trovò ai piedi di un grattacielo ad ovest della parte centrale della città.
In quel posto i palazzi erano addirittura più grandi e più alti di quelli delle altre zone.
Di norma sono abitati dalle persone facoltose, ereditari e persone dai ceti sociali e dal rango elevato.
Entrò senza farsi notare nell'enorme agglomerato urbano e prese il turbo ascensore.
Scese di cinque piani, e si trovò nell'immenso garage; quando l'ascensore si fermò, tirò fuori da una sacca nascosta, una piccola chiave metallica la infilò nella serratura posta sotto i tasti e la girò.
Era la chiave che di solito veniva usata dagli addetti ai lavori della manutenzione.
Scese ulteriormente di non si sa quanto.
Quando le porte si aprirono avanti a lui c'era un enorme corridoio, video sorvegliato.
Era un lungo e largo tunnel di sezione quadrata, alto una decina di metri, fatto di cemento liscio: dei tubi lo percorrevano per l'intera lunghezza e si diramava di tanto in tanto in altri corridoi formando una rete precisa di ampi cunicoli.
Per terra, a lato, vi erano tracciate svariate strisce colorate, che correvano lungo il cemento.
Ognuna di esse portava a una sezione specifica di quel luogo immenso: un modo molto semplice per non smarrire la strada tra una traversa e l'altra, tutte molto simili tra loro.
Seguì la riga gialla fino ad arrivare alla seconda sezione.
Un grosso portone color arancione simile a quelli degli hangar degli aeroplani si stagliava pesante davanti il ragazzo.
Sopra vi erano pitturati di bianco due enormi segni: S2.


Nell'angolo in basso a destra dell'entrata vi era, fissato nel muro, un tastierino alfanumerico, uno scanner di impronte digitali e uno scanner ottico.
Isaac posò la borsa a terra, inserì un codice a dodici cifre, mise la mano sullo scanner e avvicinò il volto all'apparecchiatura per facilitare l'operazione di controllo della retina; il tutto con fare disinvolto e molto naturale.

Si sentì un rumore di pistoni pneumatici provenire da dentro le lamiere, poi le due porte si aprirono scorrendo orizzontalmente e si bloccarono quel tanto che bastava per permettere al ragazzo di entrare.
Appena fu dentro, i pistoni si mossero ancora una volta per chiudere l'entrata.
Nello stanzone c'era un po' di tutto: sembrava un'officina meccanica mista a una infermeria.
C'erano monitor di computer, congegni strani, lettini ospedalieri e qua e là qualche arma smontata e parti di aeromobili.
Un signore di mezza età lo stava attendendo seduto a una scrivania, illuminato solo dalla luce tenue di una lampada e dallo schermo del computer a cui stava lavorando.
Nonostante l'ambiente fosse prettamente di stampo tecnologico-militare, l'uomo indossava una lunga tunica bianca, con tanto di cappuccio, finemente lavorata con tanto di paramenti blu cesellati di strani simboli.
-”Oh bene!Le otto precise, puntuale come sempre!”- disse sorridendo il signore.
Cliccò un paio di volte sullo schermo con il mouse per chiudere delle cartelle, poi si alzò e con le mani giunte dietro la schiena raggiunse Isaac.
Il ragazzo si irrigidì sull'attenti e disse: Agente speciale Ioria a rapporto signore!In cosa posso esserle utile?
L'uomo rispose al saluto, poi fece cenno di seguirlo nella stanzetta attigua.
Lì vi erano una trentina di sedie con poggia libri, disposte in cinque file da sei, tutte rivolte verso un monitor grande quanto la parete con altre cinque sedie a lato.
Ioria si sedette in prima fila mentre il superiore avviava il programma e accendeva lo schermo.
Sul video apparvero delle immagini, grafici, la foto di un signore distinto e svariati scatti fatti dal satellite.
Una volta avviato tutto e guardato il monitor l'uomo si aggiustò gli occhiali squadrati sul naso, si schiarì la voce e prese un respiro profondo.
Questi suoi piccoli gesti lasciavano trasparire un sottile stato ansioso.
-”Bene Agente Speciale Ioria, l'abbiamo convocata qui perchè data la sua esperienza e abilità, la riteniamo idoneo a questa missione.
Deve sapere che da cinque anni abbiamo perso i contatti con uno dei nostri più stimati ricercatori: il dottor Albert Yaara.
Svolgeva le proprie ricerche in un maniero isolato, circondato da una fitta boscaglia nella zona di Asea a circa millecinquecento chilometri a est della mega città.
Purtroppo, dato l'elevato livello di segretezza delle ricerche svolte all'interno della struttura, non ci è stato possibile sapere prima delle cessate comunicazioni con la base.
Le foto scattate dal satellite hanno rilevato delle anomalie presenti in varie zone, entro 15 chilometri dal maniero; in particolare la zona centrale della struttura pare che sia pesantemente irradiata.
Ahimè crediamo che tali anomalie siano dovute all'A.D.A.M.”-L'uomo fece una pausa.
Ioria rimase un po' sorpreso nel sapere che ci potessero essere tali anomalie in una zona così ampia.
-”Signore...”-disse il ragazzo, ma venne interrotto quasi subito.
-”La prego Ioria mi chiami Kalimshi...comunque so già cosa mi sta per chiedere.Le dico subito che anche noi ci troviamo per la prima volta di fronte a una cosa del genere su scala così ampia.
Ma veniamo al dunque.
Ecco la sua missione:
Recarsi sul posto immediatamente, prelevare campioni dalla fauna locale e indagare sulle suddette anomalie e accertarne la causa.
Sarà necessario inoltre addentrarsi nella struttura e accertarsi dello stato di salute del dottor Yaara e dei suoi 25 collaboratori.
Ha la più completa libertà di azione.
Una volta entrato nella zona dovrà tenere il più rigoroso silenzio radio.
Una volta acquisiti gli obiettivi, uscirà dalla zona interdetta e ci manderà un singolo impulso, poi potrà tornare qui a fare rapporto.
Questo è quanto, le ricordo la massima prudenza e di stare sempre all'erta...”-
Kalimshi si aggiustò di nuovo gli occhiali sul naso, poi facendo un gesto con la mano aggiunse: -”Ora mi segua di là: per questa missione ha l'autorizzazione a portare con se equipaggiamento di classe S!”-
Il ragazzo era sbigottito, l'equipaggiamento di classe S era quello migliore che si potesse avere.
Questo poteva voler dire solo una cosa: missione ad alto rischio.
Per un attimo pensò a Elisabeth, da sola nel lettone che piangeva; si chiedeva se avesse dovuto salutarla in modo migliore...Ma ormai non c'era più tempo per queste cose e se voleva tornare da lei doveva levarsela dalla mente e concentrarsi solo su quello che doveva fare.

Seguì l'anziano nell'armeria.
Fu dotato di un fucile a ripetizione “coil”, con cinque caricatori da centocinquanta proiettili ciascuno, una coil gun con quattro caricatori da quindici colpi, due granate a frammentazione, due granate di tipo chaff e due granate accecanti.Fu inoltre equipaggiato di una tuta reattiva tecnologicamente avanzata, compresa di placche antiproiettile.
Poi Kalimshi porse al ragazzo un particolare palmare da polso e disse:-”Questo è essenziale per la tua sopravvivenza.E' collegato al kit per il prelievo dei campioni, quindi ti darà una analisi sommaria sui prelievi, ha un sensore di movimento del raggio di quindici metri attorno a te e monitorizza continuamente il tuo stato di salute...se il tuo corpo presentasse i sintomi dell'A.D.A.M questo ti dovrebbe avvertire per tempo.
Inoltre quando sarai sul posto se necessario ti fornirà ulteriori spiegazioni, ma solo in caso estremo.
Dato che la zona è stata dichiarata “No Fly Zone” dal nostro dipartimento, sarai da solo e dovrai atterrare a circa tre chilometri dalla zona interessata.
Ora seguimi per prendere il kit per eseguire le analisi e per l'equipaggiamento di classe S.”-
I due entrarono in un'altra stanza, totalmente diversa dalle altre viste prima.
Poi l'anziano prese un contenitore e lo poggiò su un robusto tavolo di legno, lo aprì verso il ragazzo e disse:
-”Nel caso di incontro con ostili, queste armi non devono assolutamente cadere in mani sbagliate.Nel caso in cui tu debba abbandonarle devi prima distruggerle; questo ha la priorità su tutto, anche sulla tua stessa vita...”-
Il vecchio fece un lungo sospiro, prese le lenti tra le mani e lucidandole con un fazzoletto estratto dalle maniche larghe della tunica aggiunse:-Mi raccomando ragazzo fai attenzione quando le usi e cerca di tornare indietro tutto intero...è un ordine!

Ioria stava ormai volando da poco più di tre ore, a bordo di un velivolo militare monoposto: una specie di elicottero senza pale con due grandi reattori ai lati.
Tutto sommato quella forma poteva ricordare vagamente quella di un mammifero marino.
Era stato addestrato a pilotare quasi ogni tipo di veicolo se necessario, ma in quel caso, le cose erano rese molto più facili grazie al pilota automatico e all'intelligenza artificiale del mezzo militare, molto più avanzata della versione civile.
Atterrò in una piccola radura a circa tre chilometri dalla “No Fly Zone”, proprio come era previsto.
Tutto intorno c'era una fitta vegetazione e il bosco era brulicante di vita.
Si udivano cinguettii e frullii di elitre e si percepiva sulla pelle, la fresca umidità degli alberi, che dominavano la zona con le loro fronde rigogliose.
Estrasse da un vano, lo zaino, le armi e un telone mimetico per coprire il veicolo e renderlo potenzialmente invisibile ad eventuali occhi indiscreti.
Erano circa le 12.00 quando ebbe inizio la missione.
Per prima cosa raccolse campioni di terreno e alcuni piccoli insetti nella zona circostante.
Parte dei prelievi li conservò, un'altra parte venne usata subito per determinare i valori base e fare una taratura degli strumenti e in particolare del rivelatore da polso.
I diagrammi davano tutto nella norma.Si poteva procedere oltre.
Si incamminò dritto verso il maniero, tagliando per la boscaglia fitta, senza cercare eventuali sentieri.
Proseguiva tranquillamente col fucile in spalla, dando una occhiata di tanto in tanto al bracciale.
Il rilevatore di movimento dava saltuariamente qualche leggero “bip”, ma si trattava per lo più di animali selvatici di piccola taglia spaventati dal suo passaggio.
L'andatura era lenta, il percorso era poco praticabile: ovunque c'erano grosse radici nodose di alberi, rocce lamellari lisce, muschi e licheni.
Doveva prestare parecchia attenzione a dove mettesse i piedi e aiutarsi spesso con entrambe le mani per cercare un appiglio sicuro.
Ormai era dentro la zona delle anomalie da circa un chilometro: era venuto il momento di campionare la zona.
Ancora una volta prese qualche particella di terreno, ma non bastava da solo, servivano ulteriori esemplari.
Si mise accanto ad un albero in silenzio, aspettando un verso o un rumore che tradisse la presenza di qualche animale.
Poco dopo fece capolino tra il fogliame un piccolo roditore; la sorte non gli era stata amica.
Ioria estrasse velocemente la coil gun, levò la sicura in un attimo e sparò un colpo che prese il mammifero in pieno, facendolo capitombolare più in la di qualche metro per l'impatto.
-”Mi spiace piccolo amico.”- Bofonchiò rammaricato il ragazzo a bassa voce, quasi bisbigliando.
Raccolse la carcassa e aprì di nuovo il kit per le analisi.
Prese un campione di tessuto, uno di sangue e poi con un particolare aggeggio, doveva prelevare anche del tessuto celebrale.
Si trattava sostanzialmente di un timbro circolare da premere con forza sul cranio della cavia da campionare: un ago perforava la calotta cranica e ne prelevava il poco necessario per le analisi.
Si sedette su una roccia e studiò i nuovi diagrammi.
Il terreno non era contaminato, ma il sangue e i tessuti connettivi del piccolo essere contenevano traccie di anomalie.
Il computer dava un'alta probabilità che si trattasse di A.D.A.M.
-”Dannazione!”-Esclamò il ragazzo.
Non era buon segno.
Era nella zona da poco più di un chilometro e già c'erano i primi probabili sintomi di contaminazione.
Iniziava a chiedersi cosa avrebbe trovato verso l'interno.
Catalogò i campioni e proseguì prestando maggiore attenzione a ciò che lo circondava.
Il verde lussureggiante della zona era uno spettacolo meraviglioso e se non fosse stato per le analisi fatte, non si sarebbe mai accorto che qualcosa in quel luogo non andava per il verso giusto.
“Bip!”.
Poi ancora.
“Bip,Bip,Bip”.
Qualcosa in lento avvicinamento aveva attivato il sensore.
Ioria si fermò e aspettò guardando il bracciale, per vedere da che direzione provenisse.
Ancora un singolo impulso.
Un essere di media taglia si trovava dietro le sue spalle.
Rimase fermo ancora qualche minuto, ma non ricevette più nessun segnale.
Proseguì la marcia, ma si sentiva seguito, come se qualcuno lo stesse osservando a debita distanza.
Di tanto in tanto qualche breve impulso ma poi più nulla.
Questa storia non piaceva troppo al ragazzo.
La marcia rallentò ulteriormente, la vegetazione in quel punto si era fatta più fitta e il terreno era ancora più dissestato.
All'improvviso mise un piede in fallo, scivolò su del viscidume verde cresciuto sopra un sasso e perse l'equilibrio trovandosi carponi per terra.
Non fece in tempo a bestemmiare che il sensore impazzì.
Qualcosa si avvicinava alle sue spalle, ma non riuscì nemmeno a girarsi che fu colpito da qualcosa e finì col ruzzolare giù da un lieve pendio assieme a quell'entità che ancora non distingueva bene.
Lottò senza avere la meglio per qualche minuto con la bestia, vedendone solo artigli e zanne, poi un dolore lancinante al braccio fece reagire il ragazzo che afferrò la pistola dalla fondina legata alla coscia destra e sparò due colpi .L'essere guaii dolorante e si rifugiò sotto le radici esposte di un albero.
Ioria lo teneva sotto tiro con la coil gun, con entrambe le braccia tese in avanti.
Si guardò, per un istante soltanto, il braccio sinistro.
Era tutto a posto, avvertiva solo un po' di dolore causato dall'eccessiva pressione del morso, ma non c'erano ferite di alcun genere: l'armatura aveva svolto egregiamente il suo dovere senza neppure riportare danni.
Si avvicinò piano piano abbassandosi.
Due occhi verdi lo osservavano adirati.
Poi sentì un soffio e vide le zanne bianche contrastare nel buio della cavità dell'arbusto.
La bestia respirava affannata, ma non sembrava darsi per vinta.
All'improvviso balzò in avanti puntando alla gola e tentando di morderlo, ma Ioria lo freddò al volo con tre colpi in piena testa.
L'animale cadde al suolo con un tonfo.
Il ragazzo tirò il fiato, poi gli si avvicinò e si assicurò che fosse deceduto e si apprestò ad osservarla meglio.
Era un felino, molto simile ad una lince, ma con il manto rossiccio simile al colore del terreno circostante.
La sua taglia però era circa tre volte quella naturale ed era inspiegabilmente molto più aggressivo: animali di quel genere raramente attaccano l'uomo.
La analizzò e risultò che non solo il sangue, ma anche la pelle e il tessuto celebrale erano contaminati pesantemente.
Molto probabilmente questo esemplare non era venuto a contatto con le radiazioni ma bensì vi era cresciuto in mezzo, avendo come conseguenza una profonda mutazione genetica.
Ormai erano le 17.45, restavano ancora molte ore di luce, ma facendo un rapido calcolo, pensò che fosse meglio non addentrarsi ulteriormente nella boscaglia e stabilire in quel luogo il campo base per la notte.
Rastrellò la zona per circa 100 metri in ogni direzione, poi si apprestò a montare una tenda sospesa a circa quattro metri da terra, sul grosso ramo di un robusto albero.
Si trattava fondamentalmente di un sacco di tessuto resistente e impermeabile con dei ganci e delle corde.
Montata, assomigliava molto a uno di quei nidi sospesi che alcuni piccoli uccelli fanno durante la stagione degli amori.
Questo lo teneva a riparo dalla maggior parte degli animali che si aggiravano al suolo durante le ore notturne.
Finito di allestire il rifugio, decise di mangiare una razione di cibo.
Preferì non accendere fuochi ne' cucinare nulla; anzi consumò un pasto veloce solo a tenda chiusa, per evitare che l'odore del cibo si diffondesse nell'aria e che potesse destare l'attenzione di chissà quale altra creatura nei paraggi.
Poi controllò l'attrezzatura, revisionò le armi e si dedicò alle analisi dei campioni, per cercare qualche informazione che potrebbe essergli utile a garantirgli la sopravvivenza.
E scese la sera.
Stava ancora piegato sul piccolo monitor, quando buttando uno sguardo fuori dall'apertura e si accorse che qualcosa si muoveva nell'oscurità attorno a lui.
Mise una mano sul polso per coprire la luce emessa dal bracciale e riguardò all'esterno.
Non riuscì a trattenere un verso di stupore nel vedere quel magnifico spettacolo.
Nel buio quasi totale della notte centinaia di migliaia di lucciole danzavano pulsando nell'aria.
Ma non erano comuni insetti.
Le pulsazioni avevano dei colori stupendi, che variavano dal classico verde, al viola; dal rosa, all'arancio e persino delle tonalità di blu: si trovava di fronte a una nube intermittente di colori.
Avrebbe dovuto campionare anche quegli esemplari; era ovvio che fossero contaminati da A.D.A.M.
Ma pensò che comunque il giorno dopo avrebbe potuto estrarre da altri animali il necessario per le analisi e non voleva rovinare quella meraviglia.
Si accucciò e guardando fuori si addormentò, nonostante non fosse ancora stanco.
Prima di chiudere gli occhi pensò ancora una volta a quello che avrebbe dovuto fare l'indomani mattina, una sorta di scaletta mentale delle mansioni da svolgere, poi via via che il sonno arrivava si fece strada il pensiero della sua ragazza.
-”Chissà come le sarebbe piaciuto questo spettacolo a Elisabeth...”-E gli occhi gli si chiusero.

Ore 04.00 del secondo giorno.
Una vibrazione del polso di Ioria lo avvertiva che era giunto il momento di muoversi.
Aprì gli occhi, si prese un minuto per raccogliere le idee e poi scese dal rifugio.
Si scaldò i muscoli e fece dello stretching per circa cinque minuti.
Poi risalì, chiuse di nuovo tutta la tenda e mangiò un'altra razione.
Non che sentisse davvero fame, ma sapeva che era in territorio ostile e che forse non avrebbe avuto altre occasioni per nutrirsi.
Quindi, meglio farlo finché era in tempo.
Masticò una specie di galletta di pasta, che somigliava a una tavoletta di legno compensato e, a dirla tutta, non ne aveva solo l'aspetto ma anche il sapore.Ma faceva funzionare i muscoli, nutriva il corpo e non richiedeva di essere cucinato; quindi andava più che bene.
Poi iniziò a togliere le tende, nel vero senso della parola.
Un paio di bestemmie al momento giusto aiutarono a sbloccare i ganci in acciaio, che si erano incastrati nella corteccia del ramo a cui erano fissate poco prima e poi fu di nuovo pronto per proseguire la missione.
Il sole sarebbe sorto di lì a poco.
Aspettò le prime luci dell'alba, intorno alle cinque e venti del mattino, poi estrasse la pistola e proseguì tenendola in mano.
Questo lo impacciava ulteriormente, ma era meglio essere prudenti visto l'incontro del giorno precedente.

L'aria si era fatta più densa e pesante e dalla terra si levavano sottili banchi di nebbia.
Nonostante il sole fosse ormai già alto non si riusciva ad intravvederlo tra le alte e fitte fronde.
La foschia bassa che lo circondava rendeva il paesaggio un po' spettrale.
Non si rese conto quando l'atmosfera attorno a lui fosse cambiata.
Prese delle particelle di terreno e le studiò per qualche minuto.
Anche lì le radiazioni si erano fatte pesanti e non lasciavano scampo al dubbio.
Ma notò che in giro mancavano animali per prendere altri campioni.
Anzi, non si sentivano più gli uccelli e nemmeno si vedevano insetti.
Tutto taceva.
Per sicurezza fece analizzare la composizione dell'aria dal sensore, onde evitare che eventuali esalazioni tossiche inodore potessero aver sterminato la fauna locale.
Ma lo scanner dava solo un'alta percentuale di umidità e nulla più.
Decise, pertanto, di andare avanti.
Camminava in quella zona morta da circa un chilometro; era passato mezzogiorno e decise di fare una sosta, sedendosi su di un masso, accanto ad un albero.
Ioria stava mentalmente formulando alcune ipotesi su come mai non ci fosse nulla di vivo attorno a lui a parte le piante, ma non veniva a capo della cosa.
Poi mentre stava per rimettersi in viaggio, un odore gli saltò al naso.
Sentiva puzza di marcio.
Ma non vedeva nulla fuori dal comune.
Così ebbe l'idea di far analizzare di nuovo l'aria al sensore e di avvertirlo qualora le particelle di carne morta aumentassero di intensità.
In pratica faceva annusare l'aria allo scanner per trovare l'eventuale carcassa; proprio come se fosse un segugio, ma in versione tecnologica.
Girovagò per la zona senza seguire più una linea retta.
Sembrò trovare una concentrazione più elevata di particelle vicino a una piccola grotta accanto a un grosso albero ritorto.
Il bracciale non serviva più; lì la puzza era dannatamente forte.
Il ragazzo ringraziò il cielo di aver mangiato molte ore prima e pensò che a quel maledetto odore di morto non ci avrebbe mai potuto fare l'abitudine: gli avrebbe sempre provocato un gran senso di nausea.
Sentiva chiaramente che il cadavere era li vicino, ma non lo vedeva.
Tutto faceva pensare che la carcassa di qualche animale stesse marcendo in fondo alla piccola grotta.
Fece per entrare quando qualcosa catturò la sua attenzione.
Da un alto ramo del grosso albero accanto a lui pendeva quello che sembrava un lembo di stoffa bianco.
Prese dallo zaino la corda con rampino e dopo due tentativi riuscì ad agganciare il tronco abbastanza in alto da poter andare su ad investigare.
Puntava i piedi sul grande albero mentre saliva, quando fece caso ad un altro particolare che non aveva notato prima.
Pensò ironicamente: -”Questo posto è pieno di sorprese!”-Sorridendo sommessamente.
Ma c'era davvero poco di cui stare allegri.
Sul tronco c'erano le traccie di artigli di grosse proporzioni: a spanne si direbbero persino maggiori di quelle di una tigre.
Arrivò in cima al ramo e vi si sedette a cavalcioni, poi piano piano si avvicinò a quello che rimaneva dei resti di una carcassa.
Osservò il cadavere di quello che doveva essere uno dei ricercatori del maniero.
Il poverino era stato completamente dilaniato nelle carni e successivamente doveva anche essere stato mangiato in parte.
Non c'era l'ombra di un insetto e le spoglie, stavano macerando all'aria aperta da chissà quanto tempo.
Su quello che rimaneva del camice da laboratorio trovò un badge, con la foto di un uomo magrolino, con gli occhiali e i capelli corti: il nome era illeggibile, si poteva solo vedere il numero di codice.
Prese nota e lasciò tutto li.
Scese dall'albero e dopo aver riposto il rampino nello zaino levò la sicura dal fucile e lo imbracciò.
Non era sicuro andare a ispezionare la grotta: in uno spazio così stretto se un animale lo avesse attaccato non avrebbe avuto scampo e sarebbe stato in trappola.
Era meglio lasciare la zona.
“Bip!”.
-”Merda!”-Esclamò il ragazzo che si mise in posizione di fuoco, con le spalle attaccate ad un albero, cercando tra il fogliame un nemico da colpire.
“Bip!”.
Ma non si vedeva nulla ancora.
L'adrenalina iniziava a salire e Ioria iniziò ad ansimare vistosamente, continuando a girarsi di scatto in ogni direzione.
Il sensore dava movimento ma in zone continuamente differenti.
Qualcosa si stava muovendo velocemente attorno a lui.
Doveva cercare una posizione favorevole da cui poter vedere cosa lo stava seguendo.
Si spostò a zig zag tra gli alberi correndo per brevi distanze e poggiando sempre le spalle contro i tronchi degli alberi.
Ma qualcosa continuava a seguirlo.
Finalmente dopo qualche minuto, riuscì a intravedere una piccola radura, uno piccolo spiazzo privo di arbusti.
Lì sarebbe riuscito a vedere se qualcosa lo avesse attaccato, ma non c'era nulla dietro cui ripararsi.
Corse comunque il rischio e si avviò verso lo spiazzo.
Ma quel qualcosa evidentemente si accorse dell'intenzione del ragazzo e strinse il cerchio attorno a lui cercando di tenerlo fermo.
Il fogliame ora si muoveva qua e là e una grossa ombra nera spariva fulminea dietro di esso.
-”Bastardo...”-Uscì dai denti stretti dell'agente speciale.
-”Mi sta braccando, aspetta solo un mio momento di distrazione...”-Pensò.
Si piegò leggermente sulle ginocchia afferrò un sasso e aspettò che si muovesse qualche altro cespuglio.
Un fruscio alla sua destra.
Ioria scagliò il sasso alla sua sinistra, questo sembrò, per un attimo,cogliere di sorpresa l'inseguitore, giusto il tempo per lui, di guadagnare con uno scatto fulmineo la radura.
Ora stava in ginocchio col fucile puntato, nel mezzo dello spiazzo.
-”Avanti bastardo fatti vedere...esci fuori...”-disse a bassa voce.
Un lungo e grave ringhio uscì da dietro un albero sulla destra, sul margine della radura.
Con passo fiero e pesante l'essere si mostrò a lui, in segno di sfida.
Uscì dalla vegetazione un enorme felino.
Sembrava una tigre ma era molto più massiccio.
Il manto fulvo con grandi striature nere.
Procedeva lentamente verso il ragazzo in tutta la sua possanza.
Guardava fisso con i suoi profondi occhi color arancio.
Il ragazzo rimase basito, quella belva era indescrivibilmente grossa e incuteva timore.
Ora capiva perché nella zona non volava più nemmeno una mosca.
Lo sguardo era intelligente, era una cosa fuori dal comune; sembrava che potesse sentire i suoi pensieri.
I due si studiarono.
La tigre prese a girargli attorno senza mai perderlo di vista.
Era una lotta: i due gladiatori aspettavano solo il momento in cui qualcosa avrebbe dato il via alla battaglia.
Ioria lentamente fece scivolare la levetta del fucile da colpo singolo, su raffica di tre colpi; poi ancora su raffica continua, anche lui senza mai perdere di vista l'animale.
Poi la belva si fermò.
Ruggì.
Un fragore assordante tuonò nella radura.
Stordì il ragazzo che fu preso dal panico e dallo sgomento per alcuni lunghissimi istanti.
Non ebbe il tempo di reagire che gli fu addosso.
Partì una raffica a vuoto.
Ora stava alle sue spalle.
Il braccio del ragazzo sanguinava copiosamente, ma l'adrenalina non gli faceva percepire alcun dolore.Se non avesse avuto le protezioni avrebbe perso il braccio con una sola zampata.
Si alzò in piedi e si tolse lo zaino dalla spalla.
Si girò e guardò fisso la fiera negli occhi.
Poi puntò il fucile.
L'animale ruggì ancora e balzò verso il ragazzo, che in pochi attimi gli scaricò l'intero caricatore nel ventre.
La tigre atterrò sulle zampe, si girò verso la preda e vomitò del sangue: ma non era ancora finita.
Nei suoi occhi vedeva ancora bruciare lo spirito.
Molto lentamente prese un caricatore dalla cintura dietro la schiena, ma aspettò a rilasciare quello vuoto e sostituirlo.
Dall'addome dell'animale colava copioso il plasma rosso scuro: sembrava non finire mai.
La tigre si lanciò di nuovo all'attacco, il ragazzo fece slittare a terra il caricatore vuoto, si lanciò a lato e mentre rotolava a terra lo sostituì con quello nuovo.Scaricò di nuovo l'arma verso il fianco della belva che cadde a terra lanciando un verso di dolore.
Il ragazzo sostituì ancora le munizioni e si avvicinò all'esemplare.
Era piena di sangue e ansimava affannosamente, producendo rantoli e gorgolii.Stava soffrendo.
Ioria gli puntò sulla testa la canna per porre fine a quel travaglio.
Ma la bestia scattò di nuovo lo urtò violentemente e lo buttò a terra.
Le enormi fauci erano tenute a distanza di pochi centimetri dal volto del ragazzo, dal fucile messo di traverso, che veniva masticato dagli enormi canini affilati come rasoi.
Il peso dell'animale bloccava il respiro di Ioria, che ormai temeva il peggio: era troppo debole e i suoi muscoli stavano per cedere alla fatica.
Ma gli occhi della tigre andavano via via spegnendosi e con essa la sua combattività.
Poco dopo la sua vita si spense serrando le potenti mascelle dentro il fucile.
Ioria svenne per qualche minuto.
Quando si riprese stava ancora sotto la pesante carcassa.
Raccolse le forze, si trascinò fuori dalla pozza di sangue e si sedette a medicarsi.
Aveva bisogno di un dottore, il kit di pronto soccorso non bastava a fermare l'emorragia e a curare le costole che si era rotto nell'impatto.
Si medicò come poté, poi prese di nuovo il kit e analizzò l'animale.
I diagrammi erano impazziti, le anomalie nel sangue e nel tessuto celebrale erano ormai fuori scala, e mancavano ancora cinque chilometri al maniero.
Una vibrazione del bracciale avvertiva che le sue funzioni vitali stavano calando sotto la norma e che era necessario l'intervento di un dottore.
Trasferì i dati del kit al palmare da polso e si avviò in automatico la procedura di emergenza.
Una calda voce di donna chiedeva una conferma dell'impronta vocale del soldato, nome e grado.
-”Agente Speciale Ioria, numero di identificazione 326”-Disse il ragazzo con notevole affanno.
Si sentì un suono di conferma e poi la voce continuò:-”Codice e impronta vocale confermati: registrazione in fase di avvio.”-Poi un'altra voce maschile continuò:-”E' stato riscontrato un valore delle anomalie oltre la soglia di guardia.Pertanto è ufficialmente autorizzato a usare l'equipaggiamento di classe S onde evitare il fallimento della missione.
Nuovi dati sono ora disponibili:quando lo riterrà necessario potrà consultarli.Le ricordiamo che usando tale equipaggiamento sarà soggetto all'Assuefazione Da Artefatto Magico, più comunemente chiamato A.D.A.M.
La preghiamo di non abusarne e non superare la soglia temporale di utilizzo consigliata.
Fine messaggio.”-
Un altro suono fece capire che era terminata la registrazione.
Ioria prese dallo zaino la confezione che l'anziano con gli occhiali gli aveva dato dopo essere stato nell'armeria e rimosse il sigillo di ferro che la teneva chiusa.
Al suo interno vi erano due pugnali, una maschera, un corpetto e delle boccette.
Il sensore segnalava l'incombere di uno stato critico nel fisico del ragazzo e che erano necessarie cure immediate.
Prese la boccettina dal contenitore e la osservò.
Era una piccola fiala di cristallo finemente lavorata piena di un fluido di colore rosso intenso, quasi rubino; al suo interno ci sarà stato tanto liquido quanto un bicchiere da tavola.
Ne bevve un sorso e versò il resto sulla ferita, poi perse di nuovo i sensi.
Quando si svegliò erano passate diverse ore.
Si tirò su e guardò la ferita: era quasi completamente guarita.
Non sentiva più nemmeno dolore al petto e sembrava aver riacquistato le energie.
Avvertiva però insensibilità al braccio: gli esperti del settore dicevano che era un disturbo psicosomatico e che in realtà il danno veniva riparato totalmente entro poche ore dalla somministrazione della pozione.
In pratica il trauma del dolore procurato dalla ferita permaneva più della ferita stessa.
Ogni volta si meravigliava delle prodezze di quella sapienza perduta.
Il liquido era una specie di catalizzatore cellulare: stimolava oltre misura la rigenerazione dei tessuti e le cicatrizzazioni.
Funzionava soprattutto per le ferite da taglio e le fratture ossee.
Ora poteva prestare maggiore attenzione al nuovo armamentario disponibile.
C'erano due pugnali, identici; l'impugnatura era ergonomica, rivestita di cordura antiscivolo, poi proseguiva nella lama senza interruzioni, in un pezzo unico.
Il metallo correva sinuoso descrivendo una specie di esse allungata con la punta più spessa.
Su tutta la lama c'erano incisioni e simboli non traducibili, ed era affilatissima.
Dall'impugnatura pendeva una cordicella con un piccolo glifo in metallo, anche questo inscritto in qualche lingua strana.
La maschera era composta da tre parti: la parte anteriore era sostanzialmente un guscio di metallo duro, ma tuttavia abbastanza leggero, di uno strano colore violaceo, con sei fori circolari. attaccati con delle borchie c'erano due lembi di pelle che partivano larghi e terminavano più sottili per poter essere legati saldamente alla testa.
Anche da questo oggetto pendeva un glifo identico a quelli dei pugnali e dell'armatura.
Il corpetto era fatto di tessuto e pelle molto flessibili: anche questo finemente lavorato, con sulle spalle due piccole placche con delle rune incise sopra.
-”Fantastico!”-Esclamò entusiasta Ioria.-”Ora si che iniziamo a ragionare!”-
Effettivamente l'equipaggiamento di classe A ormai era andato perduto, gli era rimasta solo la pistola: la tuta era stata trifolata per metà e il fucile masticato come una gomma e reso inservibile.
Raccolse i brandelli di tessuto della tuta da terra e recuperò il fucile dalla bocca della tigre.
Questo richiese uno sforzo maggiore di quello che pensasse.
Dovette addirittura recidere la gengiva dell'animale ed estrarre tutto il canino dalla bocca dell'animale, talmente era incastrato nel metallo dell'arma.
Pensò che non avrebbe avuto scampo se fosse stato al suo posto.
Dopo aver recuperato tutto si allontanò il più possibile da quel luogo e cercò di nuovo un altro albero su cui montare il rifugio.

Diede uno sguardo veloce alla zona circostante e quando fu sicuro che non ci fossero entità ostili, si sedette comodo nella tenda e avviò l'approfondimento della missione sul palmare.
I primi erano dati tecnici sulla struttura del maniero.
Tutto alquanto noioso, se non fosse che visto l'elevato standard delle ricerche che si svolgevano, si aspettava almeno che ci fossero dei piani nascosti sotto la struttura, cosa che invece sembrava non essere.
Era un grosso casolare che come unica stranezza aveva la dislocazione: nel bel mezzo di una fitta boscaglia.
Fece scorrere le pagine fino ad arrivare alla descrizione degli armamenti supplementari.
Più leggeva le particolarità dell'equipaggiamento, più il suo viso sembrava assumere un'espressione sorpresa e compiaciuta, fino poi a sbottare in un spontaneo:-”Cazzo che roba!Certo che questa gente sa proprio come divertirsi!”-
Sfogliò ancora il testo multimediale del rapporto, fino ad arrivare al file sul dottore che dirigeva le ricerche.
Pare che più della metà della vita di quest'uomo fosse protetto dalla massima riservatezza.
Quello che rimaneva da leggere su questa persona avvolta dal mistero erano solo i brandelli di una triste storia.
La moglie a cui era molto affezionato morì diciassette anni fa per una grave e rara malattia genetica.
Lasciò al marito un figlio di nome Elil.
Fin da piccolo Elil seguì la strada del padre nelle proprie “ricerche”, dimostrando un elevato talento per le arti comunemente chiamate “magiche” dai profani del genere.
Purtroppo con l'arrivo dei suoi dodici anni, anche il giovane sviluppò la stessa malattia genetica della madre e iniziò un lento ma inesorabile declino.
Il file conclude dicendo che il dottor Albert Yaara si rifugiò poi in questo maniero per continuare le sue ricerche e trovare una cura “alternativa” ed efficace per la malattia del figlio.
Fece enormi progressi grazie anche al preparatissimo staff che si portò con se.
Poi però si sono persi i contatti.
L'ultima comunicazione risale a cinque anni fa: si faceva espressamente richiesta di non spedire ulteriori rifornimenti fino a che non fossero stati terminati gli esperimenti che si stavano apprestando a compiere.
Da quel giorno non si seppe più nulla.
Quali ricerche stessero compiendo rimane sotto segreto.
-”Accidenti...Dottor Albert...quale vaso di Pandora ha tentato di aprire?”-Pensò Ioria tra sé e sé.
Riportò il palmare alla sua funzione ordinaria, poi si mise a guardare l'enorme canino che spuntava ancora da ciò che rimaneva del fucile.
Era davvero enorme, racchiudeva in sé l'essenza di quella possente creatura.Gli sarebbe piaciuto poterlo tenere come ricordo, in segno di rispetto, da guerriero a guerriero
Forse era una visione molto romantica della cosa ma per lui era come se quell'animale avesse voluto fargli un dono.
Tentò in tutti i modi, ma proprio non riuscì a estrarlo dalla lamiera del fucile: ci sarebbero voluti diversi attrezzi e una morsa e non aveva con sé nulla di tutto questo.
Lo ripose nello zaino sconsolato, era davvero un peccato.

Ore 04.00 del terzo giorno.
Il ragazzo era già sveglio e aveva già consumato la prima razione della giornata.
Smontò la tenda e fece stretching come di consueto.
Espletò alcuni bisogni fisiologici accanto ad un albero e poi si prese qualche momento di pausa.
Si sedette nell'erba umida con davanti il nuovo equipaggiamento.
Ora aveva le ore contate per finire la missione.
Una volta indossate le nuove protezioni sarebbe stato costantemente sotto un influsso magico e questo lo avrebbe esposto alla sindrome da assuefazione.
Era un termine un po' vago a dire il vero.
Persino gli esperti non sapevano cosa comportasse un'elevata esposizione a tale influsso.
Dipendeva da soggetto a soggetto.
Ad alcuni i primi sintomi si manifestavano dopo poche ore ad altri dopo giorni o mesi.
E poi anche i suddetti sintomi erano molto differenti tra loro.
Nel caso degli animali di norma ne aumentava le caratteristiche fisiche peculiari e l'aggressività; negli uomini col tempo poteva persino portare alla pazzia o a deformazioni del genoma.
Pare che utilizzare tali risorse esercitando una costante concentrazione, aiutasse a controllare tali disfunzioni.
Ed era quello che Ioria si prestava a fare: concentrarsi.
Incrociò le gambe e iniziò a inspirare lentamente dal naso, poi faceva una pausa e senza fretta espirava dalla bocca.
Sgombrò la testa dai pensieri, continuando la respirazione.
La sua mente ora era calma, i muscoli rilassati.
Era pronto.
Prese la mascherina e ne strappò via il sigillo.
Le incisioni si illuminarono per qualche istante di una luce violacea non molto intensa, poi tornarono normali.
Era il segno che l'oggetto era stato attivato e che ora le sue proprietà paranormali erano in piena funzione.
Lo indossò e lo legò ben saldo.
Era molto comodo e l'aria attraverso i fori scorreva fresca e pulita; avvertiva molti odori che prima non percepiva.
Poi passò al corpetto.
Mentre lo stava per mettere, cadde a terra un pezzo di stoffa piegato su se stesso diverse volte.
Lo aprì e capì subito di che si trattava.
Nel mezzo del tessuto vi era un sigillo composto sostanzialmente da dei simboli runici tracciati dentro vari cerchi concentrici.
Quello sarebbe servito nel caso in cui avesse dovuto abbandonare gli artefatti sul campo e distruggerli.
Senza quel cerchio non sarebbe stato possibile.
Quel glifo avrebbe neutralizzato la magia di cui l'armatura e le armi erano imbevute, rendendole vulnerabili al danno e quindi distruttibili.
Lo richiuse su se stesso, lo legò con un laccetto e lo mise in una tasca del pantalone nero.
Rimosse il piccolo sigillo della maglia e anche qui un effetto luminoso fece risaltare le scritte per qualche momento.
Una volta indossato avvertì una lieve scossa.
Poi fu pervaso da una sensazione di benessere e tonicità.
I suoi movimenti risultavano più rapidi e i muscoli più forti e scattanti.
Poi venne il turno dei pugnali.
Nel file del palmare c'era scritto di non lasciarli uno accanto all'altro durante l'attivazione.
Una volta che ebbe rimosso i sigilli, la lama di uno si splendette di bianco, divenne fredda al tatto e una sottile condensa cominciò a formarsi e a scendere verso il basso, come i ghiaccioli appena tolti dal freezer.
L'altro invece assunse un colore rosso aranciato e iniziò a diventare molto caldo.
Li agganciò ai lati della cintura, mise lo zaino in spalla e partì con nuovo vigore, verso il maniero.

Ora poteva muoversi agilmente tra gli alberi e correre a velocità sostenuta.
Questo faceva provare al ragazzo uno strano senso di libertà che lo portava a sorridere da sotto la maschera.
In pochi minuti percorse l'equivalente di una giornata di cammino in condizioni normali.
Arrivò a un chilometro dal maniero.
La fitta boscaglia gli precludeva ancora la vista, così decise di sfruttare le nuove capacità per salire agilmente su un albero e osservare la zona dall'alto.
Scelse quello più grande che vedeva in zona.
Con la destrezza di un felino, saltò da un ramo all'altro con dei balzi e in poco tempo fu in cima alla pianta.
Finalmente poteva osservare l'obiettivo della missione.
Vedeva le pareti di pietra grigia sfiorare le cime degli alberi non molto distante da lui oramai.
Scese esibendosi in capriole e giravolte e quando fu a pochi metri da terra, perse la presa e cadde al suolo sbattendo il fondo schiena.
Solo grazie al supporto magico non si ruppe il coccige.
Dal dolore non riuscì nemmeno a pensare a una parolaccia abbastanza grande da poter dire, per sfogare la rabbia del momento.
Si diede da solo del coglione e appena il dolore fu passato riprese la marcia, facendo meno lo spavaldo.
Attraversò una zona in cui anche le forme di vita vegetali presentavano anomalie.
Di norma gli arbusti tendono ad avere una elevata soglia di resistenza; ovvero riescono a contenere grandi riserve di magia, prima di mutare la loro forma.
Gli alberi in quella zona presentavano nodosità accentuate, erano ritorti su se stessi, oppure intrecciati come ornamenti.
Altri presentavano fiori dai colori sgargianti o frutti polposi, nonostante non fossero nella stagione giusta.
Raccolse degli esemplari qua e la, ma non li analizzò, ormai era inutile visto che già molti chilometri prima i valori erano risultati fuori scala.


[Modificato da ninmah62 04/11/2008 15:47]
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24/07/2008 22:39

Finalmente fu davanti al maniero.
Era una grande struttura a pianta ottagonale, fatta di grosse pietre rettangolari di diverse tonalità di grigio dai contorni imperfetti.
Il tetto leggermente spiovente era ricoperto di tegole, che un tempo dovevano essere rosse, ma che ormai risultavano varie tonalità di bruno.
Sui lati svettavano a ogni piano grandi finestroni scuri, dal telaio metallico, che terminavano in una punta aguzza lievemente arcuata.
Vista dall'esterno l'abitazione non sembrava presentare danni rilevanti, appariva però molto trascurata.
La vegetazione aveva già incominciato ad inghiottirla: parte delle mura presentavano già folti rampicanti e arbusti, cresciuti velocemente e in maniera anomala, grazie anche all'eccessivo irradiamento da A.D.A.M..
Un grande portone di legno massiccio con delle borchie quadrate di ferro battuto, faceva da entrata.
A guardia c'erano due leoni di pietra in posizione di sfinge, con le fauci aperte e lo sguardo aggressivo.

Fece un giro attorno all'edificio, per vedere da che parte fosse meglio entrare.
Ma non vi erano brecce nelle mura e tutte le finestre erano ancora intatte.
Per quanto provasse, non riuscì a vedere attraverso i vetri: erano fatti in modo da poter guardare da dentro a fuori senza essere visti, ma non da fuori a dentro.
Pertanto se ne tenne lontano, onde evitare di essere avvistato da eventuali ostili posti di guardia all'interno.
Dopo aver terminato la ricognizione, aprì sul palmare la pianta dell'edificio per analizzare nel dettaglio la struttura interna e trovare il punto di entrata migliore, per quella situazione.
Preferiva mantenere basso il profilo e se possibile escludere dalle eventualità, l'accesso all'interno tramite la grande entrata.
La struttura se pur semplice era ben congeniata: gli unici punti di ingresso alternativi erano le finestre e il comignolo posto su un lato a più di tre piani di altezza.
Si recò nella zona nord, dove la vegetazione aveva ricoperto la maggior parte della facciata e lanciò il rampino sul tetto agganciandolo saldamente.
Iniziò a scalare il muro e quando fu davanti alla finestra del secondo piano si preparò a fare irruzione.
Prese dalla tasca del pantalone l'immancabile rotolo di nastro adesivo in fibra, ottimo per le riparazioni sul campo dell'equipaggiamento e altamente versatile.
Non era mai andato in missione senza.
Mise vari strati di scotch su una parte del vetro: questo richiese un po' di tempo, perché aveva una sola mano libera, poiché con l'altra doveva continuare a reggersi alla corda.
Una volta finito, si puntò coi piedi alla parete estrasse il pugnale e con l'impugnatura colpì il cristallo.
Ci vollero diversi colpi per iniziare a vedere i primi segni di cedimento.
Era molto spesso e rinforzato da pellicole speciali.
Dopo una decina di colpi si creò solo una piccola fenditura.
Gli venne un' idea.
Impugnò la lama ghiacciata e la conficcò nella frattura più che poté e vi versò sopra dell'acqua.
Attese qualche minuto e il vetro iniziò a raffreddarsi e a congelare piano piano.
Quando lo ritenne abbastanza freddo rimosse il pugnale e prese in mano la lama rovente.
La piantò di nuovo nello stesso punto e si sentì un sonoro “crack”.
Grazie allo sbalzo termico era riuscito a indebolire la struttura cristallina che si ruppe formando diverse crepe.
Bastò un destro ben assestato per aprire definitivamente un breccia nella finestra.
Il nastro isolante attutì l'urto e non fece cadere troppe schegge a terra.
Era un piccolo trucco che usava quando doveva entrare in qualche luogo di soppiatto, senza essere sentito.
I suoi calcoli erano risultati corretti, si era intrufolato nella biblioteca.
L'enorme stanza conteneva decine di migliaia di tomi, alcuni posti aperti sulle grandi scrivanie di legno massiccio, altri impilati agli angoli di grandi scaffali.
Qua e là si potevano leggere quaderni con appunti scritti da diverse persone.
Sembrava che la vita si fosse interrotta all'improvviso.
Ora tutto era coperto da ampi strati di polvere che ingrigiva l'intera stanza e il pavimento.
Nessuno era più entrato li da diverso tempo.
Ispezionò l'area senza trovare nessuna traccia di persone o animali: proprio come immaginava.
Cercò di uscire dallo stanzone ma la grossa porta di legno risultava chiusa a chiave dall'esterno.
L'ingresso si apriva verso l'interno quindi non poteva essere sfondato con un calcio.
Prese dallo zaino un coltellino multiuso e iniziò a sfilare i cardini dall'uscio.
Benché fossero arrugginiti l'operazione non richiese molto tempo.
Quando ebbe finito poggiò l'intera porta a terra e si trovò nel corridoio.
Controllò di nuovo il palmare per poter dirigersi verso due stanzoni molto grandi che, secondo lui, avrebbero potuto accogliere le strutture elettroniche dei ricercatori: in quei luoghi avrebbe potuto trovare qualche indizio su ciò che era accaduto lì dentro.
La corsia percorreva tutta la circonferenza della casa e si diramava in stanze, sia destra che a sinistra.
Molte delle porte che incontrava risultavano chiuse, oppure all'interno vi trovava dei mobili coperti da teli, sintomo che quelle stanze non furono mai usate.
Passò oltre, finché non trovò una stanza appartenuta ad uno dei membri dello staff.
Chiuse la porta dietro di se e si mise alla ricerca di indizi.
Anche qui trovò libri e tomi su argomenti pressoché sconosciuti al ragazzo, alcuni in lingua incomprensibile altri scritti con caratteri simili a quelli incisi sulle armi che possedeva.
Cercò appunti specifici, o qualche tipo di diario.
I ricercatori di solito solevano tenerne uno.
Ma non trovò nulla.
Accese allora il terminale posto sulla scrivania.
Era un portatile e con pizzico di fortuna, la batteria sembrava possedere ancora un barlume di carica.
Ebbe giusto il tempo di trasferire l'intero hard disk sul suo palmare, poi si spense del tutto.
Navigò nei file ma non trovò nulla di utile, si trattava di schemi, diagrammi, risultati dei test, ma nulla che facesse presagire qualche incombente catastrofe, o che spiegasse la repentina scomparsa di tutto il personale.
Il ragazzo iniziò a pensare che un giorno di botto, tutte queste persone fossero sparite magicamente.
-”Bah...”-Sospirò-”Non è che ci sarebbe da meravigliarsi se fosse accaduto sul serio...”-
Trovò dei file criptati, ma il computer da polso non riusciva ad aprirli.
Così lanciò un programma per crackare la protezione ed estrarre i dati.Ma questo richiedeva una quantità di tempo indefinita.
Mentre il bracciale lavorava in background, decise che fosse meglio proseguire.
Mentre stava per uscire, l'occhio gli cadde su foglietto di carta che spuntava con due angoli da un libro, posto su una mensola a muro.
Prese il volume e lo aprì alla pagina segnata.
Lingua intraducibile.
Però il foglio risultò comunque utile: era una fotografia in cui c'erano tre uomini in camice bianco che sorridevano in posa, dentro uno studio con dei macchinari.
Uno di quei tre sembrava il ragazzo i cui resti giacevano su un albero a cinque chilometri circa da li.
Prese la foto con se, segnò il luogo del ritrovamento sulla piantina elettronica e poi avendo osservato i particolari fotografati cercò di fare una stima delle proporzioni della stanza raffigurata.
Sembrava essere un locale nella parte nord est della struttura al piano di sopra.
Sarebbe stato il terzo luogo che avrebbe controllato.
Lasciò la stanza e percorse pochi metri del corridoio, prima di iniziare ad avvertire un lieve stridio di metallo.
“Bip”.
Il sensore di movimento dava qualcosa in lento avvicinamento proprio dalla zona della biblioteca da cui era entrato poco tempo prima.
Tornò su suoi passi piano piano, accucciandosi dietro qualsiasi cosa gli capitasse a tiro.
Non che ci fosse poi molto dietro cui nascondersi: in quel corridoio vi erano solo piccoli tavolini, sedie e di tanto in tanto vecchi mobiletti con dei piccoli cassetti.
Lo stridio si faceva più forte, a ritmo cadenzato.
Non ci aveva fatto caso prima, ma per terra vi erano tanti solchi uno accanto all'altro che formavano una larga striscia consumata.
Come se qualcuno girasse continuamente per la corsia trascinando qualcosa di pesante.
Ebbe un brutto presentimento.
Aprì una di quelle stanze vuote ispezionate poco prima e aspettò con la porta lievemente accostata che quel qualcosa gli passasse davanti.
Era dannatamente lento.
Finalmente fu abbastanza vicino da sentire distintamente dei passi.
Ma dalla fessura non poteva ancora scorgere nulla.
Chiuse le porta e aspettò che lo oltrepassasse, per poi poter controllare senza essere visto.
La lenta camminata sembrava interminabile; il ragazzo iniziava ad avvertire un senso di disagio e irrequietezza.
La fronte iniziava ad imperlarsi di tante goccioline di sudore che scivolavano via lungo il viso una alla volta.
L'essere passò la porta.
In perfetto silenzio Ioria aprì l'uscio quel tanto che bastò per poter osservare la creatura.
La pupilla si dilatò e trattenne il respiro, incredulo.
Era un essere umanoide, magro, alto almeno due metri e mezzo.
Aveva solo degli stracci che a malapena gli coprivano il pube.
Sembrava non avere la pelle: si potevano vedere benissimo i tendini e le fibre dei muscoli; uno spettacolo orribile.
Ne aveva viste davvero tante, ma mai si sarebbe sognato un abominio del genere.
Questo essere si trascinava dietro un grosso spadone metallico, tutto arrugginito e sporco di sangue rappreso.
La lama lunga due metri era sbeccata in più punti e l'elsa era senza impugnatura, fatta solo di metallo corroso.
La parte che toccava il suolo era ormai vistosamente consumata e aveva totalmente perso l'affilatura.
Ioria era pietrificato, non poteva muoversi e non gli restò altro da fare che aspettare.
Il sudore scendeva copioso e un lieve tremolio si era impossessato del suo corpo.
L'essere si fermò.
Il ragazzo ebbe un sussulto interno, ma fuori non si mosse di un millimetro.
L'abominio annusò l'aria una, due, tre volte.
Si girò di scatto e guardò Ioria fisso negli occhi.
Il ragazzo fece una smorfia quasi di dolore, cadde all'indietro sui palmi terrorizzato e senza fiato.
Il volto di quella creatura era completamente scarnificato, i denti gialli senza labbra, totalmente esposti in un ghigno raccapricciante e immobile.
Gli occhi completamente neri, galleggiavano nei bulbi oculari pieni di sangue.
Lanciò un grido stridulo che sembrò squarciargli in due la testa e il ragazzo fu perso.
L'essere balzò in avanti e con un colpo di spada distrusse la porta e parte del muro in un fragore micidiale.
Il ragazzo arrancava, tentava di allontanarsi da lui ma non ce la faceva non si reggeva sulle gambe.
L'obbrobrio lanciò un altro urlo e iniziò a percuotere lo spadone per terra generando un frastuono metallico tremendo.
Ioria si sentì venire meno e la vista gli si offuscò.
Quando riaprì gli occhi vide la lama che incombeva su di lui pronta per sferrare il colpo mortale.
Afferrò d'istinto i due pugnali, li estrasse e li incrociò per difendersi e chiuse gli occhi.
L'enorme gladio colpì in pieno le lame: con un grande clangore si generarono migliaia di scintille e schegge metalliche.
La creatura venne sbilanciata all'indietro e il ragazzo venne sbattuto violentemente contro uno scaffale, che nell'impatto si distrusse e lo sotterrò sotto una montagna di pezzi di legno e libri.
Dolorante, Ioria si fece forza e non aspettò inerte il secondo fendente.
Si alzò in piedi e si mise in posizione di attacco.
L'essere riprese il controllo della spada, buttò nervosamente indietro il capo scuotendolo e dilaniò di nuovo l'aria con le sue grida.
Poi caricò il colpo dall'alto verso il basso, portandolo con entrambe le mani.
Il colpo venne agilmente schivato e la lama si conficcò nel pavimento duro.Per qualche istante ebbe il fianco scoperto.
Il ragazzo infilò entrambi i pugnali nel costato producendo un rumore di ossa e tendini che si spezzavano.
Fu il caos più totale.
Tra le urla strazianti, la creatura colpì il ragazzo con l'avambraccio facendolo scivolare lontano da lui a diversi metri, nel mezzo del corridoio.
Poi prese ad agitarsi in preda alle convulsioni, dolorante.
Impazzì totalmente e incominciò a distruggere tutto ciò che gli capitava a tiro, poi afferrò di nuovo la spada e prese ad agitarla, continuando a radere al suolo tutto ciò che incontrava sul suo cammino, muri compresi.
Ioria si alzò in piedi, si asciugò il sangue che gli copriva gli occhi e andò all'attacco.
Evitò due fendenti circolari a destra e a sinistra, poi rotolò tra le gambe dell'abominio e quando gli fu dietro, gli recise entrambe i tendini dei talloni.
La creatura cadde di botto sulle ginocchia, agitandosi e urlando in un lago di sangue scuro.
Lo spadone volò e si conficcò a metà altezza dentro ciò che rimaneva della parete.
Il ragazzo prese dallo zaino una granata, levò la sicura e la gettò addosso a quell'essere indescrivibile e si mise al riparo.
La deflagrazione fece crollare i muri di tre stanze consecutive e le macerie seppellirono i resti bruciati del mostro.
Con sorpresa scoprì che ne' il pavimento ne' il soffitto erano stati intaccati eccessivamente dall'esplosione.
Si sedette in un angolo e riprese fiato.
Guardò il palmare per accertarsi del suo stato di salute: le sue condizioni nonostante gli urti e le ferite erano ancora buone e non aveva bisogno di cure specifiche.
Se non fosse stato per il corpetto e le armi, sarebbe morto al primo impatto, con tutte le ossa rotte.
Una volta ripresosi dalla lotta, analizzò ciò che rimaneva del cadavere.
Raccolse anche qualche esemplare e si rese conto, con sommo disgusto, che il tessuto con cui era vestito, in realtà erano brandelli di pelle umana.
Aveva visto abbastanza: doveva trovare il dottore al più presto e poi avrebbe potuto levare le tende.
Con tutto quel casino l'effetto sorpresa era andato a farsi benedire, quindi tanto valeva non andare troppo per il sottile.
Corse lungo la corsia e arrivò a uno dei due saloni.
Una porta metallica bloccava l'accesso.
A lato un tastierino alfanumerico.
Lo aprì e si accorse che passava ancora della corrente nell'impianto: qualcosa o qualcuno stava mantenendo in funzione il generatore principale.
Almeno quella fu la sua ipotesi.
Mandò in corto il meccanismo di sicurezza e le porte si spalancarono.
Una volta all'interno, per un istante, gli sembrò di trovarsi assieme al vecchio Kalimshi nell'hangar S2.
O almeno così avrebbe voluto che fosse.
Vi erano macchinari tecnologicamente avanzati, computer e monitor.
Accese uno dei terminali ma non vi trovò nulla di nuovo.
Ne controllò un altro e un altro ancora, ma ancora niente.
Poi vide che vi erano delle telecamere, che probabilmente servivano per documentare gli esperimenti.
Una di esse sembrava ancora collegata a uno schermo.
Avviò il programma e guardò le ultime registrazioni.
Ciò che vide non si poté commentare.
Continuò a osservare i video con la mano portata alla fronte, come quando gli danno fastidio i raggi del sole: era una vista che non poteva sopportare.
Lo staff sembrava sperimentare pratiche magiche estremamente proibite: questo capii da quello che vide.
Nei video però non gli era sembrato di scorgere il dottor Yaara.
Salvò le registrazioni come prova, sul suo palmare.
Uno degli obiettivi era finalmente stato raggiunto.
Ora che sapeva che fine avesse fatto lo staff, doveva solo cercare il dottore, o quello che ne rimaneva.
Si recò nel secondo locale adiacente al primo, da cui si poteva accedere direttamente tramite una porta scorrevole.
Ebbe conferma di ciò che aveva trovato nelle registrazioni.
A terra vi erano svariati cerchi alchemici, alcuni, senza dubbio, fatti col sangue.
In tutta la stanza l'odore di marcio e interiora era reso sopportabile solo grazie alla maschera ben allacciata al volto di Ioria.
Sembrava che alcuni ricercatori furono stati sacrificati per eseguire alcuni dei riti più potenti.
Quanti però non riusciva a determinarlo, le parti umane erano sparse ovunque, consumate dal tempo e dall'aria.
Non gli restava che controllare il piano di sopra e quello inferiore.
Si spostò verso la zona più interna della struttura dove dovevano esserci delle scale.
Una volta salito al piano superiore si diresse direttamente verso l'obiettivo.
Mancavano poche decine di metri, quando il palmare emise un cicalio a basso volume.
Aprì una stanza a caso e dopo aver richiuso la porta si inginocchiò per terra.
Il bracciale aveva terminato di decriptare i file nascosti, ora erano quasi totalmente leggibili.
Si trattava di una specie di diario.
Pare che il ricercatore che alloggiava in quella stanza, stesse studiando un modo per potenziare il corpo umano usando la magia.
Tutti gli esperimenti che fece erano infruttuosi ed era in un punto di stallo.
Poi più nulla di interessante, solo i soliti diagrammi, disegni e commenti sugli altri membri del gruppo.
Pare che il dottore non fosse molto ben visto.
Tutto normale fino a delle annotazioni risalenti a circa un anno e mezzo prima delle interruzioni delle comunicazioni con la base.
Sembrava che dopo lunghe ricerche finalmente avesse raggiunto dei risultati, anche se non capiva bene quale tipo di risultati fossero.
Le sue ricerche si sbloccarono dopo aver usato dei testi antichi, che si era procurato in maniera illegale.
Poi il resto erano solo le parole di un folle esaltato dai propri studi.
Chi avesse fornito il materiale al mago e come fosse riuscito a fargli passare i controlli non veniva menzionato.
Il diario termina con delle euforiche esclamazioni poco prima di un importante test.Poi più nulla.
Chiuse i file e uscì dalla stanza.
Raggiunse il salone e mentre si preparava a far saltare la serratura elettronica si accorse che il passaggio era libero.
Esitò a entrare.
Controllò sul palmare se ci fossero altre vie di accesso.
Nessun'altra entrata portava all'interno del locale, l'unico modo per controllare che non fosse una trappola erano i tre finestroni.
Ma dall'esterno non si poteva guardare dentro la stanza e quindi non ebbe altra scelta che proseguire.
Afferrò saldamente i pugnali e poi oltrepassò l'uscio.
Le porte si richiusero automaticamente dopo il suo passaggio.
Le finestre erano state coperte e facevano filtrare pochissima luce.
I raggi di sole fendevano come spade, l'aria immobile, evidenziando i granelli di polvere, che galleggiavano lentamente, sospesi nell'atmosfera.
Si addentrò sempre più e avvertì un sommesso brusio venire dal fondo.
La scarsa luminosità non gli permetteva di vedere cosa producesse tale rumore.
Proseguì ancora e dopo aver superato dei macchinari enormi vide quella che sembrava una struttura di metallo e telo.
Erano le tipiche strutture modulari usate dal personale medico per creare una zona antisettica in cui poter operare.
Il brusio proveniva da li.
Si avvicinò di soppiatto e con il pugnale rovente aprì un buco sciogliendo parte della copertura, senza emettere alcun rumore.
Dentro c'erano cinque esseri disposti lungo il perimetro di un cerchio alchemico, illuminati tenuemente da delle candele nere sparse in giro.
Indossavano tutti una lunga e logore veste nera, dai contorni sudici e sfilacciati.I volti erano nascosti sotto i cappucci e le braccia erano conserte con le mani celate dentro le larghe maniche.
Il brusio aumentò.
Era una litania, una specie di preghiera ripetitiva, in una lingua incomprensibile, dai suoni gutturali e animaleschi.
Ioria si sentiva d'un tratto come drenato nelle forze.
La testa iniziò a girare e fu come catturato da una sensazione di malessere che lo rendeva debole.Cadde in ginocchio.
Il cerchio cominciò a pulsare di rosso, come se vi scorresse dentro del plasma.
Gli accoliti estrassero le lunghe e ossute mani e le protesero in avanti.La loro pelle era violacea e secca, come quelle delle prugne e le unghie erano lunghe e luride, come artigli consumati.
La preghiera aumentò di volume e intensità e il ragazzo che ormai non stava più guardando era pallido e sudato, quasi accasciato a terra.
Gli incappucciati presero dalle cinte dei coltelli neri e si tagliarono tutti il polso sinistro.
Il loro sangue bruno e avvizzito colò denso nel mezzo del cerchio e le candele si spensero.
Nel buio più totale Ioria gattonò a tentoni, cercando di allontanarsi da quel posto maledetto.
Dietro di lui la litania proseguiva e si aggiunse un altro verso, un mormorio che sembrava provenire dal profondo di un abisso.
Dalla tenda uscì un essere fatto interamente d'ombra.
Non si vedevano i contorni si potevano solo intuire.
L'unica cosa che si vedeva molto bene erano i due lucenti occhi completamente rossi, tondi e inespressivi, senza pupilla né palpebre.
Si sentì un verso, simile al sibilo dei serpenti e al fischio di un treno assieme.
Una cosa che sembrava una mano sembrò attraversare il petto del ragazzo e afferrargli il cuore.
Le sue urla strazianti si diffusero per tutto il piano per poi affievolirsi lentamente, come soffocate.
Quell'ombra gli drenava ogni filo di energia e nella sua mente mille incubi gli apparivano davanti: vedeva scene di violenza, morte, sangue, pianti e grida di dolore.
Ebbe un attimo di lucidità, un solo unico istante, prima che la morte o peggio ancora, l'inferno, lo accogliesse.
Messa la mano alla cintura sganciò la sicura di una granata stordente e la fece rotolare al suolo fin dentro la tenda.
Lo scoppio illuminò lo stanzone per un breve istante.
Gli accoliti gridarono con gli occhi feriti dalla improvvisa luce e persero la concentrazione.
L'essere d'ombra lasciò la presa sul ragazzo e si dissolse come sottile fumo nero, emettendo un suono simile alla brace quando si spegne e ritornò da dove era venuto.
Gli incappucciati si rotolavano al suolo e si percuotevano il capo, esibendosi in lamenti, gemiti e bestemmie.
Ioria riacquistò colore ma non riuscì ancora a rialzarsi da terra.
Prese allora la pistola dalla fondina e fece fuoco contro la tenda e i suoi abitanti.
Scaricò l'intero caricatore e ancora non fu soddisfatto: il dito premeva ancora e ancora anche se a vuoto.
Quando non si mosse più nulla, vomitò tutto quello che poteva vomitare.
E quando il suo stomaco fu completamente vuoto, rimise ancora della schiuma bianca diverse volte, prima che gli spasmi si placassero.
Dopo due ore ancora giaceva sul pavimento al buio.
Si trascinò fuori dalla stanza e quando fu di nuovo nel corridoio fu accecato dalla luce del giorno.
Stette li ancora diverso tempo, poi quando fu tornato abbastanza in forze si diresse verso il centro ancora una volta, per controllare l'ultimo piano: il piano terra.

Scendeva le scale a rilento, con una mano si teneva il petto, dentro cui sentiva una costante morsa di gelo che non se ne andava via.
Provava un dolore in tutto il corpo ma, non aveva ferite evidenti.
Lanciando sul palmare una diagnostica del suo stato di salute, si rese conto che poche ore prima le sue funzioni vitali erano calate enormemente e che tuttora non versava in buone condizioni.
Come se non bastasse il palmare lo avvertiva che l'A.D.A.M. aveva raggiunto i livelli di guardia e che gli effetti, qualunque essi fossero, non sarebbero tardati ad arrivare.
-”Fantastico!Davvero fantastico!”-Disse Ioria stringendo i denti e scendendo un gradino alla volta.
-”Se incontro qualcos'altro per strada posso anche dire addio alle chiappe!”-aggiunse.
Lo spirito del ragazzo era forte, ma le probabilità di sopravvivenza erano scese di molto.
Anche se fosse riuscito a completare la missione, sarebbe dovuto tornare indietro al suo veicolo a lanciare il segnale.Ovvero altri diciassette chilometri nel bosco, con il pericolo di brutti incontri.
Questo nelle migliori delle ipotesi, ovviamente.
Finalmente fu al piano più basso.
Controllò la piantina e pare che nel mezzo vi fosse un salone circolare adibito alle feste o ai ricevimenti.
Era vicino a dove si trovava.
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Età: 42
Sesso: Maschile
24/07/2008 22:40

Arrivò davanti l'entrata e vi trovò un enorme porta di metallo liscio, senza serrature di alcun tipo.
Cercò sul muro, eventuali scanner o telecamere di sicurezza, ma non c'era proprio nulla, la parete era completamente sgombra.
Pensò che forse vi era qualche congegno vocale o roba simile.
Allora tentò di aggirare l'ostacolo e vedere se anche alle altre due entrate vi erano posti gli stessi portoni.
In cuor suo sperava di si, così non avendo modo di accedere all'interno, avrebbe dovuto abbandonare la missione; questo gli avrebbe permesso di levare le tende molto prima del previsto.
Si stava per appropinquare verso la porta nord ovest, quando gli parve di udire una voce.
Ma fu per un solo momento.
Pensò che l'assuefazione da artefatto magico stesse già dando i suoi primi effetti e forse iniziava ad avere delle allucinazioni.
Per un istante gli passò per la mente che forse anche quel demone potesse essere frutto di una visione dovuta all'eccessivo irradiamento.
Ma subito dopo sentì di nuovo il gelo nel suo petto e disse:-”No era reale...dannatamente reale”-.
Si poggiò al muro con la spalla per un attimo, ancora preso da quelle visioni orribili, mentre stava per perire in quella morsa di ghiaccio.
Quelle scene lo avevano danneggiato più di quanto avrebbero mai potuto fare delle qualsiasi lesioni: gli aveva provocato una ferita nell'animo, che non si sarebbe rimarginata tanto facilmente.
Era ancora immerso nei suoi pensieri, quando, all'improvviso, sentì una voce:-”Ti stavo aspettando”-.
L'enorme porta, che aveva lasciato alle spalle da pochi metri, si sollevò raschiando il muro, producendo calcinacci e polvere, producendo un suono caratteristico, come quello di una pesante pietra che viene spostata.
Qualcuno voleva che entrasse nel salone centrale.
Per la prima volta da quando era atterrato in quella zona, ebbe l'impressione di non essere minacciato.
Entrò e la porta scese dietro le sue spalle, una volta varcata la soglia.
Con sommo stupore notò che non era una vera porta, ma una enorme lastra di metallo, che non funzionava meccanicamente: sembrava mossa da qualche tipo di incantesimo.
Ai margini della stanza molti macchinari, ancora in funzione.
Tubi e cavi elettrici correvano qua e là, da un aggeggio all'altro e tutti collegati a un grosso generatore posto a un lato.
Sotto i cavi, inciso nel pavimento di pietra, faceva bella mostra di sé un enorme cerchio magico, come non ne aveva mai visti.
Era molto complesso, con diverse scritture e simboli e occupava l'intero locale: sembrava pulsare di una calma luce blu.
Nel mezzo della stanza vi era un cilindro pieno di liquido azzurro.
Era illuminato alla base e il riflesso dell'acqua si irradiava per tutta la stanza, creando una atmosfera marina.
Immerso nel liquido vi galleggiava sospeso, un ragazzino, con dei lunghissimi capelli neri, magro e apparentemente privo di conoscenza.
Aveva dei tubi che partivano dalle braccia, dalle gambe, dalla bocca e dai vari orifizi e che finivano verso l'alto, dentro un congegno.
-”Il suo nome è Elil, ma tu questo lo sai già vero, Ioria?”- Queste parole riecheggiavano nell'ambiente, senza apparentemente avere una provenienza.
Il ragazzo si guardò attorno e poi guardando verso l'alto soffitto disse: -”E lei deve essere il dottor Albert Yaara giusto?
-”Per quale motivo non si mostra?”-
-”Ahhh”-Sospirò la voce.
-”Mi perdoni la scortesia, ma non posso proprio venire da lei in questo momento.Se desidera vedermi provi a guardare alla sua destra, là dove vede quei grossi tubi.”-
Il ragazzo si mosse nella direzione consigliata e vide un grosso apparato, molto simile a una camera iperbarica.
Dentro vi era il corpo del dottore, intubato come quello del figlio e anche lui privo di conoscenza.
Ioria guardò senza pensare a nulla, non riusciva più a stupirsi di quel posto e di quelle cose.
I maghi avevano un grande potere, oltre la sua comprensione.
Una volta presa visione il ragazzo tornò davanti al cilindro.
-”Dottore”- Disse.-”...Credo che a questo punto, dovrebbe darmi qualche spiegazione se non le dispiace...”-
-”Con piacere.”-aggiunse la voce.-”Ma abbia pazienza, prima devo fare una certa cosa...”-
Il ragazzo fu all'improvviso avvolto da una luce verdina provenire dal basso.
Si creò un glifo sotto i suoi piedi e venne sollevato da terra.
Le armi, l'armatura e la mascherina, si slacciarono e caddero al suolo privi di colore e totalmente svuotati dell'energia che possedevano.
Poi una sensazione di benessere pervase il ragazzo.
La luce si spense lentamente e poté di nuovo toccare il suolo.
Si andò poi a sedere ad un tavolo poco distante.
Poi la voce disse:-”Noi la chiamavamo sindrome di Adamo, ma so che ora voi la chiamate A.D.A.M...”-
-”Sono dovuto intervenire senza avvertirla, me ne scuso, ma stava per raggiungere uno stato critico e non le era rimasto molto tempo; ho dovuto distruggere le sue preziose armi, me ne rammarico, ma era necessario.”-
-”...E mi ha anche curato...”-Disse Ioria.
-”Ma come riuscite a fare tutto questo?E che diamine è successo in questo posto?”-Aggiunse il ragazzo.
-”E' tutta colpa mia.”-Continuò il dottore.-”Quando mio figlio si ammalò gravemente, mi trasferì qui con alcuni stimati membri del mio staff, per trovare una cura alla sua malattia.”-
-”Lavoravamo tutti a un progetto comune i primi tempi, poi io mi chiusi sempre più in me stesso, nel mio dolore e non mi accorsi di ciò che gli altri ricercatori stavano combinando.”-
-”Hanno usato alcuni antichi testi sacri, per fare sperimentazioni proibite...E questo è il risultato.”-
-”Ormai la zona colpita dalle anomalie si sta allargando velocemente ed è colpa anche dei miei esperimenti.
Alcuni di loro, avendo capito cosa stava succedendo tentò di fuggire, ma era troppo tardi.
Chi non è morto scappando, è stato assassinato o sacrificato in rituali blasfemi, di cui tu stesso sei stato testimone poche ore fa.
Quelli rimasti, si sono tramutati in esseri abominevoli senza più un'anima e mutati nel corpo: questo è il prezzo da pagare a varcare certe soglie...”-Sospirò la voce, prese una pausa, poi continuò:
-”Anche quell'essere con la spada era uno dei miei uomini.
Purtroppo quando me ne accorsi non potei fare più nulla.
Le condizioni di mio figlio peggiorarono e io dovetti metterlo in sospensione vitale.Un miscuglio tra magia e tecnologia.
Ma non bastò.
Così sacrificai il mio corpo e lo misio in quel congegno.
Solo così riesco tutt'ora a sostentare la magia che tiene ancora qui l'essenza di mio figlio.
Ma al di fuori di questo cerchio non ho più poteri, così, non potendo agire in alcun modo, mi sono barricato qua dentro, in attesa di qualcuno...in attesa di te.”-
-”Mi spiace, ma io proprio non capisco.”-Disse Ioria scuotendo la testa.
-”Sei un uomo forte Ioria, presto o tardi, capirai...in te c'è più di quanto tu sappia...non è da tutti arrivare fino qui da soli.”-
Disse la voce.-”Ma ora va, completa la tua missione.E torna qui con i rinforzi.”-
Il ragazzo si alzò e mentre stava per dire qualcosa, il dottore aggiunse:-”Questa non è la tua battaglia Ioria, tu per ora hai assolto il tuo compito, ti chiedo solo di tornare ad assistere alla fine di questa vicenda.”-
-”Dottor Yaara.”- Intervenne il ragazzo.-”Mi dica...Come può una persona come lei, aver fatto tutto questo?”-
-”L'ho fatto per mio figlio.”-Rispose.
Poi una sequenza di immagini di vita vissuta, apparve nella mente del ragazzo come dei flash.
Vide la moglie del dottore, la felicità, l'amore, un figlio. poi la malattia, la morte e poi ancora, la speranza, Elil, i primi passi, le prime parole, la malinconia e poi un dolore infinito, nel vedere di nuovo scivolare via tutto...
Il ragazzo non aggiunse altro, girò le spalle e se ne andò via.
La lastra si alzò da terra come prima e si richiuse dopo il suo passaggio.
Camminò nel corridoio in silenzio: le lacrime solcavano copiose il suo viso.

Si diresse verso l'uscita ma il grande portone era chiuso elettromeccanicamente e non fu possibile aprirlo.
Gli era venuto in mente che aveva ancora una granata con se, ma visto che non possedeva più le armi magiche, preferì risparmiarsela per il viaggio di ritorno.
Risalì le scale e ripassò lì dove aveva combattuto.
Le macerie e i resti umani, fecero riflettere il ragazzo.
Prima di allora non aveva mai usato armi di tale potenza; aveva ricevuto un addestramento speciale con armi magiche, ma non avevano una così tanta forza distruttrice.
Quando sarebbe tornato avrebbe voluto approfondire l'argomento se possibile.
Voleva saperne di più di queste cose.
Arrivò alla biblioteca.
Prima non ci fece caso quasi, ora era tentato di portare via qualche volume per poterlo leggere.
Ma ve ne erano centinaia, anzi migliaia e lui non aveva tempo.
Per dirla tutta rischiava di non tornare vivo al velivolo, la strada era ancora lunga.
Rinunciò al pensiero e cercò di concentrarsi su ciò che doveva ancora fare.
Ma nonostante i ripetuti sforzi, sembrava costantemente distratto da mille pensieri e domande.
Camminò fino all'inizio della vegetazione, poi prese la pistola, levò la sicura, chiuse gli occhi, sgombrò la mente e fece un profondo respiro.
-”Sono pronto!”-

Non gli rimanevano molte ore di luce, ormai erano già le 18.37 e gli rimanevano all'incirca tre ore, prima che scendesse la notte.
Doveva percorrere più strada possibile.
Si mosse ripercorrendo il cammino al contrario, sperando di non incappare in altre creature ostili.
Tutto ad un tratto si sentiva come nudo senza più l'equipaggiamento di classe S.
Non gli rimaneva granché nemmeno di quello normale, aveva solo qualche bomba a mano di vario genere, tre caricatori e la pistola.
Proseguì spedito tra le piante, nonostante ci fosse passato solo poco tempo prima, non riconosceva nulla intorno a sé.
Consultava spesso il palmare, per controllare che non stesse sbagliando direzione, ma il percorso era giusto.
Le ore trascorsero e tutto filò liscio, ma la luce andava già sparendo e si doveva affrettare a preparare la tenda.
Avrebbe voluto andare avanti per tutta la notte, ma al buio era più vulnerabile e avrebbe proseguito troppo a rilento nell'oscurità delle tenebre.
Preparò ancora una volta la tenda su un albero, e controllò la zona.
Poi salì e si chiuse dentro.
Non fece nulla: non mangiò, non controllò i dati sul bracciale, né verificò l'efficienza delle armi.
Si limitava a stare fermo ad aspettare.
La notte non tardò a venire e con lei tornarono anche le lucciole.
Lo spettacolo che prima lo affascinava tanto, ora sembrava suscitargli solo molteplici nuovi quesiti.
In che modo la sindrome di Adamo aveva modificato tali piccole creature?
La prole di tale creatura avrebbero avuto gli stessi tratti genetici modificati o sarebbero nati normali o peggio malformati?
Tutte queste domande e molte altre ancora, rimasero sospese nell'aria ferma e calda senza nessuna risposta.
Ora però comprendeva meglio la gravità della situazione: se questi esseri uscissero da questa zona che accadrebbe?
Se proliferassero mantenendo, o peggio ancora, rafforzando tali caratteristiche, sarebbe stato un disastro.
Il pensiero corse all'enorme bestia con cui aveva combattuto nella radura.
Se ne immaginò dieci, cento, mille, che attaccavano prima i piccoli agglomerati urbani e poi le grandi città.
Oppure usate come armi da qualche organizzazione senza scrupoli.
Pensava troppo.
Si sigillò nel rifugio e cercò di dormire.
Nel buio della tenda sentì di nuovo la stretta ghiacciata nel petto.
Il cuore prese a battergli forte, sudore freddo gli veniva giù dalla fronte e dalla schiena, si sentiva male, gli mancava persino il respiro.
Accese la torcia, e si guardò attorno, per un attimo gli parve di nuovo di vedere quegli occhi rossi come tizzoni ardenti.
Ma era tutto tranquillo.
Aspettò il giorno con la luce costantemente accesa.
Era una scelta tattica molto discutibile: la luce lo rendeva facilmente visibile da svariati metri di distanza, ma non ne poteva fare a meno.
Aveva paura del buio.
La notte fu lunga ed interminabile, non riuscì a riposare nonostante ne avesse bisogno: ogni volta che chiudeva gli occhi aveva incubi o gli si presentavano le orripilanti scene di violenza viste in quella stanza.
Poco prima che sorgesse il sole rismontò la tenda, sperando di farlo per l'ultima volta, voleva uscire da li entro la giornata.
Si sforzò di ingoiare un po' di cibo; non poteva stare a digiuno aveva bisogno di energie.
Prima di partire, riprese dallo zaino i resti della tuta protettiva e cercò di riparare gli squarci con l'oramai fidato nastro adesivo in fibra.
Una volta rattoppata la indossò: non era più efficiente come prima, ma era sempre meglio che andarsene in giro senza.

Diverse ore dopo, passando attraverso degli alberi scorse a lato la radura in cui aveva ucciso la tigre.
Decise di deviare per controllare i resti del felino.
Si avvicinò e vide una brulicante massa di vita attorno alla carcassa.
Si aspettava qualche uccello saprofago, ma non quello scenario.
Un numero non ben precisato di insetti giganti si stava nutrendo della carogna.
Si avvicinò ulteriormente ma senza correre rischi.
Sembravano per lo più delle specie di scarabei, grandi dai trenta ai quaranta centimetri.
La loro corazza presentava le più svariate forme e colori.
Alcuni avevano spuntoni acuminati sul dorso, altri avevano disegni complessi, altri ancora colori cangianti: tuttavia sembravano appartenere alla stessa specie, solo con effetti da A.D.A.M differenti.
Si nutrivano voracemente, producendo versi strani simili a dei piccoli scoppiettii e cigolii e da quella distanza poteva persino udire il rumore delle mascelle che si adoperavano per consumare la carne a ritmo forsennato.
Avrebbe voluto studiarne uno, ma preferì evitare di disturbarli, era meglio non correre rischi inutili.
Aveva indugiato abbastanza era meglio proseguire.

Il sole era già alto da un po' e mancavano pochi chilometri alla meta.
Ioria stava proseguendo con passo deciso tra la vegetazione, quando improvvisamente si fermò di scatto.
Il rilevatore di movimento in silenzio ormai da parecchie ore, dava qualcosa in lento avvicinamento davanti a lui.
Ma ancora non scorgeva nulla.
Protese le mani in avanti tenendo, con la pistola spianata, sotto tiro la zona, in attesa di capire cosa fosse.
Uscì dal fogliame un felino di media taglia, con il manto fulvo, apparentemente identico a quello ucciso giorni prima all'incirca nella stessa zona.
La bestia non sembrava aggressiva.
Si limitava a fissarlo col suo sguardo verde scuro.
Il ragazzo esitò, non sapeva se premere il grilletto o meno, quindi attese che la situazione si evolvesse in qualche maniera.
Lo teneva nel mirino.
Attimi interminabili scorsero tra l'umidità soffocante della vegetazione.
Poi il palmare diede altri segni, tutti intorno a lui, altri dieci o dodici elementi, forse più.
Era una trappola e lui ci era quasi cascato.
Uno lo doveva distrarre, mentre il branco lo circondava.
Se non fosse stato per il bracciale, non avrebbe potuto accorgersene.
Pur avendo quel vantaggio, il ragazzo si trovava comunque in posizione svantaggiosa: era in una zona scoperta e circondato da troppi ostili.
Pensò velocemente al da farsi, ma cercò di non tradirsi: continuò a fissare la creatura avanti a se, senza lasciar trapelare alcuna emozione.
Se si fosse mosso, o se avesse girato la testa in cerca degli altri membri del branco, la trappola sarebbe scattata e non avrebbe avuto scampo: erano troppi.
Aspettava fermo.Il sudore scendeva, il respiro si era fatto cadenzato e profondo; manteneva la calma, attendendo il segnale che avrebbe fatto partire l'attacco.
Il felino di fronte a lui fece un verso, simile a quando ci si schiarisce la voce: la trappola era scattata.
Ioria si abbassò, prese da dietro la schiena l'ultima granata stordente e la sganciò sul posto, poi si gettò in avanti tuffandosi e sparando alcuni colpi avanti a sé.
Ci fu un lampo e molti del branco caddero svenuti lì dove prima c'era il ragazzo.
Altri barcollavano storditi, altri ancora erano fuggiti dallo spavento.
Lo scoppio aveva stordito anche Ioria che momentaneamente assordato, tentava inutilmente di rimettersi in piedi, mentre continuava a sparare a tutto ciò che si muoveva attorno a lui.
Uccise sei di loro, ne ferì altri e gli ultimi rimasti si diedero alla macchia.
Si trascinò verso il più vicino albero e si sedette poggiando le spalle.
Aspettava che l'udito gli ritornasse e che quel fastidiosissimo fischio smettesse di rimbombargli nelle orecchie.
Sostituì il caricatore e cercò con lo sguardo attorno a sé per diversi minuti.
Per il momento se ne erano andati ma probabilmente sarebbero tornati presto, o l'odore del sangue ne avrebbe attirato altri: non poteva aspettare immobile che gli ritornasse il senso dell'equilibrio.
Afferrò un grosso ramo e lo usò come appoggio per alzarsi e se ne andò.
Nonostante il supporto, cadde innumerevoli volte, senza riportare danno, ma rallentando la marcia.
Via via che passava il tempo, la sua situazione sembrò migliorare e sebbene sentisse ancora tutto intorno a se come se fosse ovattato, poté abbandonare il bastone che gli faceva da appoggio e proseguire più spedito.
Non ebbe più incontri sgradevoli e quando il sole stava per calare ancora una volta, arrivò lì dove lo attendeva il proprio mezzo.
Si sbrigò a togliere il telo mimetico e lo ripose in un vano meglio che poté, poi salì nell'abitacolo frettolosamente e quando ebbe chiuso il portellone si sentì finalmente al sicuro.
Rimase qualche attimo con gli occhi chiusi, ad assaporare il momento: era riuscito a tornare sano e salvo.
Accese il computer di bordo e dopo aver controllato che tutto fosse in ordine, lanciò un singolo segnale.
Poi avviò i motori, impostò la rotta e finalmente decollò.
Durante il volo inserì il pilota automatico: sentiva la tensione scemare e lo stress psicologico a cui era stato sottoposto si stava allentando.
Ora il sonno si stava impossessando di lui.
Dormì per tutto il viaggio, pesantemente, di un sonno senza sogni.
Quando fu in prossimità della città, dovette svegliarsi e riprendere i controlli manuali.
Atterrò in un piccolo aeroporto militare quando ormai si era già fatto buio.
Lì lo attendevano una equipe medica, degli scienziati e il signor Kalimshi.
Scese dal velivolo e salutò il superiore dicendo:-”Signor Kalimshi, missione compiuta, signore!”-
-”Bene ragazzo mio,bene!Ottimo lavoro.Ora consegni i campioni ai nostri ricercatori, si faccia visitare e poi venga immediatamente da me a fare rapporto, non abbiamo tempo da perdere.”-Disse l'uomo molto serio.Poi lo guardò negli occhi per qualche istante, sorrise e se ne andò via.
Qualche ora dopo Ioria si trovava di nuovo davanti alle porte dell' S2.
Eseguì la solita prassi per il riconoscimento del personale ed entrò.
Consegnò quel che rimaneva dell'equipaggiamento e sconsolato dovette dire all'uomo che le armi e l'armatura erano andate perdute.
-”Sono più che sicuro che non hai avuto altra scelta”-Disse Kalimshi rassicurandolo, poi guardando le armi che il ragazzo gli aveva riportato aggiunse:-”Ahhhhh e qui cosa abbiamo?”-E si mise a ispezionare il fucile soffermandosi a lungo sul dente di tigre che vi era conficcato nel mezzo.
-”A giudicare dai resti dell'equipaggiamento, direi che te la sei vista veramente brutta laggiù.”-
-”Si signore, questa volta ho rischiato seriamente di non riuscire a tornare indietro.”-Disse Ioria abbassando lo sguardo.
-”Capisco...è tempo di fare rapporto mi segua nello stanzino, per cortesia”-E il signore occhialuto gli indicò la porta accanto.
Passarono diverse ore prima che il ragazzo finì di descrivere l'accaduto al superiore, dopo di che gli fu ordinato di raggiungere la zona alloggi e di riposare fino a nuovo ordine.
E così fece.

Ioria giaceva nel letto, guardando il soffitto.
Aveva riposato per una decina di ore di fila e ora attendeva la convocazione dei superiori: ciò che aveva visto era classificato oltre il segreto militare, quindi, sicuramente, qualcuno di quelli che stanno “in alto” avrebbe voluto parlargli.
A dire il vero, in lui c'era un piccolo sospetto, una lieve probabilità, che si era fatta strada nella sua mente: forse aveva visto troppo e avrebbero potuto anche eliminarlo.
Ma non era la prassi e poi l'organizzazione per cui lavorava non era solita a queste cose, anzi, tra i vari membri c'era un forte cameratismo, anche se poi le missioni, si risolvevano quasi sempre in azioni militari solitarie.
Si alzò e andò a farsi una doccia calda.
Mentre tentava di rilassarsi sotto il getto, gli parve di sentire ancora quella strana sensazione di benessere che lo aveva pervaso, mentre il dottor Yaara lo stava curando.
Pensò a tutti i suoi compagni che aveva perso in battaglia e a quanti di loro si sarebbero potuti salvare grazie a incantesimi curativi di tale portata.
Uscì da sotto l'acqua e si asciugò distrattamente, poi coperto solo dall'accappatoio cucinò qualcosa di non troppo impegnativo, ma sostanzioso: gli era tornato l'appetito.
L'alloggio che gli era stato assegnato era piccolo, ma aveva un po' tutti i comfort: un letto a una piazza, una scrivania con un computer, un piccolo bagno con doccia, un angolo cottura e persino un piccolo frigo, che riempiva appena poteva con cibi a lunga conservazione.
D'altra parte poteva passare anche qualche mese senza che ricevesse ordini e che quindi si recasse nella sua stanza, quindi non era il caso di comprare alimenti freschi; non avrebbe mai avuto il tempo materiale per consumarli prima della scadenza.
Stava ancora asciugando i piatti che aveva appena utilizzato, ed era ancora in accappatoio, quando una voce dall'alto di un altoparlante, richiedeva la sua presenza nella sala dei briefing.

Nella stanza dove di solito trovava solo il signor Kalimshi e, più raramente, qualche altro compagno d'armi, ora era piena di commilitoni.
Rimase un po' sorpreso dalla cosa e indugiò un secondo sulla porta.
Poi si sedette in una delle ultime file, nel primo posto disponibile.
Attorno a lui c'erano altri venti soldati, alcuni li conosceva di vista, con altri aveva combattuto assieme.
-”Bene signori appena arriverà il nostro superiore inizierà il briefing.Vi raccomando la massima attenzione, questa missione non sarà un' impresa facile.”-Disse con tono fermo e aria preoccupata Kalimshi, rivolgendosi a tutti i presenti.
Durante l'attesa si poteva udire un brusio venire dai militari seduti sulle sedie: alcuni parlavano di sport, altri dell'eventuale obiettivo della missione, altri ancora di fatti propri.
Solo il ragazzo, che aveva intuito l'argomento che si stava per trattare, rimaneva in silenzio con lo sguardo rivolto a terra.
Un colpo di tosse del signore occhialuto, fece zittire tutti: era il segnale che stava entrando il tanto atteso superiore.
Varcarono la soglia cinque persone.
Quattro di loro erano vestiti con delle ampie tuniche viola, bordato d'oro; il quinto, che sembrava essere il più alto in grado, ne indossava una nera con delle scritte runiche e le rifiniture color rosso acceso.
Kalimshi prese la parola.
Sul monitor alle sue spalle venivano proiettate ancora le immagini scattate dal satellite, le foto del dottore e i diagrammi delle anomalie sui campioni che il ragazzo aveva rilevato.
L'uomo spiegò per mezz'ora su quale fosse il luogo, il motivo e soprattutto gli obiettivi della missione.
Dovevano scortare al maniero il signore vestito di nero e le sue quattro guardie e una volta arrivati, lasciare che si occupassero esclusivamente del dottor Yaara.
Il compito dei soldati invece, era quello di rastrellare e ripulire la struttura da qualsiasi entità ostile.
A fare da guida nella zona ci avrebbe pensato Ioria.
Il nome dell'uomo da proteggere era Elgis Narè, anche lui “ricercatore” come Albert e questo già spiegava molto del suo ruolo nella vicenda.
Come equipaggiamento avrebbero adottato quello di classe A standard, ovvero, il medesimo che usò il ragazzo durante la missione precedente, senza nessun tipo di rinforzo magico.
La partenza era stimata per le 02.00 del giorno seguente.
Finita la riunione, mentre tutti lasciavano la sala, Ioria fu chiamato in disparte da Kalimshi.
Mise una mano in tasca e tenendola chiusa disse al ragazzo:-”Guarda qui, ho una cosa che forse ti farebbe piacere riavere!”- E fece cadere nelle mani del giovane una collana, che aveva per ciondolo la zanna della tigre rimasta incastrata nel fucile.
Poi aggiunse:-”Penso che questo, in qualche modo ti appartenga, pur essendo un reperto da studiare...Ma ho preferito fartene una collana e darlo a te... questo oggetto ha qualcosa di speciale, che non sono riuscito a comprendere.Credo sia per via dell'A.D.A.M. forse”-
Ioria ne fu piacevolmente sorpreso:-”Non so come ringraziarla Kalimshi, credo che non le sia stato facile far uscire di straforo dal laboratorio questo oggetto.”-Lo guardò felice e lo nascose subito nella tasca prima che qualcuno lo potesse vedere e disse:-”Ne sono affascinato anche io!Quando lo tocco sento una sottile vibrazione, come se la forza e l'essenza di quell'animale ci scorresse dentro, nonostante sia morto.Davvero non so spiegarmelo...”-Fece uan pausa, si rese conto che avrebbe voluto discuterne a lungo, ma purtroppo non aveva tempo, doveva prepararsi per la missione.
Così si limitò ad aggiungere:-Le devo una birra al mio ritorno signor Kalimshi, non se lo dimentichi...”-
I due si lanciarono uno sguardo di intesa, poi si salutarono e ognuno andò a sbrigare le proprie faccende, prima della partenza.

Alle due del mattino decollarono dal piccolo aeroporto militare all'esterno della periferia est della città.
Come mezzi di trasporto usarono due velivoli cargo: erano sostanzialmente dei grandi veicoli affusolati, con una pancia molto larga e due grandi reattori ai lati.
Nel primo c'era l'equipaggiamento e venti militari,nel secondo invece, c'erano solo il dottore e i quattro membri della sua scorta.
Il largo e inusuale dispiego di mezzi aveva messo in agitazione un po' tutti i passeggeri del volo.
Qualcuno ipotizzava teorie su quello che sarebbe successo o che avrebbero trovato, altri brontolavano per l'eccessivo dispiego di mezzi, altri ancora disprezzavano i superiori definendoli letteralmente “damerini omosessuali dalle lunghe vesti ricamate”.
Solo il capo della spedizione Eric Isemberg, seduto accanto al ragazzo, chiese con aria seccata:-”Ioria quello che ha detto il vecchio Kalimshi è tutto vero o ha esagerato?”-
Ioria lo guardò e disse:-”No signore, le raccomando la massima attenzione, io sono qui solo grazie a molta fortuna e a un equipaggiamento di classe S, che è pure andato perduto...”-
-”Dannazione!”-Esclamò il capitano.-”Lo sapevo cazzo, lo sapevo!Quando il vecchio Kal si fa scuro in volto sono sempre dolori di pancia...Visto che il viaggio è lungo, ti spiacerebbe raccontarmi anche a me come sono andate le cose?”-
-”Capitano!”-Esclamò Ioria:-”Lo sa che queste sono informazioni riservate?”- Eric lo guardò con sospetto, facendo trapelare una espressione infastidita e ancora più seccata di prima.
Poi il ragazzo sorrise e facendo l'occhiolino disse:-”Sarei da corte marziale se divulgassi tali informazioni non crede anche lei?”-
Il capitano Isemberg comprese l'ironia e sorrise di rimando dicendo:-”Bravo! Era solo una prova, volevo vedere se ci cascavi, ma vedo che sei stato attento!”-Per qualche attimo rimasero seri a fissarsi, poi scoppiarono in una risata liberatoria.
Era da quell'ultima serata nel bar assieme ai colleghi che il ragazzo non si lasciava andare in una risata spontanea.
Il viaggio proseguì e Ioria ebbe tutto il tempo di ragguagliare il capitano su ciò che avrebbero potuto incontrare.
Era davvero una violazione del codice, ma ne andavano di mezzo le vite di venti persone e non se la sentiva di avere sulla coscienza le loro morti, se qualcosa fosse andato storto: era meglio avvertirli su tutto ciò a cui andavano incontro, questo poteva fare la differenza.
Il viaggio proseguì liscio, fino a una decina di chilometri dal bersaglio.
La zona era interessata da una perturbazione, che causava pesanti vuoti d'aria, comunemente chiamata “maretta” dai piloti.
Qualcuno nel cargo stette male e vomitò venendo prontamente sbeffeggiato dai compagni d'armi.
L'atterraggio avvenne più o meno nella zona in cui atterrò qualche giorno prima il veicolo di Ioria.
Non fu un atterraggio molto morbido.
La squadra scese dai veicoli e si preparò per la sortita.
Una volta terminati i preliminari si misero tutti in riga e il capitano Eric andò nel cargo del dottore ad avvisare che era tutto pronto.
Sbarcarono anche loro dal mezzo e si avviarono incappucciati verso la vegetazione senza dire nulla.
I quattro piloti rimasero a fare da guardia ai mezzi e si tenevano pronti a partire in qualsiasi momento.
Ioria faceva da battistrada con altri quattro, disposti a freccia, qualche metro dietro di lui c'era il capitano, poi Narè con la scorta e altri quattro chiudevano le retrovie, mentre gli altri dieci coprivano i lati del gruppo.
Nella fitta vegetazione non era molto facile mantenere la formazione.

Proseguivano spediti, ma dei grossi nuvoloni neri coprivano minacciosi l'intera zona.
Eric avanzò e disse a Ioria:-”Se viene a piovere, qui sarà un pantano unico e avanzare diventerà molto difficoltoso, dobbiamo affrettare ulteriormente il passo!”-
-”Lo so!”- Rispose il ragazzo.-”Ma con il dottore da scortare non possiamo procedere più veloci di così, stanno già andando al massimo della loro andatura.Capitano che ne dice di dividerci in due gruppi?Uno potrebbe andare avanti e libere la strada fino al maniero e l'altro sta con il dottore e lo scorta fino a noi.
Così dovremmo guadagnare un po' di tempo.”-
-”E' rischioso Ioria e non possiamo usare la radio nel caso in cui ce ne sia bisogno.”-Rispose il capitano.
Il ragazzo guardò negli occhi Isemberg, poi disse a bassa voce:-”Ho visto cosa sanno fare quelli come il dottor Yaara: è molto più probabile che sia lui a fare da scorta a noi che viceversa...”-
-”Ho capito... mi hai convinto, allora correremo il rischio!”-Esclamò Eric che si diresse ad informare il dottore della decisione tattica presa.
I gruppi si divisero in due e quello di Ioria potè finalmente proseguire più velocemente.
Dopo un'ora avevano già perso i contatti visivi e auditivi con gli altri.
Le condizioni meteorologiche non promettevano nulla di buono.
Durante il cammino non incontrarono nessuna creatura ostile, solo qualche tranquillo animale della fauna locale e qualche serpente velenoso, che venne prontamente neutralizzato.
Si procedeva a passo sostenuto, tanto che ancora prima che il sole calasse avevano quasi percorso la metà del cammino.
Ioria decise che era meglio allestire il campo base per la notte e di non avanzare ulteriormente o i compagni rimasti indietro avrebbero dovuto muoversi col buio per poterli raggiungere.
Ispezionarono l'area e montarono le tende: tutte simili a quelle usate in precedenza dal ragazzo a parte quella di Narè e della sua scorta personale, che era una classica tenda da campo, abbastanza grande da contenere sei persone.
Un paio di ore dopo arrivarono anche Eric e gli altri.
Tutti consumarono il pasto e recuperarono le forze poi si decisero i turni di guardia per la notte.
Ioria si offrì per il primo turno.

Era calata la notte già da qualche ora ormai e la maggior parte della truppa stava riposando.
Il ragazzo stava seduto di guardia, accanto ad un albero, col fucile imbracciato; il capitano gli si accostò e sospirò:-”Un vero peccato!Siamo in troppi qui e credo proprio che le lucciole di cui mi parlasti sul cargo, me le posso proprio scordare, che palle...”-
-”Mi spiace capitano, ma se vuole la vengo a svegliare se ne avvisto qualcuna che ne dice?”- Rispose il ragazzo con tono sarcastico.
-”Che ne dico?Dico che non esiterei a piantarti una pallottola tra gli occhi se osassi svegliarmi mentre riposo... e ora... ti lascio solo a fare il tuo dovere, perché io vado su a schiacciarmi un pisolino!”- Disse Eric salendo sull'albero su cui era montata la propria tenda.
Stava per chiudere l'entrata quando riaffacciandosi disse:-”Ah Ioria... se per caso qualche belva feroce dovesse ammazzarti, cerca di morire in silenzio, lo sai che detesto i rumori molesti mentre dormo!”-Poi ridendo si ritirò.
Il ragazzo fece gli scongiuri del caso, guardò in su e disse:-”Signor sì signore!Farò del mio meglio!”-

La nottata passò tranquilla, ma verso le prime luci dell'alba, le nuvole si addensarono sempre più sulle loro teste e la pressione atmosferica andava calando sempre più.
Prima che smontassero il campo base iniziò a piovere.
Tutti camminavano molto lentamente e non fu necessario dividersi di nuovo in due gruppi: erano tutti impacciati allo stesso modo.
Nonostante l'impegno e l'attenzione che ci mettevano, tutti proseguivano a stento, scivolando e cadendo.
Fu allora che sentirono per la prima volta il dottor Narè dire qualcosa:-”Questo temporale non è normale...”-
La voce aveva un timbro maturo, caldo e profondo e nonostante le intemperie, non sembrava dare segni di affaticamento.
Quelli che udirono le sue parole si guardarono un po' perplessi.
La pioggia cadeva incessante e verso mezzogiorno dovettero fermarsi a riposare: la stanchezza iniziava a farsi sentire.
Fu montata solo la tenda del dottore, che aveva espressamente richiesto di poter riposare per almeno un'ora: era pur sempre un uomo di una certa età, anche se non si capiva esattamente quanti anni potesse avere.
Durante l'attesa Ioria ed Eric andarono in avanscoperta nell'area attorno al campo.
Qualcosa di strano sembrava aleggiare in quel luogo, più strano dell'ultima volta.
Non si allontanarono di molto.
Cercarono segni di vita animale, ma nella zona non c'erano più creature.
Quando poterono ripartire, le precipitazioni non accennavano a diminuire e il terreno era ormai saturo d'acqua.
Gli unici che procedevano imperterriti sembravano i maghi, anche se pure loro ogni tanto scivolavano sbattendo duramente a terra e inzaccherandosi.
La tunica di Elgis, nonostante anche lui avesse fatto un paio di capitomboli, ritornava pulita dopo qualche minuto, lavata dalla pioggia stessa: non si poteva dire lo stesso delle vesti dei suoi seguaci, che erano ricoperte di fango fino alla schiena e avevano perso tutto il loro splendore iniziale.
Ioria non vedeva a un palmo dal naso, la tempesta era troppo fitta e si doveva affidare al palmare per tracciare la rotta da seguire.
All'improvviso un membro della guardia del dottore lanciò un allarme: diceva che vi erano delle entità ostili in avvicinamento.
Il capitano fece cenno di fermarsi e fare cerchio attorno al mago.
I sensori non davano nulla.
Le guardie scelte, iniziarono a proferire parole incomprensibili mentre Narè sembrava rimanere impassibile nel mezzo del gruppo, col il volto nascosto da sul ampio cappuccio nero.
Ioria si girava attorno ma la visibilità era ridotta zero ormai.
Il mormorio dei maghi metteva in agitazione i soldati.
Un ululato richeggiò.
-”Eccoliii!Ostili a ore tre!Ostili a ore tre!”-Gridò frenetico un membro del gruppo e subito partirono le prime raffiche di fucile.
Poi fu il caos.
Dal folto del bosco uscirono delle belve feroci, simili a lupi ma dal pelo irto e ispido di color grigio morto.
Alcuni soldati gridarono, cadendo a terra feriti.
Le pallottole fischiavano sulle teste dei soldati che cercavano riparo.
-”Signore contatto ostile a ore sei!Ci attaccano da entrambe i lati!”-Gridò un altro uomo.
Ioria si spostava in continuazione e cercava riparo dietro gli alberi.
Appena poteva sparava a raffica sul nemico.
Eric urlava ordini a tutto spiano, ma la pioggia rendeva difficile i movimenti e molti soldati vennero presi alla sprovvista.
Le bestie feroci sembravano sbucare dal nulla, fulminei e letali: non si riusciva a colpirli prima che portassero un attacco per primi.
Un gruppo di lupi penetrò lo schieramento e si proiettarono ringhianti in direzione del dottore.
Fu allora che le guardie lanciarono il contrattacco.
Dalle loro mani scaturì una luce incandescente e palle di fuoco volarono sulle creature che caddero al suolo ancora in fiamme.
Continuarono a scagliarle tutte attorno a loro, finché le bestie non vennero uccise tutte.
I ragazzi rimasero schiacciati a terra, terrorizzati.
Dopo qualche attimo il capitano, che dovette riprendersi anche lui dallo shock, ordinò di prestare soccorso ai feriti.
Uno di loro presentava un profondo squarcio allo stomaco e perdeva litri di sangue a ogni secondo che passava e che la pioggia continuava a far scivolare via.
Era uno dei membri più giovani del gruppo.Il suo corpo tremava ina maniera convulsa e cercava di parlare, ma più si sforzava più dalla bocca usciva solo sangue e gorgoglii soffocati.
Tentarono di arrestare l'emorragia, poi Eric gli prese la mano, guardandolo inerme: non c'era nulla da fare, stava morendo.
Il dottor Narè lascò le sue guardie e si diresse verso il ferito.
Si chinò su di lui, inginocchiandosi nel pantano.
-”Non aver paura, non ti lascerò morire, ora sta tranquillo e cerca di rilassarti più che puoi.”-Disse il mago con voce calma.
Mise le mani una sull'altra a qualche centimetro, sopra la profonda ferita.
Declamò qualche sorta di incantesimo e una luce verde tenue illuminò i suoi palmi.
La ferita smise di sanguinare immediatamente, ma non guarì del tutto.
-”Ora non resta che medicarlo come se fosse una normale ferita da taglio; il danno dovrebbe ripararsi entro poche ore.”-Aggiunse Elgis.
Poi si avviò verso gli altri feriti e lì dove necessario, usò di nuovo la magia curativa.
Eric ringraziò il dottore, senza di lui avrebbe perso sicuramente degli uomini.
Narè fece solo un gesto con il capo e accennò un sorriso, poi si rimise il cappuccio e tornò tra le sue guardie.
Lo spettacolo a cui avevano assistito gli uomini aveva gettato uno strano silenzio nel gruppo.
Come poterli biasimare.
Ciò a cui avevano assistito era senza dubbio “magia”.
Tutte quelle cose che leggevano da bambini e che reputavano voli di fantasia e favole, di punto in bianco corrispondevano alla realtà delle cose.
E' normale che ognuno dovesse razionalizzare la cosa; proprio come Ioria prima di loro, si trovarono, all'improvviso, di fronte a una realtà totalmente diversa da quella che gli era stata raccontata fino a quel giorno.
Eppure avevano tutti ricevuto un addestramento di base, alle armi di classe S, ma nulla di ciò che avevano visto era neanche lontanamente paragonabile alla potenza di quelle persone.
Nei loro cuori si fece strada anche l'amarezza del sentirsi all'improvviso, inutili.
Quando ebbe un attimo libero Eric tornò da Ioria che stava nuovamente seduto sotto un albero, cercando di ripararsi dalla pioggia che ancora non dava tregua.
-”Io...io...accidenti... io stento a crederci...”-Disse il capitano grattandosi la testa rasata cercando di controllare l'improvvisa balbuzie.
-”Nemmeno io riesco ancora a capacitarmi di tale esperienza signor capitano...non so nemmeno se mai la capirò...”-Disse il ragazzo.
-”Avevi ragione, avevi dannatamente ragione... non sarà affatto facile...In fondo, credevo che avessi un po' esagerato nel descrivere la tua missione, ma ora mi rendo conto...”-Si interruppe per qualche minuto, perso nei suoi pensieri; poi d'un tratto sembrò rinsavire, si rialzò di nuovo in piedi e con nuovo vigore continuò.-”Ok basta chiacchierare... dobbiamo andare avanti!”-
-”Signor sì signore!”-Rispose il ragazzo balzando sull'attenti.

Arrivarono davanti alle porte del maniero alle 17.27.
Il cielo veniva squarciato dai tuoni e dai fulmini che cadevano molto vicini all'edificio.
Il vecchio Narè ci aveva visto giusto, la tempesta in quel punto era molto più aggressiva e distruttiva: era sicuramente l'opera di qualche sortilegio.
Il capitano e il dottore parlarono in disparte per un po'.
Pianificavano una strategia efficace per entrare e completare la missione assegnatagli, cercando di ridurre al minimo i rischi.
Quando ebbero finito Eric tornò dai propri subordinati e diede gli ordini.
Le guardie scelte avrebbero abbattuto il portone, poi loro avrebbero fatto incursione e dopo aver ripulito l'area, avrebbero scortato fino al centro della struttura il vecchio e le sue guardie.
Dopodiché, mentre i maghi si occupavano del signor Yaara, i soldati avrebbero ispezionato e ripulito tutte le stanze, una a una, da tutte le entità ostili che le infestavano.
Quando furono tutti pronti il dottore fece un cenno e uno dei suoi si preparò per un incantesimo.
-”Attenti alle schegge, rimanete al coperto!”- Disse con tono alto Narè.
Poco dopo il mago lanciò una grossa palla infuocata che colpì in pieno il grande portone facendolo letteralmente esplodere in mille pezzi.
Grazie al fitto diluvio, che ancora imperversava, le fiamme che rimbalzarono all'impatto ebbero breve vita e non si propagarono nella vegetazione.
Il botto aveva stordito i membri più vicini all'entrata e pure l'uomo che aveva lanciato l'incantesimo, rimase lievemente frastornato dal fragore.
Fecero irruzione all'interno e proseguirono in silenzio, con la massima attenzione.
Arrivarono al centro dell'edificio dove campeggiava ancora l'enorme lastra di ferro, che proteggeva il salone in cui si era rifugiato il signor Albert.
Eric disse:-”Dottore, da qui in avanti lei e i suoi uomini sarete soli. Noi iniziamo a pulire questo piano, poi faremo gli altri...le auguro buona fortuna!”-
Ma il vecchio rimase impassibile, senza dire nulla, guardò il capitano, poi cercò con gli occhi tra i soldati, che erano appostati lungo il corridoio.
L'uomo intuì che c'era qualche sorta di intoppo e disse:-”Signore qualcosa non va?”-
-”Capitano, uno dei suoi uomini deve assistermi...E voglio che sia lui...”-Rispose il mago indicando con la sua mano ossuta il giovane Ioria che, in quel momento,era di spalle e controllava l'accesso delle scale al piano superiore.
-”Ma signore...”-Ribattè Eric.-” Lui ci è indispensabile: conosce questo edificio e ha già affrontato le creature che vi abitano.
Senza di lui aumenterebbe il rischio di subire delle perdite, signore.”-
-”Mmm...Capisco...”-Disse il dottore, poi abbassò il cappuccio, si passò una mano tra i capelli corti e bianchi e continuò:-”Ha ragione, lei...è un buon capitano... si preoccupa per i suoi subalterni...bene! Troveremo un accordo!”- Si fermò a riflettere il tempo necessario, poi riprese il dialogo:-”Io le affido tutte le mie guardie in cambio del ragazzo...E questo è un ordine signor capitano!”-
L'uomo rimase sorpreso, non era affatto uno scambio equo; i maghi erano molto forti e probabilmente avrebbero potuto svolgere quel compito da soli, senza l'assistenza dei soldati.
Qualcosa non gli tornava.
-”Signore, ne è assolutamente sicuro?”-Domandò.
Il mago non disse nulla; si limitò a guardarlo intensamente senza battere ciglio.
Eric comprese comunque; prese dalla spalla il fucile e ordinò agli uomini di tenersi pronti al rastrellamento.
Poi andò da Ioria per dargli le nuove direttive.
In cuor suo il ragazzo lo aveva già immaginato.
Quando gli uomini furono abbastanza lontani il dottore gli si avvicinò dicendo:-”E' importante che tu assista a questo.Non fare nulla, non intervenire per nessun motivo, limitati a stare in disparte e a osservare in silenzio, qualsiasi cosa accada.Se osserverai queste semplici regole non ti accadrà nulla, altrimenti non mi riterrò responsabile della tua morte.”-
Il ragazzo annuì, ripose il fucile e si mise alle spalle del vecchio.
L'enorme lastra si alzò ancora una volta scorrendo verso l'alto e si richiuse sonoramente al loro passaggio.
L'ambiente all'interno era cambiato.
Tutti gli strumenti erano stati messi ai margini dell'enorme cerchio inciso sul pavimento e anche il cilindro con dentro il corpo di Elil, che prima era nel mezzo della stanza, ora era messo esattamente dalla parte opposta a dove si trovavano loro, accanto al macchinario che conteneva il corpo del dottor Yaara.
L'area centrale era completamente sgombra.
Narè fece cenno al ragazzo di mettersi in un angolo vuoto, tra due grossi congegni.
Ioria obbedì e si mise in silenzio a osservare.
-”La tempesta là fuori è opera tua vero?”-Disse il vecchio.
-”Che domanda futile, non è da te sprecare il fiato a questo modo...”-Rispose la voce.
-”Lo sai perché sono qui vero?”- Domandò ancora il vecchio guardando dritto avanti a sé nel vuoto.
-”Altra domanda inutile...”-Rispose ancora la voce con un accenno di sarcasmo.
Poi il cerchio prese vita e cominciò a pulsare di un blu vivo e al centro della stanza apparve una figura umana, trasparente: era l'immagine del dottor Yaara.
Un uomo di media statura, dall'aria vissuta, apparentemente sembrava avere sessantanni circa, viso squadrato, con due profonde rughe che gli solcavano le guance e la pelle scura che faceva risaltare il colore blu intenso degli occhi.
Indossava una bellissima tunica tutta finemente lavorata, color bianco vivo, cesellata interamente da scritte arcane e simboli runici.Sopra la tunica un paramento blu bordato; anch'esso di pregevole fattura e ricoperto da simboli magici.
-”E' passato un po' di tempo dall'ultima volta che ci siamo affrontati, ricordi?”-Disse Albert sorridendo.
-”Già.”- Rispose l'altro.
-”Bene allora, bando ai convenevoli, sappiamo entrambe perché sei venuto qui, e visto che abbiamo anche un pubblico questa volta, non deludiamolo e mostriamogli ciò di cui è capace un vero mago!”- Esclamò Yaara con euforia, poi alzando le braccia e assumendo la posizione di una croce riferendosi a Ioria aggiunse:-”Questo è uno spettacolo che non dimenticherai mai più!”-

Il simbolo a terra iniziò a pulsare sempre più veloce e l'immagine di Albert venne avvolta da una luce verde.
Elgis stava davanti a lui e si stava a sua volta preparando: aveva il capo chino e gli occhi chiusi e pronunciava una sorta di litania.
Dopo poco stese il braccio e aprì la mano, volgendo il palmo a terra.
Per qualche secondo nessuno si mosse.
Poi la luce di Yaara aumentò e venne sollevato a qualche centimetro da terra, migliaia di goccioline d'acqua si stavano condensando e vorticavano raggruppandosi attorno alla sua figura.
Poi si sentì un tonfo, come quello del mare che si infrange sugli scogli.
Ioria non credette a ciò che gli si era presentato davanti agli occhi.
Con un grido simile al suono del vento che fischia, nelle giornate di tempesta, fece la sua comparsa un essere alto quattro metri fatto interamente di acqua.
Aveva parvenze umane, ma non aveva le gambe: al loro posto vi era una specie di unico piede della forma di un onda marina.
Tutto il corpo era un costante turbinio vorticoso di liquido.
Agitò le grosse braccia, come fanno le persone quando sono adirate e percosse freneticamente il terreno facendolo tremare e provocando una letale pioggia di proiettili di fluido.
La voce di Narè si faceva via via più forte e nonostante l'attacco lo avesse mancato di un soffio, non si accingeva a muoversi né tanto meno perdeva la concentrazione.
Dal pavimento umido scaturì una fiammella; rimase per qualche istante esitante, quasi sembrò spegnersi, poi un attimo dopo iniziò a crescere sempre più a tratti, pulsando.
Divenne un uovo fiammeggiante alto due metri e quando arrivò al suo culmine, esplose in mille frammenti infuocati che si sparsero tutto intorno.
Al suo posto ora vi era un essere infuocato, anch'esso simile a un uomo, ma fatto di fiamme.
Si Alzò in piedi e anche la sua statura pareva raggiungere i circa quattro metri di altezza.Il fuoco lo avvolgeva e rendeva i suoi tratti indistinguibili.
Aprì le braccia con un gesto di liberazione e lanciò un grido simile a quello delle aquile.
E fu battaglia.
Le due entità si fronteggiarono lanciando grida e ruggiti.
Gli attacchi dell'essere di fuoco, quando andavano a segno, facevano evaporare la parte colpita, lasciando un buco o un solco; viceversa quando era l'altro a ghermirlo, le fiamme si affievolivano e si estinguevano, producendo un fumo nerastro.
Tutto sommato sembrava una lotta a mani nude tra giganti.
Particelle di fuoco e acqua si propagavano nella stanza danneggiando tutto ciò che colpivano.
L'unica zona sicura era quella in cui si era rintanato il ragazzo.
A ogni pugno sferrato Ioria strizzava gli occhi, infastidito dal fragore dei colpi inferti e delle urla agghiaccianti.
Avrebbe tanto voluto accucciarsi e coprirsi e aspettare che tutto fosse finito.
Era terrorizzato.
Ma nonostante tutto rimaneva lì in piedi: qualcosa lo spingeva a continuare a osservare la lotta interminabile tra le due forze opposte, trasgredendo a ogni tipo di logica e all'istinto.
Gli esseri sembravano rigenerarsi continuamente, non importava quanto grave fosse la ferita inferta, poco dopo veniva rigenerata da nuove fiamme, o da nuovi mulinelli d'acqua.
Poi le entità producendo mormorii e grugniti intrecciarono le loro mani in una intensa presa, una prova di forza.
La stanza era ormai satura di odore di zolfo e umidità.
L'essere d'acqua stava avendo la meglio e gridava sferzando l'avversario che, quasi in ginocchio, emetteva crepitii, come quelli del fuoco di un incendio che va spegnendosi.
Narè , che era ancora immobile nella sua posizione, intensificò la sua preghiera e il tono della sua voce aumentò ulteriormente riecheggiando tra le mura del locale.
La creatura riprese le forze e ruppe la stretta con un'altra esplosione fiammeggiante, che scaraventò il gigante contro dei macchinari, distruggendoli.
Lanciò un grido di dolore, poi si rialzò infuriato e prese a scaraventare i pezzi meccanici divelti, addosso alla creatura di fuoco.
Evitò i primi due oggetti che andarono a sfondare il muro dietro di lui, ma al terzo venne preso in pieno, cadendo a terra.
Al ragazzo parve che sia le fiamme che i mulinelli d'acqua avessero perso di intensità.
I due esseri corsero uno verso l'altro e si scontrarono frontalmente.
Un forte boato, poi partirono dei frammenti dei loro corpi che crearono grossi buchi nel muro.
Ioria chiuse gli occhi per qualche istante e si copri la testa con le mani: quando li riaprì i due giganti si stavano prendendo a pugni a turno.
I colpi si fecero via via sempre più lenti e privi di energia.
Persino la stazza degli esseri sembrava diminuire un po' alla volta.
Le due forze si pareggiavano, indubbiamente.
Ormai era chiaro: più era lungo il combattimento più energia perdevano le entità.
L'uomo fiammeggiante riuscì a stento a evitare un colpo portato al viso e ne approfittò per contrattaccare il nemico ormai sbilanciato.
Abbracciò alla vita l'essere d'acqua e serrò la stretta intrappolandolo in una morsa letale.
Iniziò a emettere un grido sempre più acuto e crescente e le fiamme che lo avvolgevano aumentarono fino ad avvolgere entrambe le sagome.
Il calore nella stanza aumentò eccessivamente e iniziò a mancare l'ossigeno.
Poi il fuoco si spense per un istante e vi fu di nuovo una grande esplosione.
Ioria perse i sensi.
Quando si risvegliò dei due giganti non vi era rimasto più nulla, come non vi era rimasto più nulla della parete nord ovest della stanza.
Ora si potevano vedere addirittura parte dei piani superiori.
Il vecchio Narè era al suolo inginocchiato, ansimante e visibilmente provato.
Al centro di ciò che rimaneva del locale ricomparve la figura del dottor Yaara, anche lui visibilmente provato dalla lotta.
-”Proprio come ai vecchi tempi!”-Escalmò ridendo Albert.
-”Anche allora mi battevi sempre...”-
-”Eh amico mio, si vede che le cose dovevano andare in questa maniera”-Aggiunse, ma il sorriso andò via via spegnendosi.
Elgis non disse nulla, si limitò a guardare il dottore di fronte a sé.
Poi Albert si girò verso il ragazzo.
-”Tu mi sei simpatico sai?Se ci fossimo conosciuti in circostanze differenti, mi sarebbe piaciuto averti come allievo!Ma come puoi vedere da te, le cose non vanno sempre come vogliamo...comunque voglio farti un dono.”-
Il ragazzo percepì qualcosa nella sua tasca, li dove teneva il ciondolo.
Una sensazione inspiegabile a parole: era come se una grande forza fosse stata racchiusa nell'oggetto all'interno della sua sacca.
Poi l'immagine del dottore si fece più tenue, e il suo volto acquistò una espressione un po' assente, come assonnata.
-”Sono stanco ora, molto stanco...ho sonno...ho voglia di riposare...Elgis...amico mio, aiutami, aiutami ad andare dalla mia famiglia...mi stanno aspettando...finisci il lavoro, te ne prego, amico mio...”-Disse a stento Yaara poi la sua immagine si dissolse nel nulla.
Il vecchio si alzò da terra a fatica e si diresse verso l'incubatrice che conteneva il corpo del dottore.
Armeggiò con i comandi e ne disattivò le funzioni primarie.
Cicalii di allarmi sonori e varie spie si accesero sul congegno.
Qualche minuto dopo l'illuminazione all'interno della camera andò spegnendosi lentamente.
La vita di Albert Yaara si spense.
-”Addio vecchio amico mio...”-Sentì dire Ioria dal vecchio, che ora si stava dirigendo verso il cilindro.
-”Buon viaggio anche a te piccolo Elil...Ci incontreremo ancora, un giorno...”-E così dicendo staccò il sostentamento vitale del piccolo ragazzo.
Poco dopo anche Elil lasciò questo mondo per raggiungere il padre e la madre, finalmente.
Fu allora che il cerchio magico iniziò a pulsare sempre più forte, sempre più intensamente, fino a che un fascio di luce sottile partì dal centro, sfondò il tetto e attraversò le nubi oscure, diradandole.
Dopo questo ultimo spasmo di energia, anche le rune inscritte sul pavimento persero la forza e si spensero, lasciando solo pallidi simboli grigi, tracciati a terra.
Ioria capì che non vi era più pericolo e si mosse dirigendosi verso Narè.
Il suo volto era solcato dalle lacrime.
-”Signore, va tutto bene?”-Chiese il ragazzo poggiandogli una mano sulla spalla.
La tunica al tatto risultava molto calda.
Il vecchio lo guardò e nascondendosi sotto il grande cappuccio disse con voce grave e un po' rotta dal dolore:
-”Si ragazzo, va tutto bene...è soltanto la pioggia, la pioggia che scorre...”-

Completata la missione, fu possibile chiamare via radio i velivoli che attendevano nella radura, per farli arrivare direttamente sul posto.
Non essendoci lo spazio necessario per atterrare, i soldati dovettero salire sui mezzi in volo stazionario, usando le scalette.
Il dottore e le sue guardie non tornarono indietro con gli altri: il loro nuovo compito ora, era quello di investigare sulle ricerche del dottor Yaara e degli altri membri del suo staff.Una volta compiuta anche quella missione, avrebbero mandato qualcuno a riprenderli e avrebbero raso al suolo l'intero stabile, senza lasciare nessuna traccia.
Gli lasciarono la tenda, dell'equipaggiamento e dei viveri.
Nessuno si fece il minimo scrupolo ad abbandonarli in quella zona selvaggia: se la sarebbero cavata benissimo da soli.
Sul cargo in rotta verso la base, regnava un silenzio tombale; gli unici suoni che si udivano erano gli sporadici lamenti dei soldati feriti durante il rastrellamento dell'edificio.
Intorno a Ioria si era creato il vuoto.
Nessuno gli volle sedersi accanto.
Era considerato “fuori dal gruppo”ormai.
Anche Eric era seduto lontano dal ragazzo, e lo guardava a stento.
Avrebbe dovuto dirgli qualcosa, qualsiasi cosa, ma non ne ebbe la forza: dentro di sé, anche lui pensava che quella persona non facesse più parte della sua task force.
Il ragazzo rimase seduto senza dire una parola per tutto il viaggio.
Davanti agli occhi gli scorreva ancora, come in un film, tutto ciò che gli era successo: bestie feroci, armi incantate, magie, demoni, poi ancora altre bestie, maghi dagli indescrivibili poteri, giganti che combattono e il terrore che tanto spesso si era impadronito di lui negli ultimi tempi.
-”Si ha paura di ciò che non si conosce”- Fu questo l'ultimo pensiero del ragazzo, poco prima di addormentarsi seduto sul posto.

Quando atterrarono all'aeroporto era già calata la notte.
Rientrò nel suo alloggio e si levò i vestiti.
Appena fu sotto la doccia tentò di non pensare a nulla, di rilassarsi, di sciogliere la tensione, ma gli veniva difficile.
Quando finì, si asciugò per bene, poi indossò l'accappatoio pulito e fresco e andò verso il letto, per riposare fino al mattino seguente.
Mentre stava per uscire dal bagno però, incrociò la sua immagine nello specchio, appeso sopra il lavandino.
Si fermò e si guardò fisso negli occhi.
Fu allora che capì che qualcosa in lui era cambiato per sempre.

La mattina fu chiamato a rapporto dai suoi superiori.
Consegnò loro un rapporto dettagliato sull'intera operazione.
Come ordinato dal dottor Narè in persona, poco prima che partisse, non menzionò minimamente ciò che accadde all'interno del salone del maniero.
Di quelle cose se ne occupavano altre sezioni, non quella a cui faceva riferimento il ragazzo.
Il rapporto era il n° 1141; ma per le alte sfere dell'agenzia venne rinominato Rapporto Pellican.
Finito il colloquio, venne congedato fino a nuovo ordine.
Poteva ritornare a fare una vita “normale” fino a quando non avrebbero di nuovo avuto bisogno di lui.
Ioria uscì dalla base percorrendo un passaggio secondario.
Si trovò nella parte sud della mega città in una zona relativamente vicina a casa sua.
Fece qualche chilometro a piedi, camminò senza meta per diverse ore, poi andò in un centro commerciale e si procurò un palmare nuovo: ufficialmente, quello vecchio era caduto accidentalmente dalle mani di Isaac rompendosi in mille pezzi, mentre era andato a fare un campeggio.
Si mischiò alla folla, fece compere, si fermò a guardare le vetrine e mangiò delle schifezze in un fast food.
Era quello il rito di passaggio: ora l'agente speciale Ioria era tornato ad essere Isaac Peak, il dipendente della Ediltech un'azienda di costruzioni edili, che qualche giorno prima aveva ricevuto un certificato speciale, che giustificava l'assenza del signor Isaac da lavoro, per una breve pausa lavorativa.
Si immaginò l'invidia e l'arrabbiatura di Thomas, nel saperlo in vacanza a sua insaputa.
Questo gli sarebbe costato un giro di birre, la prossima volta che sarebbero andati al bar assieme ai colleghi.
Per caso passò accanto a una gioielleria e vi si fermò davanti.
Tra un centinaio di oggetti preziosi e lucenti esposti sulle mensole, la sua attenzione ricadde su due piccoli orecchini con dei brillanti, che, a suo parere, sarebbero stati benissimo addosso ad Elisabeth.
Entrò nel negozio e li comprò.
Era un modo per farsi perdonare.
Poi però lo assalì il dubbio che quando sarebbe tornato, forse non ci sarebbe stato più nessuno disposto a perdonarlo.
-”Prima o poi finirà davvero così”-Pensò il ragazzo, facendo roteare in aria il piccolo pacchetto decorato che aveva appena comprato.
Poi lo riafferrò al volo, lo mise in tasca e si diresse verso casa.
Era pomeriggio quando arrivò.
Aprì la porta piano piano, in cuor suo c'era il timore che la stanza fosse vuota e le cose di Elisabeth fossero sparite.
Ma la porta non scorreva bene, qualcosa ne impediva il movimento.
Infilò la testa, si affacciò e notò che dietro l'entrata c'erano dei vestiti smessi buttati a terra tutti ammonticchiati: era il classico comportamento della ragazza; lui spariva per giorni e lei gli riduceva la casa a un cumulo di macerie e disordine.
Ma ne fu felice però, significava che lei era ancora li e che lo aveva aspettato per tutto quel tempo, ancora una volta.
Scivolò nella stanza come un ladro e la vide sdraiata sul lettone che riposava esausta, dopo essersi ammazzata di fatica in palestra.
Anche quello era una sua consuetudine del caso: lei sfogava spesso così la rabbia e la frustrazione.
Isaac andò in cucina e nascose gli orecchini nella tazza da tè della ragazza: pensò che sarebbe stata una bella sorpresa, quando li avrebbe trovati la mattina dopo.
Poi si svestì e rimasto solo con gli slip, si sdraiò alle spalle della sua Elisabeth, che ancora dormiva profondamente e non si era accorta di nulla.
Le incominciò ad accarezzare i capelli rossicci.
Era ancora tutta sudata, ed aveva in dosso ancora i pantaloncini neri attillati da ciclista e la magliettina gialla aderente, che esaltavano le sue forme affusolate.
Le ciocche erano talmente bagnate che i riccioli si erano uniti assieme e si erano allungati fino ad arrivarle quasi a toccare le spalle.
-”Povera piccola!”-Bisbigliò Isaac.-”Devi essere stata tanto in pensiero per me...guarda come ti sei ridotta facendo palestra...”-
Poi le prese delicatamente la testa e la accostò alla sua.
Annusò profondamente.
Il suo odore gli piaceva tanto.
Poi fece scivolare la mano sotto il suo collo e la abbracciò da dietro chiudendo gli occhi.
La mano indugiò sul suo seno, non molto grande ma sodo.
Fu allora che Elisabeth si svegliò.
Non si girò, non subito almeno.
Isaac la strinse al suo corpo e iniziò a baciarle il collo.
Fu allora che la donna si volse lentamente verso di lui.
Si guardarono negli occhi intensamente per qualche istante, senza dire nulla.
Poi le labbra si sfiorarono timidamente poi, dopo una breve pausa, si riavvicinarono in un bacio profondo.
Le mani di lui si infilarono sotto la maglietta.
Il fiato dei due si fece più pesante.
Lei gli iniziò ad accarezzargli il sesso attraverso gli slip e lui prese a massaggiarle delicatamente i glutei.
Poi Isaac le scivolò alle spalle, fece poggiare la sua schiena sul suo petto tonico e intrecciando le gambe con le sue, le schiuse piano piano.
Con una mano le toccava i seni e con l'altra le sfiorava il sesso lentamente, molto lentamente.
La ragazza gemette.
Poi prese a baciarlo sul collo e ad accarezzarlo intensamente e il respiro dei due si fece ancora più pressante.
Rimasero così per qualche tempo e quando furono pronti si levarono i vestiti.
Uno di fronte all'altro incrociarono le gambe, in un piacevole abbraccio e mentre i sessi si sfregavano uno contro l'altro i due si baciavano e sfioravano ovunque, in una sorta di danza convulsa.
Poi lei salì su di lui e lo fece scivolare dentro di sé senza fretta, poco alla volta.
Per Isaac fu come ritornare a casa.
Rimasero a fissarsi negli occhi, mentre Elisabeth con le braccia intorno al collo di lui, indugiava un lento andirivieni.
Il ragazzo non resistette a lungo e poggiando le mani sulla sinuosa e liscia schiena di lei, la adagiò sul letto e gli salì sopra.
Il ritmo si fece più incalzante e i lamenti dei due si fecero più frequenti.
Il sudore imperlava la schiena di lui, mentre lei gli lasciava profondi graffi con le sue unghie.
Elisabeth lo afferrò saldamente e lo fece rotolare sul letto in maniera rude e lo cavalcò.
Si muoveva sinuosa su di lui mordendosi il labbro, poggiando le mani sul petto.
Prese a muoversi con ritmo secco e deciso.
A ogni colpo Isaac si lasciava scappare un lamento.
Poi non ci fu più tempo.
Il ragazzo la afferrò saldamente a se con entrambe le braccia e aumentò la cadenza fino a che i due non raggiunsero l'orgasmo gemendo di piacere, in preda alle convulsioni.
Lei ricadde su di lui e stette li per qualche tempo, madida di sudore.
Dopo qualche minuto, scivolò senza forze accanto al ragazzo e dandogli le spalle finalmente disse:-”Non te la puoi cavare sempre così...”-
Lui non rispose.
-”Isaac...tu... chi sei in realtà?”-
Chiese infine la donna.
Il ragazzo divenne scuro in volto e disse con tono deciso:
-”Elisabeth, vuoi veramente saperlo?”-
La ragazza ebbe un brivido, ci pensò qualche istante, poi abbracciò stretto il cuscino e disse:
-”No Isaac...non lo voglio sapere...”-
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